L e t t e r e

Le giravolte dei revisionisti di ieri e di oggi e gli smascheramenti dei Maestri e de “Il Bolscevico”
Circa il dietrofront di Luciana Castellina sulla sua posizione del 1970 a proposito dello Statuto dei Lavoratori, così ben descritto da parte de “Il Bolscevico" ultimo scorso, viene da dire che i revisionisti sono veramente tutti uguali tra loro e a se stessi (è Luciana Castellina, ma anche tutto "il manifesto" legato alle posizioni espresse sul giornale dalla sua "guru" trotzkista), come straordinariamente ben detto da Mao: "Il revisionismo, o opportunismo di destra, è una corrente ideologica borghese, è ancora più pericoloso del dogmatismo. I revisionisti o opportunisti di destra, approvano a parole il marxismo e attaccano anch'essi il 'dogmatismo'. Ma i loro attacchi sono diretti in effetti contro la sostanza stessa del marxismo. Essi combattono e snaturano il materialismo e la dialettica" (Mao, "Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo", 27 febbraio 1957, Ed. PMLI 1998, p. 35).
Affermazioni chiarissime, inoppugnabili, che si riscontrano ora nel tardivo mea culpa della Castellina, come di un altro revisionista, Mario Capanna, ultimamente presentato solo come "scrittore" non più come ex-parlamentare (è noto che abbia conseguito una pensione come tale, senza aver maturato i relativi diritti) e neppure come ex-dirigente del Movimento Studentesco del 1968 (quasi si vergognasse del suo passato), che in varie dichiarazioni auspica genericamente un "nuovo autunno caldo dei lavoratori e delle donne", senza in alcun modo accennare né alle minoranze LGBT, ai lavoratori immigrati, ma soprattutto senza entrare nel merito delle contraddizioni del sistema capitalista, che evidentemente accetta ormai integralmente o quasi.
Come si evince dalla bellissima analisi de “Il Bolscevico", lo Statuto dei Lavoratori del 1970 è stato e tuttora è, essendo ancora formalmente in vigore, pur se ampiamente "riformato" in peggio dai governi Berlusconi, Monti, Renzi, un palliativo revisionista di stampo socialdemocratico-revisionista, per il quale vale tutto quanto evidenziato dal Maestro Mao nel testo citato come in tanti altri. Che ora lo si esalti come un documento rivoluzionario è sintomatico di un atteggiamento in voga ormai da anni, anzi da decenni, che si accontenta del "male minore" o addirittura plaude ad esso. Che a farlo siano i vari Castellina, Capanna o altri, "il prodotto non cambia". Per fortuna, credo e temo che non lo si ribadisca mai abbastanza, "Il Bolscevico" è l'unico organo di informazione correttamente marxista-leninista, mentre tutti gli altri, lungi dal fare anche solo ciò che un tempo si chiamava "controinformazione" (un tema sul quale, con tutti i limiti di un'impostazione genericamente "movimentista" Pio Baldelli aveva scritto pagine certamente notevoli), fanno a gara a chi si distingue per essere più revisionista.
Lo si vede chiaramente ora, anche a proposito del Covid 19, ma non solo, quando illustri pseudorivoluzionari, in realtà veri revisionisti, si affannano a rivendicare i diritti del padronato "che dà lavoro" (sic). Come ricordava Engels nel commemorare Marx: "La 'Neue Rheinische Zeitung', fondata da Marx fu l'unico giornale che in seno al movimento democratico di quel tempo (1848-1849) difese le posizioni del proletariato, il che esso già fece schierandosi senza riserve dalla parte degli insorti del giugno 1848 a Parigi, cosa che fece perdere al giornale tutti i suoi azionisti" (Engels, Commemorazione di Marx, 17 marzo 1883). Figurarsi oggi un giornale, un Tg o altra fonte d'informazione capace di prendere posizione netta a favore della rivoluzione. Nessuno, tranne."Il Bolscevico"!
Eugen Galasso - Firenze
 
Non sottovalutare e reagire al diffondersi delle teorie neofasciste
Vergognose teorie, in versioni più o meno diverse, si stanno diffondendo in Italia tra il fior fiore della nuova fogna neofascista alla puzza di stragismo degli anni Settanta e servizi segreti made in London che invoca massicce manifestazioni contro la “dittatura sanitaria comunista” e persino ambienti più o meno improbabili. E sui social si torna ad invocare una nuova “marcia su Roma” con tanto di video, logo, gruppi e pagine Facebook. Tra le prime date che erano state individuate ci sono state la domenica di Pasqua, il 25 aprile e il 4 maggio.
Cercando su Facebook abbiamo trovato pagine e gruppi (alcuni presenti anche su Telegram) che invocano l’insurrezione armata, marce su Roma e la violenta occupazione delle istituzioni democratiche in nome del complottismo, della rivolta contro la dittatura di ebrei, comunisti, “nemici del popolo italiano”, accusati di voler far invadere dagli immigrati l’Italia per distruggerla e deliri simili.
Le date segnate in rosso sono, appunto, il 30 maggio e il 2 giugno, odierni forconi hanno addirittura attaccato il “centro-destra” che nel giorno della Festa della Repubblica vorrebbe protestare contro il governo Conte perché gli “ruberebbe” la piazza. In uno di questi gruppi abbiamo trovato pubblicato il 23 aprile “Care Forze dell’ordine, se non volete fare la fine delle stesse bare da voi trasportate, non ci impedite di manifestare il giorno che scenderemo in piazza”. In queste ultime settimane il numero di post, anche con centinaia di commenti ciascuno, è in aumento sempre maggiore e un monitoraggio completo è praticamente impossibile.
Quelle frange protagoniste di violenze ripetute negli anni, infiltrati dallo spaccio, dalla ‘ndrangheta e altre mafie e da movimenti neonazisti e neofascisti collegati a reti internazionali, dove - come ha sottolineato Leonardo Palmisano in un'intervista - la “carica eversiva” è forte. Un’onda violenta montante, pericolosa ed antidemocratica, sottovalutata anche da ambienti che si definiscono di sinistra e “comunisti”, incredibilmente qualcosa era stato segnalato diverse settimane fa su Facebook e da questi ambienti l’unica reazione è stata definire chi ha lanciato l’allarme “amici delle guardie come Don Matteo”, “digossini” e simili. Un comportamento, anzi forse dovremmo definirlo comportazione come un noto comico cinematografico perché il livello è quello, che definire sconcertante è poco.
Alessio Di Florio, via e-mail

3 giugno 2020