L e t t e r e


Belle pagine de “Il Bolscevico” sulle grandi rivolte antirazziste e gli insegnamenti di Mao
Come sempre, le dichiarazioni di Mao contro il razzismo (che è consustanziale all'imperialismo, in quanto deriva dal colonialismo) sono ben più che solamente "illuminanti": sono di fondamentale importanza per quella costruzione di una cultura proletaria marxista-leninista sempre giustamente auspicata dal nostro amato PMLI e dal suo Segretario generale e a sua volta Maestro Giovanni Scuderi.
Da leggere molto attentamente, le due dichiarazioni riportate ne "Il Bolscevico" n.20: nella prima, dell'8 agosto 1963, commentando una richiesta di Robert Williams, dirigente afroamericano rifugiato a Cuba e poi ricevuto da Mao nel 1966 a Pechino con una dedica ufficiale delle sue opere, Mao ribadisce i concetti espressi in tutte le sue opere come in quelle degli altri Maestri, contro ogni forma di razzismo, demistificando anche l'opera di un presidente Usa, J. F. Kennedy, del quale francamente non si capisce come sia potuto assurgere a mito della pace, quando invece gli si deve la crisi dei missili a Cuba, che rischiò di precipitare il mondo in una guerra atomica, e l'intensificazione della "guerra fredda".
Come dice Mao: "L'amministrazione Kennedy ha fatto ricorso a una scaltra tattica bifronte. Da una parte avalla la discriminazione razziale e partecipa alla persecuzione dei neri, giungendo fino al punto da inviare truppe per reprimerli. Dall'altra si presenta come avvocato della 'difesa dei diritti umani' e della 'protezione dei diritti civili dei neri', invita i neri alla 'moderazione' e propone al Congresso la cosiddetta 'legislazione dei diritti civili', nel tentativo di paralizzare la combattività del popolo nero e ingannare le masse popolari di tutto il paese ". Una politica ambigua, come giustamente quanto acutamente rilevato da Mao, che ormai le masse, in particolare nere capiscono e che rivela i legami "tra la politica reazionaria che il governo Usa persegue in patria e la politica di aggressione che persegue all'estero ".
Un esempio di come Mao sappia sempre applicare le leggi della dialettica che, intuite in maniera idealistica e dunque lontana dalla realtà da Hegel, solo Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e ora il PMLI, hanno saputo "rimettere in piedi", applicandola alla realtà concreta. A sua volta Robert Williams seppe esprimere adeguatamente la connessione inevitabile sulla lotta degli afroamericani: "Questa è l'epoca di Mao-Tze-Tung, l'epoca della rivoluzione mondiale, e la lotta degli afroamericani per la liberazione è parte di un inevitabile movimento globale. Il presidente Mao è il primo leader mondiale a portare la lotta del nostro popolo alla ribalta della rivoluzione mondiale".
Non meno importante, anzi, è l'altra dichiarazione di Mao, quella che commenta, il 16 aprile 1968, la morte di Martin Luther King: "Giorni fa il pastore afroamericano Martin Luther King è stato brutalmente assassinato dagli imperialisti americani. Martin Luther King era un partigiano della nonviolenza, ma non per questo gli imperialisti americani si sono mostrati tolleranti verso di lui, al contrario sono ricorsi alla violenza controrivoluzionaria ". Qui Mao ci dice qualcosa di molto importante: la violenza controrivoluzionaria viene usata comunque, contro ogni tentativo rivoluzionario, contro ogni rivolta, ogni "sollevamento", contro ogni forma di protesta, che essa sia violenta o no: dunque la "nonviolenza" non è certo un modo adatto per scongiurare la reazione, anzi.
Leggendo l'ottimo articolo che troviamo a pagina 7 del nostro giornale (stesso numero) vediamo come il milione di manifestanti, di ogni etnia, sia chiaramente ancora una volta un segnale pericoloso per l'imperialismo e questo segnale va colto da parte dei popoli di tutto il mondo: "Popoli di tutto il mondo, unitevi ancora più strettamente, lanciate una offensiva prolungata e violenta contro il nostro nemico comune, l'imperialismo americano e i suoi complici " (Mao, testo citato). Questo frutto del colonialismo che ancora oggi tiene le etnie di "altro colore" in una condizione di minorità oggi porta e sta portando a una lotta di reale emancipazione "è una componente della lotta generale dei popoli del mondo contro l'imperialismo Usa, una componente della rivoluzione mondiale del nostro tempo" (testo citato).
Certo, le condizioni sono diverse, volendo, rispetto a mezzo secolo fa, ma molto è uguale: oltre l'apparenza dell'emancipazione relativa, che vale solo per gli afroamericani appartenenti all'alta borghesia, la condizione dei Neri, dei Latinos, dei Nativi americani e di altre minoranze, ma in genere del proletariato in toto è ancora peggiore di allora, aggravata dal Covid 19 con le sue ricadute economiche indubbie e tragiche, come anche dalla presenza del presidente Trump, ancora più decisamente reazionario di quanto non fosse Nixon, attento solo al ritornello "Law and Order".
Mao, come gli altri Maestri, ma in una forma più moderna e completa, visti i tempi molto più vicini a noi, smaschera la vera natura dell'imperialismo: "L'imperialismo è ancora vivo: continua a comandare in Asia, in Africa e nell'America latina. In Occidente, gli imperialisti opprimono ancora le masse popolari dei loro stessi paesi. Questa situazione deve cambiare " (Mao, Intervista con un giornalista dell'agenzia Hsinhua, 29 settembre 1958) e "I popoli e le nazioni oppressi, non devono certo riporre le loro speranze di emancipazione nella 'saggezza' dell'imperialismo e dei suoi lacchè. È soltanto rafforzando l'unità e perseverando nella lotta che trionferanno " (Mao, Dichiarazione contro l'aggressione al Sud-Vietnam e i massacri della popolazione sudvietnamita da parte della cricca Stati Uniti-Ngo Dinh Diem, 29 agosto 1963).
Un messaggio più chiaro agli Afroamericani, ma in realtà a tutto il proletariato mondiale non potrebbe risuonare, come quello del Segretario generale, quando si acquisisca una cultura realmente proletaria "libera dall'influenza borghese riformista, elettoralista, parlamentarista, costituzionalista, governista e pacifista, che affligge anche il cosiddetto 'socialismo del XXI secolo', basato sul pensiero riformista e revisionista di Gramsci".
Eugen Galasso - Firenze
 

Le tecnologie digitali nella scuola sono strumento di alienazione e di asservimento del sapere e non di emancipazione
L'emergenza dovuta al Covid-19 ha finito (temo) per infliggere il colpo di grazia agli ultimi baluardi o fermenti di resistenza di qualsiasi forma di sapere autentico, vale a dire di matrice umanistica, nella realtà della scuola, oramai asservita a logiche di segno aziendalistico e al dominio ostentato della burocrazia e delle tecnologie digitali, in funzione degli interessi più luridi del mercato del lavoro e del profitto capitalistico.
Le tecnologie digitali vengono imposte come uno strumento di alienazione e di asservimento del soggetto, e non di emancipazione, come dovrebbe essere, per cui io non mi adeguo a un modello di sviluppo spacciato in termini di un "progresso", che è un falso progresso e che in realtà si rivela come una forma strisciante di schiavismo nuovo, camuffato dietro un paravento ipocrita ed elegante di modernità. Il prolungarsi della didattica digitale è stato logorante ed estenuante per tutti: alunni, genitori e docenti. Ebbene, meno male che forse è finita!
Spero che si ritorni in aula, alla scuola in presenza, in quanto è l'unica forma di scuola che, nel bene e nel male, è formativa, è viva e stimolante, è l'habitat naturale di un pensiero critico e di una crescita integrale della personalità umana, in quanto consente agli studenti di socializzare tra loro e con gli insegnanti in maniera emotiva, dialettica, vitale ed empatica. La didattica a distanza nella migliore delle ipotesi, può servire solo a trasmettere qualche arida ed insulsa nozione di tipo didascalico.
Lucio Garofalo - Lioni (Avellino)

17 giugno 2020