Conte chiede l'aiuto degli “Stati generali” per far uscire l'Italia capitalista dalla crisi economica e sociale
Tante bandiere rosse, tra cui quella del PMLI, a Villa Pamphili, contestano l'iniziativa di Conte
L'Italia si salva solo con il socialismo e il potere politico del proletariato

Incurante delle proteste e dei mugugni del PD per essere stato scavalcato da questa iniziativa, nonché delle accuse dei partiti del “centro-destra” di aver ignorato il parlamento e di cercare solo una passerella mediatica, Giuseppe Conte ha tirato dritto per la sua strada e sabato 13 giugno ha inaugurato in pompa magna ma a porte chiuse i suoi “Stati generali” nella cornice di Villa Doria Pamphili. Anzi ha addirittura allungato la durata dell'evento a 10 giorni, da una settimana prevista inizialmente. Ha solo dovuto rinviare la partenza di un giorno a causa dell'interrogatorio come persona informata sui fatti, insieme ai ministri Speranza e Lamorgese, da parte della pm inviata dalla procura di Bergamo in merito all'inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro, per accertare eventuali responsabilità penali nell'elevato numero di decessi per covid-19 registrati in quel territorio: cosa che Conte ha recisamente escluso, per quel che lo riguarda, con la formula “rifarei tutto quello che ho fatto perché ho agito in scienza e coscienza”.
A guastare la festa al premier dittatore antivirus, il giorno dell'inaugurazione davanti alla villa circondata da un imponente schieramento di polizia, è stato un presidio di protesta di alcune centinaia di persone con tante bandiere rosse, tra cui anche quella del PMLI, di cui riferiamo a parte. Aboubakar Soumahoro, il leader sindacale Usb dei braccianti migranti si è incatenato il terzo giorno nei pressi della villa e ha iniziato uno sciopero della fame che andrà avanti, secondo il comunicato: “finché il governo non ascolterà il grido di dolore degli invisibili e degli esclusi. A partire dalle grida dei braccianti dimenticati dalla cosiddetta regolarizzazione prevista nel Decreto Rilancio. Sono gli stessi lavoratori che a giugno hanno visto morire Mohamed Ben Ali, per tutti Baye Fall, nell’incendio della sua baracca a Borgo Mezzanone, nel Foggiano, e Adnan Siddique, ucciso dai caporali a Caltanissetta”.
 

Conte e il sostegno degli eurocrati di Bruxelles
All'inaugurazione hanno presenziato anche, collegati in videoconferenza, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente della Bce Christine Lagarde, la direttrice del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva, il commissario economico Paolo Gentiloni e il presidente del parlamento europeo Davide Sassoli, a rimarcare la forte sponsorizzazione di Conte e dei suoi “Stati generali” da parte degli eurocrati di Bruxelles e della grande finanza internazionale. Mancavano solo la Merkel e Macron, ma solo perché stanno dietro le quinte in qualità di veri registi dell'intera operazione, che dovrà comunque muoversi nei binari da loro rigidamente prefissati.
Con questa convocazione degli “Stati generali dell'economia” - una definizione che rievoca la convocazione dei tre Stati (nobiltà, clero e borghesia) da parte di Luigi XVI nel tentativo di trovare un compromesso per scongiurare la rivoluzione che stava per abbattersi sul regno di Francia - Conte si prefigge non soltanto l'obiettivo ufficiale di mettere a punto un piano da presentare in Europa per avere accesso ai miliardi del Recovery fund , ma anche quello di salvare il suo, di regno: vale a dire di proporsi come l'unico leader di statura europea e in grado di trattare direttamente con gli altri leader della Ue per portare a casa i 170 miliardi di finanziamenti promessi all'Italia; il che gli dovrebbe garantire di restare in sella anche oltre la fase dell'emergenza e possibilmente per tutta “la fase 3” della “ripresa” economica, a dispetto delle voci di una sua sostituzione in corsa tramite “rimpasti” o “governissimi”, come brigano i renziani, o di una sua caduta imminente per andare ad elezioni in autunno, come sono tornati a chiedere Salvini e Meloni.
E poco gli importa se tutto questo avviene ancora una volta al di fuori del parlamento: ciò è del tutto coerente con la sua dittatura personale che ha instaurato surrettiziamente approfittando dello stato di emergenza per fronteggiare la pandemia, con l'uso massiccio dei Dpcm, degli appelli diretti al Paese e degli annunci ad effetto, come appunto quello degli “Stati generali dell'economia”. Rivolgendosi alle corporazioni, ossia dalle organizzazioni imprenditoriali e finanziarie a quelle sindacali e delle categorie, fino alle “singole menti brillanti” del Paese, Conte chiede in definitiva il loro aiuto per fare uscire l'Italia capitalista dalla crisi economica e sociale devastante che si sta addensando sempre più all'orizzonte, salvando in questo modo anche sé stesso e il suo governo. Il fatto è che egli punta ad uscirne da destra, senza scalfire il potere e i privilegi dei capitalisti ma facendola pagare interamente ai lavoratori e alle generazioni future, questo è il nocciolo della questione.
 

Un coro unanime liberista e aziendalista
Che questo sia il tema di fondo non detto della dieci giorni romana lo si poteva percepire già nella prima giornata inaugurale, da certi interventi come quello di Ignazio Visco e degli ospiti europei. Nell'avvertire che quest'anno il Pil potrebbe precipitare anche al -13%, il governatore della Banca d'Italia ha chiesto di “muoversi lungo un disegno organico di riforme”, attorno al quale realizzare “il maggior consenso possibile”, offrendo con ciò un'evidente sponda all'unità nazionale col “centro-destra”. E ha insistito sull'aumento della produttività del lavoro, la riduzione delle tasse e il taglio della spesa pensionistica, augurandosi che “le consultazioni nazionali possano concludersi con atti concreti”: poche chiacchiere e mettetevi al lavoro, insomma. Sullo stesso tono gli interventi delle presidenti della Commissione europea e della Bce, con Ursula von der Leyen a rimarcare puntigliosamente l'alto debito pubblico dell'Italia, mentre Christine Lagarde ha avvertito che l'aiuto della Bce avrà “un'efficacia migliore per ogni euro speso solo se saranno attuate riforme strutturali”.
Anche la relazione della “task force” per il rilancio dell'economia presieduta da Colao, presentata in apertura del secondo giorno dei lavori, aderisce a questa logica di uscita dalla crisi con un'impostazione marcatamente liberista e aziendalista e puntando tutto su “riforme” finalizzate unicamente all'aumento della produttività capitalistica. Non a caso non è stata firmata dall'economista Mariana Mazzuccato, membro della commissione Colao ma favorevole a una maggiore presenza dello Stato nell'economia.
Tra le proposte della relazione troviamo infatti il rinnovo di tutti i contratti a termine, anche in deroga al “decreto dignità”, il ripristino del super e dell'iper ammortamento per le imprese, il condono per i depositi in contante non dichiarati e per i capitali esportati all'estero, il differimento di tutte le imposte senza distinzioni tra contribuenti in difficoltà o no, l'estensione massiccia dello smart-working in tutti i settori, lo sblocco delle grandi opere e l'estensione dell'alta velocità in tutto il Paese, la cancellazione del codice degli appalti e leggi e protocolli per la realizzazione di infrastrutture “non opponibili” dagli enti locali, la generalizzazione del “silenzio-assenso” e dell'autocertificazione per ottenere le autorizzazioni pubbliche, l'estensione delle concessioni pubbliche ai privati, la riforma dell'istruzione e della formazione per renderle più aderenti alle necessità delle imprese. Inoltre il piano Colao ignora completamente – se si eccettua l'alta velocità – il problema del Sud, che rischia di uscire dalla crisi vedendo aumentare ulteriormente il divario col resto del Paese, come ha denunciato anche il direttore generale dello Svimez, l'istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno, Luca Bianchi, il quale vede nel piano Colao “una mancanza di strategie concrete e scarsa attenzione alle potenzialità del Mezzogiorno”.
 

Il “Piano di rinascita” del dittatore Conte
Contrariamente a quanto riportato dalla stampa, che Conte avrebbe sostanzialmente snobbato il piano di Colao, con il quale i rapporti si sarebbero guastati dopo che il nome dell'ex manager di Vodafone era circolato come candidato a guidare un “governissimo”, il masterplan “progettiamo il Rilancio” o “Piano di rinascita” che Conte presenterà agli “Stati generali” non ha ripreso solo alcune delle 102 proposte di quel piano, come il puntare sulle reti di comunicazione in fibra ottica e 5G, l'alta velocità, la transizione energetica e la sburocratizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione. Ne ha certamente accantonate quelle che più hanno fatto discutere o irritato questo o quel componente della maggioranza, e magari suscitato il plauso di Salvini e Meloni, come la deroga al “decreto dignità”, i condoni, l'abolizione del codice appalti, il “silenzio-assenso” e così via. Ma ha adottato per esempio, sia pure in forma rielaborata, tutta la parte riguardante il sostegno alle imprese e la “professionalizzazione” della scuola e dell'università per subordinare totalmente istruzione e formazione alle esigenze dell'economia capitalista.
Avremo occasione di ritornare sul piano di Conte, anche perché mentre scriviamo gli “Stati generali” sono appena iniziati, ma intanto basta vedere che cosa ne ha anticipato il premier ai vertici di Cgil, Cisl e Uil nella seconda giornata per capire da che parte punti ad uscire dalla crisi: salario minimo, incentivazione del welfare contrattuale e promozione della contrattazione di secondo livello. Cioè tre proposte che aprono la strada all'abolizione di fatto dei contratti collettivi e all'attacco di ciò che rimane del già demolito “Stato sociale”. E poi, la “rimodulazione dell'orario di lavoro”, anche in vista dell'estensione dello smart-working, “che è destinato a trasformare tempi, spazi e relazioni di lavoro”: altro che riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario! Come si vede le nuove tecnologie e lo sviluppo innescato dal loro uso, nel sistema economico capitalistico rispondono unicamente alla necessità di massimizzare il profitto e spremere la forza-lavoro intensificandone lo sfruttamento e allungando elasticamente l'orario di lavoro invece di diminuirlo in conseguenza dell'aumentata produttività.
Conte propone inoltre di “modulare i contratti di lavoro al fine di eliminare le fattispecie più precarie” (invece dell'abolizione del precariato) e di “incentivare la partecipazione e la co-gestione dei lavoratori in azienda”, a cui deve corrispondere una “responsabilità sociale d'impresa, anche tramite sistemi premiali incentrati su indicatori europei”. Cose queste che rimandano ad una visione dell'economia e della società pericolosamente assonante col corporativismo mussoliniano. “A orecchio sento tanti titoli condivisibili e un interesse comune”, ha commentato Maurizio Landini; e Annamaria Furlan ha espresso un “giudizio positivo” auspicando addirittura che si arrivi ad “un patto sociale forte” sul modello Ciampi.
Ma non di un “nuovo patto sociale” hanno bisogno il proletariato e le masse lavoratrici e popolari italiane, bensì di un nuova stagione della lotta di classe, perché non siamo tutti sulla stessa barca e perché bisogna impedire che la crisi del capitalismo venga scaricata sulle loro spalle e per difendere e portare avanti esclusivamente i propri diritti e interessi. Allo stesso tempo la lotta di classe va finalizzata anche a preparare le condizioni per l'abbattimento del sistema capitalista e la conquista del socialismo, perché solo il socialismo e il potere politico del proletariato potranno salvare veramente l'Italia ed emancipare il proletariato dalla schiavitù salariata e le masse popolari dallo stato di miseria e precarietà in cui sono state condannate.
 

17 giugno 2020