Per l'omicidio dell'afroamericano George Floyd da parte della polizia
Un milione manifesta davanti alla Casa Bianca blindata e militarizzata
Violato il coprifuoco in diverse città. Poliziotti marciano con i rivoltosi. Trump si dichiara: “Presidente di ordine e legge” contro la “feccia”. Sciopero dei dipendenti di Facebook perché il social “non fa nulla contro i post di Donald Trump”.
Manifestazioni di sostegno in tutto il mondo e anche in Italia

 
"Black Lives Matter", le vite dei neri contano, la grande scritta gialla verniciata a terra sulla strada che porta alla Casa Bianca, ha accolto il milione di manifestanti che il 6 giugno hanno manifestato a Washington di fronte alla residenza presidenziale blindata e protetta dalla Guardia nazionale dopo le proteste dei giorni precedenti. Un appuntamento convocato da una serie di gruppi e organizzazioni in una decina di punti della città con cortei che sono poi confluiti nella grande marcia contro il razzismo e per chiedere la punizione dei responsabili dell'assassinio dell'afroamericano George Floyd il 25 maggio a Minneapolis, in Minnesota, e per tutti gli afroamericani uccisi dalla polizia.
Altre proteste e cortei si svolgevano lo stesso giorno in almeno 600 città in tutti gli Usa con i manifestanti che gridavano le ultime parole di Floyd “non riesco a respirare” e si fermavano con un ginocchio a terra per nove minuti, il tempo che il poliziotto assassino aveva tenuto bloccato a terra col ginocchio l'afroamericano, ma anche il gesto di protesta, ginocchio in terra e non sull'attenti con la mano sul cuore, alle manifestazioni sportive durante l'esecuzione dell'inno nazionale lanciato da atleti afroamericani quattro anni fa dopo l'ennesimo omicidio razziale della polizia per protestare contro “l’oppressione dei neri e delle minoranze etniche” e attaccato da Trump come atto “offensivo e irrispettoso”.
Oltre mezzo secolo fa Mao nell'esprimere il fermo appoggio alla giusta lotta degli afroamericani in rivolta dopo l'assassinio di Martin Luther King, il 4 aprile 1968 a Memphis nel Tennessee, con una lucida analisi che mantiene la sua attualità indicava che “la tempesta della lotta afroamericana che imperversa negli Stati Uniti è una chiara manifestazione della crisi politica e economica che oggi soffoca l'imperialismo americano ”, e “infligge un duro colpo all'imperialismo USA che si dibatte nelle difficoltà all'interno e fuori del paese ”. Chiariva che era una lotta contro la discriminazione razziale, frutto del sistema colonialista e imperialista, ma anche una lotta di classe per l'emancipazione dei neri e di tutti gli sfruttati e oppressi poiché “le masse degli afroamericani e le masse dei lavoratori bianchi hanno interessi e obiettivi di lotta comuni ”, contro “il barbaro dominio della borghesia monopolistica ”, e infine di esempio e di “grande incoraggiamento a tutti i popoli del mondo in lotta contro l'imperialismo americano ”. Non ci sono parole più efficaci per capire le ragioni e appoggiare la attuale rivolta degli afroamericani e degli antirazzisti e i progressisti bianchi dopo l'omicidio dell'afroamericano George Floyd.
L'indignazione per la scena orribile del poliziotto che immobilizza e soffoca col ginocchio sul collo Floyd, nonostante questi gli dica “non riesco a respirare” e le proteste di alcuni testimoni, lanciata sui media il pomeriggio del 26 maggio è stata la scintilla che ha accesso la miscela esplosiva costituita dal moltiplicarsi degli assassinii di afroamericani da parte della polizia, che per la quasi totalità restano impuniti; dal dilagare dei licenziamenti per la crisi economica dovuta al coronavirus che hanno registrato in poco più di due mesi oltre 40 milioni di disoccupati ufficiali; dal continuo aumento dei morti, oltre 100 mila a fine maggio, dovuti alla crisi sanitaria e al criminale disinteresse per la salute delle masse popolari dimostrato dall'amministrazione Trump, tutta concentrata a alimentare la guerra fredda alla Cina per recuperare il suo ruolo di leader imperialista indiscusso nel mondo.
La prima a mobilitarsi è stata la numerosa comunità afroamericana di Minneapolis che scendeva in piazza il 26 maggio con una protesta che si scagliava contro auto e sedi della polizia. E che costringeva i vertici del corpo a licenziare i 4 agenti coinvolti mell'omicidio. Solo dopo due giorni di violente proteste scattava l'arresto dell'agente assassino, in un primo tempo solo per omicidio colposo e ci vorranno altri cinque giorni per far partire l'accusa di omicidio volontario e l'arresto degli altri agenti di pattuglia.
Un risultato dovuto alla determinazione della famiglia di Floyd che contestava il comunicato ufficiale della polizia che dopo l'autopsia escludeva “una diagnosi di asfissia traumatica o di strangolamento” e soprattutto alla forte protesta multirazziale che da Minneapolis si allargava rapidamente a più di cento città e alla quale governatori e Casa Bianca rispondevano decretando in 42 casi il coprifuoco e schierando migliaia di membri della Guardia Nazionale in 15 Stati e a protezione della sede presidenziale a Washington DC. Il coprifuoco era regolarmente violato dai manifestanti che continuavano a scendere in piazza.
Una velenosa campagna di stampa metteva in forte evidenza solo gli assalti a negozi e supermercati, vedasi in Italia gli strabordanti servizi della filotrumpiana La Repubblica di Elkann e Molinari, in appoggio alla tesi di Trump che definiva “feccia” i manifestanti e invocava il criminale uso dell'esercito contro i cortei di protesta. I giornalisti che sul campo documentavano la repressione della polizia erano invece bersaglio degli agenti, colpiti da proiettili di gomma, bloccati e spruzzati con gas urticanti pur avendo ben visibili le credenziali stampa. In realtà si è trattato di una rivolta di massa antifascista e antirazzista che poggia su profonde radici sociali e politiche, sull'incontenibile malcontento e sulla lotta di classe degli strati più oppressi e poveri, senza lavoro, senza reddito, stremati e affamati dalla politica del fascista Trump interessato solamente a favorire le grandi multinazionali e la grande industria Usa nella “guerra fredda” per la supremazia mondiale contro il socialimperialismo cinese.
La prima settimana di proteste, quella coi maggiori scontri, si chiudeva con un bilancio ufficiale che registrava tre morti, centinaia di feriti e più di 4 mila arresti. Ma anche con i risultati dell'autopsia commissionata dai familiari di Floyd che certificava che l'afroamericano era morto per “asfissia causata da compressione al collo e alla schiena” per l'azione di tre agenti che quindi erano penalmente responsabili. I poliziotti criminali erano indifendibili e venivano affidati al giudizio di un processo, un primo risultato certamente ma l'esperienza insegna che occorrerà verificare sia se e quando ci sarà il processo e con quale verdetto. Finora nel 99% dei casi noti e registrati di morti causati da agenti in servizio il responsabile è andato assolto, spesso neanche incriminato, mentre nella stragrande maggioranza dei casi rimangono ignoti e censurati a priori.
Il piano per spostare l'attenzione dai crimini della polizia, coperti dalla Casa Bianca, e dalla crescita di un vasto e unitario movimento di protesta a casi di saccheggio per giustificare il pugno di ferro del “Presidente di ordine e legge” falliva. Tanto che nelle ultime proteste i poliziotti solidarizzavano con i manifestanti e ripetevano il gesto di inginocchiarsi, finanche il ministro della Difesa Mark Esper osava dichiarasi contrario all'uso delle forze armate contro i manifestanti ventilato da Trump.
La protesta era arrivata alle porte della Casa Bianca il 30 maggio, bloccata dalla guardia presidenziale. Se i dimostranti fossero riusciti a superare la cancellata “sarebbero stati accolti dai cani più feroci e dalle armi più minacciose che io abbia mai visto. E la gente si sarebbe fatta veramente male”, latrava in un cinguettio il fascista Trump, rievocando la vecchia pratica razzista dei cani usati contro gli afroamericani, e invocava l'intervento militare: “oltrepassare le linee dello Stato per incitare alla violenza è un crimine federale. I governatori e i sindaci liberali devono essere più duri o il governo federale interverrà e farà quello che va fatto, compreso l'uso del potere illimitato del nostro esercito e numerosi arresti, dispiegherò l'esercito degli Stati Uniti e risolverò velocemente il problema per loro”. Il presidente americano minacciava di ricorrere a una legge del 1807, l'Insurrection Act, scavalcando i poteri dei governatori, dichiarare la legge marziale e usare le forze armate contro i manifestanti. Così come nel 1992, l'allora presidente George Bush senior intervenne per reprimere le proteste a Los Angeles dopo l'assoluzione degli agenti che picchiarono a morte l'afroamericano Rodney King.
La minaccia non sortiva effetto sulla protesta e dopo l'opposizione del Pentagono a schierare le truppe Trump, con una delle sue consuete giravolte, annunciava che “forse” l'uso dell'esercito non era necessario, “anche se abbiamo il forte potere di farlo” minacciava, e bastava la Guardia nazionale.
A impensierire il fascista Trump non sarà certo l'opposizione democratica, quantunque i sondaggi sembrerebbero indicare un distacco maggiore dal concorrente Joe Biden cresciuto oltre i dieci punti percentuali di ritardo a causa della ripulsa all'azione della Casa Bianca. Il 4 giugno l'ex presidente Barack Obama invitava in particolare i giovani protagonisti delle proteste di piazza a “far sì che l'America stavolta cambi davvero. (…) Impegnatevi, partecipate, andate a votare per costringere l'intera società a voltare pagina”. Un vicolo cieco per i diritti degli afroamericani e delle masse popolari americane, come ha già dimostrato il voto che lo ha portato alla Casa Bianca dal 2009 al 2017, primo presidente afroamericano, per un doppio mandato presienziale durante il quale non ha cambiato una virgola nella società razzista americana. Quello di Obama altro non è che un tentativo di evirare il movimento impantanandolo nel sostegno elettorale alla sbiadita candidatura presidenziale democratica di Joe Biden che cerca di conquistare consensi nella parte di elettorato che non ne può più di Trump.
Più che le manovre elettoraliste dei democratici hanno maggiore rilevanza le prese di posizione a favore dei manifestanti che si moltiplicavano. Twitter continuava a segnalare come inappropriati e pericolosi alcuni messaggi di Trump sulle manifestazioni, dipendenti di Facebook attuavano uno sciopero virtuale denunciando che il social del giovane miliardario Mark Zuckerberg “non fa nulla contro i post di Donald Trump” che incoraggiano apertamente la violenza nei confronti dei manifestanti. Più di 800 giornalisti e lavoratori del New York Times firmavano una lettera di contestazione alla direzione del giornale per aver pubblicato il 3 giugno un delirante articolo di un senatore repubblicano che invocava l'uso dell'esercito contro i manifestanti, senza commento; il 7 giugno la proprietà annunciava le dimissioni del responsabile della sezione che aveva ospitato l'intervento. La lega di football americano Nfl che nel 2017 aveva attaccato gli atleti afroamericani che si inginocchiavano all'inno nazionale cambiava posizione, si scusava e sosteneva la protesta incoraggiando i propri giocatori a esprimersi.
L'attenzione e la larga solidarietà con la protesta in Usa per l'omicidio dell'afroamericano Floyd sono ancora alte nel mondo, testimoniate dalle numerosissime manifestazioni che pur nelle more delle restrizioni previste per il coronavirus si sono svolte nella prima settimana di giugno prima e assieme alla grande manifestazione a Washington, in Asia dall'Australia alla Corea del Sud, al Giappone alla Thailandia; in Europa le principali ci sono state in Francia, Germania, Spagna, Olanda, Belgio e in Gran Bretagna, dai grandi cortei a Londra a quelle in città minori quali Bristol, una volta fra i principali scali marittimi inglesi, dove i manifestanti hanno abbattuto e gettato nel fiume la statua dello schiavista Edward Colston, che nel XVII secolo fece fortuna con il traffico di schiavi dall'Africa occidentale. In Italia vi è stata una grande mobilitazione che ha interessato la capitale Roma e moltissime città, grandi e piccole, come Napoli a Torino e Milano, passando per Roma, Bologna e Firenze. Il PMLI è stato presente e attivo nelle iniziative svoltesi a Roma, Campobasso, Napoli e Catania (si leggano i servizi relativi nelle pagine 10 e 11).
Concludiamo con le parole di Mao che, pur se pronunciate in una diversa situazione internazionale, mantengono la loro validità nell'indicare l'obiettivo da perseguire: “La discriminazione razziale praticata negli Stati Uniti è frutto del sistema colonialista e imperialista. La contraddizione tra le masse degli afroamericani e i circoli dominanti USA è una contraddizione di classe. Solo rovesciando il dominio reazionario della borghesia monopolistica americana e distruggendo il sistema colonialista e imperialista, gli afroamericani potranno conquistare la completa emancipazione ”.
Viva la rivolta antirazzista e antifascista negli Usa! Che essa si estenda e si radicalizzi fino a mettere in discussione il sistema economico e politico capitalista e contribuisca a creare anche in quella cittadella dell'imperialismo intenazionale le condizioni per la lotta per il socialismo e il potere politico del proletariato.

10 giugno 2020