Governo inconcludente
Gli operai ex Ilva scioperano contro i 5 mila licenziamenti annunciati da ArcelorMittal
L'ex Ilva va nazionalizzata

Nella serata di venerdì 5 giugno è arrivato sui tavoli dei ministri competenti, Patuanelli (Sviluppo economico), Gualtieri (Economia e Finanze) e Catalfo (Lavoro) il nuovo piano industriale di ArcelorMittal che prevede in particolare 3.200 “esuberi” già nel 2020 a cui si devono aggiungere 1.800 lavoratori temporaneamente in forza a Ilva in Amministrazione Straordinaria (AS), destinati alle bonifiche per essere successivamente riassorbiti nell’organico di Arcelor secondo l'accordo del 2018 stipulato tra il governo e l'azienda.
 

5mila licenziamenti
La multinazionale franco-indiana avrebbe fatto presente che lo scenario, rispetto agli ultimi incontri avvenuti con il governo (marzo 2020) è profondamente cambiato a causa del calo dei consumi e delle chiusure causate dal Covid-19. Un ottimo alibi per licenziare, non proseguire le opere ambientali e continuare a smantellare lo stabilimento di Taranto perché le reali intenzioni dei nuovi padroni erano palesi fin dall'arrivo della nuova Amministratrice delegata Lucia Morselli, giunta alla guida di ArcelorMittal Italia nel 2019 che parlò subito di pesanti tagli.
Un piano quindi che nella sostanza non si discosta dai 5mila esuberi immediati annunciati il 4 marzo scorso, quando la proposta fu definita “inaccettabile” dai ministri dell’esecutivo e dai sindacati metalmeccanici. Nel piano inviato, inoltre, ci sarebbe l’ipotesi di arrivare a produrre, una volta a regime, 6 milioni di tonnellate e non più 8 milioni utilizzando solo tre altiforni: Afo1, Afo2 e Afo4, rimandando la ripartenza dell'Afo numero 5.
 

La reazione dei sindacati
Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil ha dichiarato: “la crisi determinata dalla pandemia del Covid-19 non c’entra assolutamente nulla. Negli stabilimenti la situazione sta diventando esplosiva per una gestione inadeguata messa in atto dall’azienda. È inaccettabile qualunque soluzione che smentisca l’accordo che abbiamo fatto che prevedeva zero esuberi”.
Anche Marco Bentivogli della Fim-Cisl ha richiamato al rispetto degli accordi del 2018, completamente disattesi e sostituiti da “esuberi, Cassa Integrazione e ritardi negli investimenti e i 10.700 al lavoro nel 2025 sono solo teorici e senza nessuna consistenza”. Per Rocco Palombella della Uilm “il Governo deve far conoscere immediatamente il contenuto di questo piano perché sarebbe inaccettabile che migliaia di lavoratori e intere comunità rimanessero appesi a notizie di stampa non confermate ufficialmente o nuovamente a piani industriali secretati”.
Il ministro Patuanelli ha poi effettivamente informato, tramite videoconferenza, i sindacati, ma si è trattato di parole in libertà, che hanno dimostrato tutta l'inconcludenza del governo Conte sulla vicenda ex Ilva e più in generale sulla salvaguardia dell'occupazione nel nostro Paese. Come ha denunciato Franco Rizzo, del sindacato USB di Taranto: “Ci raccontiamo cose che non conosciamo, parliamo di un piano industriale senza sapere quali sono i contenuti. Discutiamo di documenti che non abbiamo letto, questo non è un ragionamento serio... come si può parlare di incomprensioni, - prosegue l'USB - queste sono malefatte! ArcelorMittal non ha praticamente rispettato nulla, ha fatto finora il contrario di tutto quello che ha detto e che era stato inserito nell’accordo da noi sottoscritto. ArcelorMittal ora deve andare via, a Taranto non ha investito un euro”.
 

Lo sciopero e la rabbia dei lavoratori
A fronte di questo stallo Cgil-Cisl-Uil e USB martedì 9 giugno hanno proclamato uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti italiani ex Ilva per respingere al mittente i 5mila licenziamenti. I sindacati dei metalmeccanici giudicano inaccettabile l’atteggiamento del governo che “continua a trattare con Arcelor-Mittal, una controparte che ha dato dimostrazione di essere un soggetto inaffidabile, che non rispetta gli impegni sottoscritti continuando a rinviare gli investimenti sulle innovazioni tecnologiche e non garantendo la manutenzione degli impianti”. Un atteggiamento criminale che ha causato negli ultimi tempi una lunga catena di infortuni anche mortali.
Con tutti gli operai attualmente in Cig da mesi, e con uno stipendio di 8-900 euro la rabbia e la tensione aumentano. Al presidio davanti alla direzione dello stabilimento siderurgico di Taranto, in concomitanza con lo sciopero e con l'incontro in videoconferenza convocato dal ministro Patuanelli, alcuni lavoratori hanno strappato le bandiere dei sindacati accusando le sigle metalmeccaniche di aver dimenticato gli operai in cassa integrazione da mesi e quelli rimasti in capo all'Ilva in AS. Frutto dell'esasperazione ma anche dell'incapacità di governo e sindacati di risolvere una vertenza che si trascina da troppo tempo, almeno dal 2012.
Nello stabilimento di Novi Ligure (Genova), la RSU dell'azienda che occupa quasi 700 dipendenti, ha chiamato a raccolta tutto il personale, tra operai, impiegati e quadri, per una forte mobilitazione, tornando nuovamente a bloccare i cancelli e le merci in uscita come alcune settimane fa. “Non sentiamoci intoccabili e partecipiamo compatti allo sciopero” è stata la parola d'ordine circolata tra i lavoratori della fabbrica ligure.
 

Disastrosa gestione di ArcelorMittal
Adesso ArcelorMittal chiede addirittura un finanziamento pubblico di quasi 2 miliardi di euro per poi licenziare 5mila operai. Intanto le aziende dell’appalto, che occupano migliaia di lavoratori, da quasi 2 anni vantano crediti arretrati, nel frattempo gli impianti senza manutenzione pagano le conseguenze di un prolungato disinteresse. Insomma, la breve gestione franco-indiana sta portando l'acciaieria e gli altiforni verso lo spegnimento, migliaia di lavoratori in mezzo alla strada e un'intera città al collasso occupazionale e ambientale.
Noi marxisti-leninisti siamo stati facili profeti nel prevedere come la cessione dell'Ilva ai privati, dopo essere stata per un breve periodo in amministrazione controllata dallo Stato, non avrebbe portato da nessuna parte e i nodi dell'inquinamento e dei tagli al personale si sarebbero presto ripresentati mettendo a rischio il futuro dell'acciaieria più grande d'Europa. Taranto rappresenta un segmento strategico dell'industria italiana, alimenta una serie di numerose altre attività e ha un forte impatto economico sull'economia pugliese e nazionale.
 

Nazionalizzare le acciaierie
Una fabbrica di questo tipo e di queste dimensioni necessita per forza di cose di una politica ambientale rigorosa ed economicamente onerosa, drasticamente diversa da quella tenuta fino ad ora. Né ArcelorMittal né altri privati sono in grado di tenere fede a questi impegni senza intaccare una quota del loro profitto. Molto più facile e vantaggioso sfruttare lavoratori, impianti, avvelenare la città, oppure chiuderla per eliminare un concorrente nel mercato dell'acciaio e poi lasciare le macerie dietro di se.
Per questo l'unica via d'uscita è estromettere la multinazionale franco-indiana riportando l'ex Ilva sotto la gestione statale. Siamo ben consapevoli che la nazionalizzazione nelle condizioni del capitalismo non risolve in maniera definitiva la questione, in ogni caso è l'unica strada percorribile per salvaguardare posti di lavoro e salute. Questi due obiettivi possono e devono stare insieme, non si devono contrapporre i lavoratori e la popolazione perché chi lavora in fabbrica è il primo a subire l'inquinamento e chi sta fuori subirà comunque anche l'impoverimento economico di tutta la città.

17 giugno 2020