In due mesi un calo di 400mila unità
Crolla l'occupazione

Nonostante il blocco dei licenziamenti contenuto nei Decreti governativi sia stato allungato, il numero degli occupati nel nostro Paese ha subito un calo vertiginoso. Il coronavirus e l'emergenza sanitaria che ne è conseguita hanno fatto sentire il loro impatto sul “mercato del lavoro”. Non è stata una grossa sorpresa perché gli ultimi dati facevano già presagire il cataclisma che ha spazzato via centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Alla fine di aprile i dati dell'Istat registravano una perdita del Prodotto Interno Lordo (Pil) del 5,3% rispetto al trimestre precedente e del 5,4% nei confronti del primo trimestre del 2019, in un periodo che comprende solo la prima fase della pandemia da Covid-19. Tutti i principali aggregati della domanda interna segnalati in diminuzione, con un calo del 5,1% dei consumi finali nazionali e dell’8,1% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni diminuite, rispettivamente del 6,2% e dell’8%. Andamenti congiunturali negativi del valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi diminuiti rispettivamente dell’1,9%, dell’8,1% e del 4,4%.
Lo stesso dicasi per i numeri forniti dall'Inps, dati ancora molto parziali perché fotografavano la situazione solo fino ai mesi di marzo-aprile. Soltanto i destinatari di cassa integrazione e assegno ordinario erano 6 milioni e 756 mila, vale a dire il 37,4% dei 18 milioni di dipendenti registrati in media nel 2019. Tra questi ci sono circa 2,5 milioni di lavoratori le cui aziende hanno richiesto il pagamento diretto all’Inps, con il problema del ritardo nell’effettiva erogazione.
Sempre secondo l'Inps i nuovi rapporti di lavoro attivati nei primi due mesi dell’anno, cioè prima delle misure di chiusura prese dal governo, erano -44 mila a tempo indeterminato; -100 mila nelle assunzioni a termine; -48 mila in somministrazione, che sommati alle altre tipologie (apprendistato, stagionali e intermittenti) danno una diminuzione di circa 205 mila nuovi rapporti di lavoro attivati rispetto allo stesso bimestre 2019.
Adesso è di nuovo l'Istat a certificare le conseguenze di questo andamento dell'economia sui posti di lavoro. In un mese, vale a dire aprile su marzo, l’occupazione crolla di qualcosa come 274mila unità, trainata dalla caduta verticale dei lavoratori a termine e degli indipendenti. Com'era prevedibile l'uragano si è abbattuto principalmente sulla parte più fragile dell’occupazione, quella che, grazie alla deregolamentazione del “mercato del lavoro” degli ultimi decenni, è andata a ingrossare in maniera esponenziale l'esercito dei precari. Gli occupati a termine calano di 129mila unita, c’è tuttavia anche un calo di 76mila dipendenti permanenti, nonostante il blocco dei licenziamenti in vigore fino a metà agosto.
Una perdita di 274 mila posti di lavoro in un solo mese non si era mai vista. Almeno da quando sono disponibili le serie congiunturali, ossia dal 2004. Stando ai dati dell'Istat finora la riduzione maggiore era stata quella del settembre del 2009, quando però l'emorragia si fermò a 125 mila occupati. Nei soli mesi di marzo e aprile l'occupazione è calata di ben 400mila unità colpendo un po’ tutte le componenti del mercato del lavoro pur con un'incidenza leggermente maggiore per le donne, con una caduta generalizzata della partecipazione al lavoro.
Non deve trarre in inganno il forte calo dei disoccupati, -484mila in un solo mese. Infatti, sia chi ha perso il lavoro sia chi non lo sta più cercando, è finito interamente per ingrossare le file degli inattivi, che hanno registrato un boom notevole: +746mila, sempre in un solo mese, tra questi, moltissimi scoraggiati. In sostanza chi si è ritrovato senza un lavoro nel periodo di lockdown ha ritenuto del tutto inutile mettersi alla ricerca di una nuova occupazione.
Questi dati confermano la drammaticità della situazione economica, numeri destinati addirittura a peggiorare nei prossimi mesi e che dimostrano come le conseguenze della crisi la stiano pagando sopratutto i lavoratori dipendenti a partire dai precari, irregolari a nero e in “grigio”, gli artigiani, gli autonomi, le partite Iva e le aziende più piccole, mentre il grande capitale salvaguardia i propri profitti aiutato e finanziato anche dallo Stato, senza nemmeno assicurare i livelli occupazionali. Migliaia di lavoratori in attesa di riscuotere la cassa integrazione e nuovi poveri che raddoppiano, nel frattempo 9 milioni di dipendenti aspettano il rinnovo del contratto nazionale ma Confindustria non vuol sentir parlare di incrementi salariali ma solo di aumenti della produttività.
Non vi è alcun presupposto che possa giustificare l'atteggiamento collaborativo e arrendevole dei sindacati, Cgil compresa, davanti all'arroganza padronale. Occorre subito reagire con la mobilitazione per ottenere la salvaguardia dei posti di lavoro, dei salari e dei diritti e non rimanere schiacciati tra la rapacità dei capitalisti e la dittatura antivirus del governo Conte e le sue misure economiche insufficienti ad alleviare i bisogni dei lavoratori e delle masse popolari.

10 giugno 2020