Emesse 59 misure cautelari e sequestrati 80 milioni di euro di beni
Patto di camorra tra la famiglia Cesaro e i clan di Sant'Antimo
Centinaia tra indagati e arrestati. In misura cautelare tutta la famiglia Cesaro, indagato il senatore forzista Luigi

Redazione di Napoli
Non è passato nemmeno un mese dalla richiesta del GIP di Torre Annunziata di arresto per Luigi Cesaro per diversi reati, tra cui corruzione propria, che un’altra bufera giudiziaria si è abbattuta lo scorso 9 giugno sul capo del plurinquisito parlamentare di Forza Italia.
Questa volta è direttamente la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) ad intervenire negli affari loschi dell’ex autista del boss della NCO Raffaele Cutolo, con una maxi-inchiesta - cosiddetta “operazione Artemio” - che vede in pratica indagata tutta la famiglia Cesaro di Sant’Antimo, un comune dell’hinterland partenopeo, e arrestate 59 soggetti per reati commessi a vario titolo: dall’associazione mafiosa, al concorso esterno, dalla corruzione elettorale alla estorsione e turbata libertà degli incanti. Delitti di una gravità inaudita e commessi grazie all’aiuto di tre clan ben radicati nell’area Nord della provincia di Napoli, i Puca, i Verde e i Ranucci.
L’accusa principale è relativa alla forte e decisiva influenza sulle elezioni comunali del comune di San'Antimo da parte di questa alleanza tra la famiglia Cesaro e le organizzazioni camorriste che non solo compravano voti, ma giungevano anche a minacciare i consiglieri dell’opposizione. Tra i destinatari delle decine di misure cautelari (di cui 18 in carcere e 18 agli arresti domiciliari) chieste dai pm antimafia Giuseppina Loreto e Antonella Serio e accordate dal Giudice per le indagini preliminari Maria Luisa Miranda, anche due carabinieri.
L'“operazione Artemio” ha fatto luce “su attentati dinamitardi, estorsioni e tentati omicidi, ma anche su una fitta rete di cointeressenze sia in ambito politico sia imprenditoriale, sfociate in affari milionari per i clan e in una rilevante situazione di infiltrazione dell’amministrazione comunale”. Il Gip si è riservato di prendere una decisione in relazione alla posizione del senatore Luigi Cesaro, “all’esito dell’eventuale autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, ritenute rilevanti, secondo la procedura che verrà attivata da questo ufficio”. Il giudice ha disposto un vero e proprio maxi-sequestro di 194 unità, tra civili abitazioni, uffici, magazzini, autorimesse, nonché di 27 terreni (tutti ubicati tra le province di Napoli, Caserta, Frosinone e Cosenza), 9 società e 3 quote societarie, 10 autoveicoli e 44 rapporti finanziari. Tra i beni immobili c’è appunto la galleria commerciale di Sant’Antimo “Il Molino”, con oltre 90 locali adibiti ad esercizi commerciali e uffici: tutto per un valore di circa 80 milioni.
Tutto nasce dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia relative al rapporto saldo prima e conflittuale poi tra il clan Puca e la famiglia Cesaro, in particolare con riferimento a interessi e a partecipazioni nel centro polidiagnostico “Igea” e nella galleria commerciale “Il Molino”, entrambi a Sant’Antimo, risultate essere società di fatto tra i Cesaro (formali titolari) e il capoclan Puca Pasquale, detto Pasqualino ‘o minorenne. Si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip che “esponenti del clan, al venir meno dei pregressi accordi, hanno reagito compiendo un attentato dinamitardo al centro “Igea” (7.6.2014) ed esplodendo cinque colpi di pistola all’indirizzo dell’auto di Cesaro Aniello, in sosta presso un autolavaggio (10.10.2015)”. Tra gli indagati c’è anche l’anziana madre del capo clan Pasquale Puca, “che destinataria della misura della presentazione alla polizia giudiziaria, è chiamata a rispondere del reato di ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa per aver nel tempo ricevuto denaro proveniente dai fratelli Cesaro, frutto delle società di fatto esistenti tra gli imprenditori e il figlio”. Le indagini hanno accertato “il condizionamento delle elezioni comunali del Comune di Sant’Antimo (sciolto il 20 marzo per infiltrazioni mafiose) tenutesi nel giugno 2017, attraverso una capillare campagna di voto di scambio. In tal senso è stata fatta luce su un’incalzante opera di compravendita di preferenze, con una tariffa di 50 euro per ogni voto, a favore di candidati del centrodestra, soccombente, come noto, al ballottaggio, dopo un primo turno favorevole”.
Il controllo del comune di Sant’Antimo da parte del clan, secondo gli inquirenti, risulta proseguito anche dopo le elezioni “a seguito della mancata affermazione elettorale, la strategia criminosa è stata finalizzata da un lato a far decadere quanto prima la maggioranza consiliare e dall’altro a mantenere - malgrado una Amministrazione di diverso schieramento politico - il controllo sul locale Ufficio Tecnico attraverso la conferma nel ruolo di responsabile dell’ingegner Claudio Valentino”, indagato sia per l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa (clan Puca), sia per episodi di corruzione e di turbata libertà degli incanti relativi a quattro gare a evidenza pubblica, del complessivo valore di oltre 15 milioni di euro. In questo contesto, la criminalità organizzata non si è risparmiata neanche negli attentati tra novembre e dicembre 2018 contro le case di consiglieri comunali di maggioranza “per farli dimettere dalla loro carica e così far venir meno il numero legale per il funzionamento del Consiglio e determinarne lo scioglimento”.
Infine, le indagini hanno consentito di raccogliere indizi anche su illeciti rapporti tra due marescialli, già effettivi alla tenenza carabinieri di Sant’Antimo, e alcuni indagati. Il Gip ha disposto per un militare (già sospeso dal servizio all’esito di altra recente indagine) la misura della custodia in carcere e per l’altro, ora in servizio fuori provincia, la misura dell’interdizione dal pubblico ufficio. Il primo risponde dei reati di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, mentre il secondo del reato di favoreggiamento, aggravati dall’aver agevolato le attività illecite dei clan Puca e Verde; probabilmente dietro i due militi anche le rivelazioni della collocazione segreta di uno dei collaboratori di giustizia che ha subìto un attentato.
Tutto questo a due passi dalle elezioni regionali che dovrebbero svolgersi tra settembre e ottobre e che nelle intercettazioni ambientali e telefoniche vede spuntare anche il nome della consigliera regionale di Forza Italia Flora Beneduce - che si precisa non essere indagata - che in alcuni summit chiedeva i voti per essere eletta al Senato nelle prossime politiche. In quei giorni si stava consumando il passaggio della stessa Beneduce, fedelissima di Luigi Cesaro, nelle file del PD in sostegno esplicito del governatore in camicia nera De Luca che prima in silenzio “accoglieva” la consigliera, per smentire questo possibile passaggio da FI al PD.
Per quanto riguarda la famiglia Cesaro, è stato accertato il radicamento nel territorio di Sant’Antimo tanto che il giudice Miranda ha disposto la misura degli arresti domiciliari per i fratelli di Aniello e Raffaele Cesaro, entrambi già coinvolti in un’altra inchiesta su presunte collusioni con la camorra, con l’accusa -manco a dirlo - di concorso esterno in associazione mafiosa; in carcere è andato l’ultimo fratello, Antimo Cesaro, titolare del centro di analisi Igea.
"Sono esterrefatto nell'apprendere da notizie di stampa il mio presunto coinvolgimento in pratiche di raccolta del consenso non regolari e addirittura oggetto di ipotizzato accordo con ambienti riconducibili a consorterie criminali", ha replicato il senatore Luigi Cesaro, per ora soltanto indagato e non destinatario di misura cautelare. La parola ora passa al Palazzo Madama nero che dovrà decidere sull’eventuale autorizzazione a procedere nei confronti del plurinquisito senatore e vedere se lo salverà come ha già fatto con il ducetto Salvini.

17 giugno 2020