No a qualsiasi forma di reddito di sostegno permanente slegato dal lavoro

Per l'emergenza Coronavirus chiediamo 1200 euro mensili per tutto il 2020 per chi è senza reddito e senza ammortizzatori sociali
 
Prendendo spunto dal fatto che il Coronavirus ha impedito a milioni di persone di lavorare e quindi di avere una fonte di sostentamento, in Italia i partiti, movimenti, sindacati o singole personalità che da tempo proclamano la necessità d'istituire nel nostro Paese un reddito di base universale ( Basic Income in inglese) si sono rifatti sotto. In particolare chi è intervenuto lo ha fatto per rivendicare il superamento dell'attuale reddito di cittadinanza voluto dai 5 Stelle, per l'istituzione di un sistema permanente che elargisca a tutti, senza distinguere tra poveri e ricchi, un reddito completamente sganciato dall'avere o meno un lavoro.
Le argomentazioni principali vertono sul fatto che in Italia esistono svariate forme di ammortizzatori sociali e di assistenza per le fasce più bisognose, una miriade di norme tali da creare confusione senza peraltro rivelarsi efficaci nel contrasto della povertà e senza permettere a tutti di usufruire dei beni essenziali. A rafforzare le loro tesi anche la constatazione che il capitalismo, specialmente nella fase attuale di forte innovazione tecnologica, può assicurare il lavoro solo a una parte della popolazione, lasciando milioni di persone disoccupate o con lavori precari e intermittenti.
Da questo punto di vista i sostenitori del reddito di base non hanno scoperto niente di nuovo. Ce lo ha già spiegato Marx oltre 150 anni fa la funzione dell'esercito industriale di riserva rappresentato dai disoccupati, le cause delle crisi cicliche di sovrapproduzione del capitalismo, la caduta del saggio di profitto, ecc. Sappiamo benissimo che questo sistema economico non può assicurare il lavoro a tutti e anche per questo pensiamo che dobbiamo abbatterlo e realizzare il socialismo anziché cercare inutilmente di riformarlo. E non sarà certo il reddito di base a permettere al capitalismo di assicurare un salario e una vita dignitosa per tutti.
I marxisti-leninisti italiani ribadiscono la loro contrarietà a una misura che viene spacciata come la panacea di tutti i mali ma che in realtà è funzionale al capitalismo e nociva alla lotta di classe, oltre che ingiusta politicamente e inefficace nella pratica. Non deve trarre in inganno il fatto che attualmente in Italia, e non solo, la bandiera del reddito di cittadinanza e del reddito di base viene alzata anche dalla “sinistra” borghese e da alcuni partiti e gruppi che, almeno a parole, si rifanno al socialismo e al comunismo, anche se i suoi più fervidi sostenitori sono gli anarco-sindacalisti e i alcuni gruppi trotzkisti.
In realtà questa proposta storicamente non proviene dalle file del movimento operaio e non è assolutamente nuova. Nasce assieme al capitalismo nell'800, in Inghilterra, quando il suo sviluppo attirava nelle città milioni di contadini che abbandonavano le campagne ma non sempre ottenevano il lavoro nelle fabbriche e molti di loro si ritrovarono senza terra, quindi senza cibo e allo stesso tempo senza salario per cui gli Stati e i monarchi si preoccuparono di non farli morire di fame dando loro un tozzo di pane per evitare tumulti e rivolte. Poi con il tempo il sostegno ai poveri è stato declinato e interpretato a seconda delle varie correnti di pensiero borghesi che lo facevano proprio.
I liberisti rifacendosi al loro vangelo, ovvero al fatto che il mercato è la regola sacra che sistema tutto. Chi ha successo si arricchisce, gli altri sopravvivono ma la carità non si nega a nessuno e perciò è prevista l'elemosina per i più poveri ai quali si deve assicurare il minimo indispensabile per tirare a campare. Un sistema che già si sperimenta in alcuni paesi anglosassoni. La “sinistra” borghese invece lo giustifica come una misura necessaria a ridurre le diseguaglianze, un sistema per dare dignità a chi è senza lavoro e combattere i fenomeni di marginalità legati alla mancanza di reddito. Una misura di riscatto che consente a tutti di sentirsi parte integrante della società (borghese) e magari permettere a chi svolge lavoretti precari d'integrare il reddito.
Come si può dedurre facilmente, in entrami i casi il reddito di base universale entra in contrasto con un sistema di welfare esteso ed efficiente, con servizi che lo Stato eroga a tutti liberamente o a prezzi calmierati attraverso la tassazione dei redditi, con norme di salvaguardia dell'occupazione e di controllo del mercato del lavoro. È invece congeniale alla fase in cui si trova adesso il capitalismo che ha abbandonato da tempo qualsiasi velleità riformista e di redistribuzione, seppur delle briciole, del reddito, ed ha mostrato la faccia neoliberista. Lavoratori super sfruttati, flessibili, precari e senza diritti, neanche quello di scioperare, licenziabili in qualsiasi momento, servizi individuali a pagamento tramite assicurazioni private, a cui fanno da corollario milioni di disoccupati, a cui bisogna assicurare un minimo vitale di sopravvivenza.
Ma nonostante questa evidenza c'è un ampio fronte, che va dal Basic Income Italia (BIN) all'Alleanza contro la povertà (Acli, Caritas, Azione Cattolica, Cgil-Cisl-Uil e altri), da Beppe Grillo ad altri esponenti dei 5 Stelle e trasversalmente di quasi tutti i partiti parlamentari, a cui si sono aggregati Rifondazione Comunista, il quotidiano trotzkista Il Manifesto e, seppur con motivazioni diverse alcuni sindacati “di base”, che chiede con sempre maggiore insistenza l'istituzione di un reddito di base universale e incondizionato. Chi si pone più a sinistra teorizza addirittura che questo favorisca l'arretramento del lavoro povero e precario, la dignità del lavoratore e lo spirito di classe.
Non siamo assolutamente d'accordo. Il reddito di base non solo non mette in discussione il sistema capitalistico, ma non intacca nemmeno il precariato e anziché indirizzare la lotta per il lavoro la indirizza verso una elemosina di Stato. A meno che non si creda alle favole che ad esempio racconta il già citato BIN, il quale pensa sia possibile la realizzazione di un reddito continentale per tutti senza condizioni, che assicuri a qualsiasi cittadino europeo “un tenore di vita dignitoso, che soddisfi gli standard sociali e culturali della società nel paese interessato”.
Ci sono altri metodi ben più validi per contrastare il capitalismo e la disoccupazione: primi tra tutti rivendicare la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario e tornare a 35 anni di contributi per ottenere la pensione con il sistema retributivo, creando così nuova occupazione. Togliere subito il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e assumere massicciamente lavoratori partendo dalle emergenze del sistema sanitario e scolastico, del dissesto idrologico e del patrimonio edilizio pubblico e culturale del Paese, nazionalizzare le aziende più grandi e strategiche, battersi per case popolari gratuite o a prezzi politici e servizi pubblici e sociali per tutti. Misure molto più efficaci nel combattere la povertà e la disoccupazione del reddito di base.
Questo non significa che non si debba sostenere chi non ha un reddito, tutt'altro. Ma non si devono togliere, bensì ampliare, strumenti che già ci sono come la cassa integrazione, l'assegno di disoccupazione (ora Naspi), assegni e detrazioni familiari, l'indennità di mobilità, la sanità pubblica. Dobbiamo rivendicare lavoro per tutti i disoccupati e i lavoratori stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, e questo comporta di conseguenza una dura lotta contro i vari governi borghesi, contro il neoliberismo economico, il federalismo, le privatizzazioni, il disimpegno dello Stato dal sociale.
In seconda battuta, e solo in seconda battuta, chiediamo una indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria per un periodo non inferiore a tre anni. Indennità che deve essere estesa anche ai giovani in cerca di prima occupazione. Così come chiediamo per le casalinghe senza reddito la pensione sociale. Quindi noi vogliamo che nessuno resti a casa senza salario, quello che contestiamo è che questo reddito di base non può rappresentare la bussola che orienta i comunisti, i lavoratori e i progressisti in generale.
Anche perché sul piano concreto non potrà andare molto al di là di un'elemosina. Quando molti lavori “legali” sono al di sotto dei mille euro, come si può solo pensare che un reddito universale concesso senza lavorare permetta di vivere al livello medio degli altri cittadini europei? E anziché concentrare le risorse su chi ha bisogno è lecito dare, come prevede il Basic Income e come ha ribadito recentemente Grillo: “Un reddito di base universale, per diritto di nascita, destinato a tutti, dai più poveri ai più ricchi” e poi chiedere di “stringere la cinghia” ai lavoratori e alle masse popolari perché l'economia ristagna e le casse pubbliche sono vuote?
Questo non ha niente a che vedere con il reddito di emergenza (Rem) nel contesto del Coronavirus per tutti i lavoratori irregolari, precari, stagionali, le colf e le badanti, per chi non ha un reddito sufficiente per vivere. Anzi, reputiamo del tutto inadeguata la cifra di 400-800 euro destinata dal governo al Rem. Il PMLI rivendica 1200 euro mensili almeno fino alla fine del 2020, ed ha sempre appoggiato altre proposte di sostegno come il “reddito di quarantena”.
Ma questo deve rappresentare l'eccezione o, come esplicita il nome Rem, l'emergenza. Ma rifiutiamo forme permanenti di sostegno al reddito slegate dal lavoro che allontanano i proletari dalla lotta di classe, dalla lotta contro il capitalismo e per il socialismo, dividono gli occupati dai disoccupati, mantengono mansueto e numeroso l'esercito industriale di riserva, regalano soldi ai milionari e a chi vive di rendita, non intaccano i profitti dei capitalisti e alla fine non alleviano neppure le condizioni di vita delle masse. Perché il lavoro è un diritto mentre qualsiasi tipo di reddito permanente slegato dal lavoro si configura solo come una elemosina.
 

27 maggio 2020