Lo certifica la Corte dei Conti
È stata distrutta la sanità pubblica

Che il sistema sanitario nazionale italiano fosse stato ridotto a un inadeguato servizio è ormai da anni cosa nota, provata sulla propria pelle dalle masse popolari che hanno dovuto stringere i denti per il suo progressivo peggioramento. Allo stesso modo si sono susseguiti negli ultimi decenni pomposi proclami da parte dei governi borghesi, di efficientamento di una sanità ormai regionalizzata e consegnata nelle mani dei privati che abilmente e senza scrupoli ne hanno estratti lauti profitti.
Allo stesso modo la commistione fra politica e malaffare in ambito socio-sanitario ha mostrato i propri interessi intrecciati più volte e in tutti i suoi specifici settori, dai medicinali agli ospedali, mettendo alla berlina quello che effettivamente è il prodotto capitalistico di un diritto ridotto a merce che si porta dietro un pesante e diffuso impatto sociale.
Oggi questa sistematicità è ben espressa dal “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2020” della Corte dei Conti che nel suo capitolo “La sanità e il nuovo patto della salute”, descrive un quadro arretrato, insufficiente, disomogeneo territorialmente e dagli elevati costi per la popolazione.
 

Le linee guida del rapporto
Il rapporto introduce l'argomento sostenendo come l'emergenza coronavirus abbia messo alla luce “le debolezze che erano già di fronte a noi”, in un quadro fatto di “differenze inaccettabili nella qualità dei servizi offerti nelle diverse aree del Paese” a partire dalle carenze di personale dovute ai vincoli delle fasi di risanamento (nazionali ed europee), ai limiti nella programmazione delle risorse professionali e a quella che è definita una “fuga progressiva dal sistema pubblico” che vedrebbe un costante “sacrificio” di investimenti a fronte di incalzanti necessità sanitarie correnti.
All'indice anche la scarsità di offerta territoriale contro il crescente fenomeno delle non autosufficienze in particolare degli anziani e delle cronicità patologiche, che diviene gravissima in previsione dell'invecchiamento della popolazione secondo cui tra soli 20 anni, vi sarà un pensionato ogni due persone in età lavoro e un conseguente aumento di bisogni di salute e assistenza contro una diminuzione di risorse pubbliche a disposizione.
“La mancanza di un efficace sistema di assistenza sul territorio ha lasciato la popolazione senza protezioni adeguate – continua il rapporto – se fino ad ora tali carenze si erano scaricate non senza problemi sulle famiglie contando sulle risorse economiche private… hanno finito per rappresentare una debolezza anche dal punto di vista della difesa complessiva del sistema quando si è presentata una sfida nuova e sconosciuta (coronavirus, ndr )... l'insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è ritrovato esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto”.
Sostanzialmente dunque, anche la Corte dei Conti ammette che lo sfascio della Sanità pubblica e chi lo ha perpetrato, sono i responsabili diretti - fra l'altro - anche delle tante morti attribuite al Covid-19.
Il tutto, in un quadro generale che la Corte delinea chiaramente, dicendo proprio che per la redazione del rapporto stesso ci si è attenuti all'esame di alcuni punti principali, quali la graduale riduzione della spesa pubblica per la sanità e il crescente ruolo di quella “a carico dei cittadini” (quindi di quella privata e dell'aumento dei ticket), la contrazione del personale a tempo indeterminato e il crescente ricorso a contratti a termine o a consulenze, la riduzione delle strutture di ricovero e di assistenza territoriale e infine il rallentamento degli investimenti dello Stato, preoccupato soprattutto a favorire lo switch alla privata.
 

Più spese sanitarie per la popolazione. Dipendenti nel Ssn precari e malpagati
Tra il 2009 e il 2018 la contrazione di risorse destinate alla sanità pubblica nel nostro Paese è consistente: la spesa pro capite è passata da 1.893 a 1.746 euro quando, per fare due esempi, la spesa di Germania e Francia è rispettivamente doppia e superiore del 60% di quella italiana.
È aumentata invece la spesa sanitaria delle famiglie italiane del 14,1% in soli 6 anni (nel 2018 essa era complessivamente di 154,8 miliardi), ripartiti in 115 mila di ticket e medicinali e i restanti 39,8 per servizi privati; va considerato anche che i costi di questi ultimi e di altri apparecchi terapeutici è globalmente pagato dalla popolazione per il 43% e dallo Stato per il 56,3.
Il documento evidenzia anche come negli ultimi 10 anni il personale a tempo indeterminato sia fortemente diminuito e solo in parte rimpiazzato da precari ad “alta flessibilità”, anche interinali, che ha portato tra il 2012 e il 2017 a un calo di circa 27 mila dipendenti (da 653 a 626 mila); sempre in questo periodo il personale medico si è ridotto di oltre 3.100 unità (-3%), mentre l'infermieristico di poco meno di 7.400 addetti (-2,7%).
Questo processo, negli anni, condizionato anche dalla disparità di risorse a disposizione delle regioni stesse, ha causato una grossa carenza quasi ovunque di medici specialisti in alcuni particolari ambiti che ha costretto tante persone - a partire dalle più povere – a ritardi nelle diagnosi e delle cure, fino all'astensione delle stesse a causa dell'impossibilità di viaggiare verso i territori che disponevano di quel tipo di specialisti, e dei costi spesso eccessivi.
Nel 2018 infatti la mobilità passiva sanitaria extra regionale ha coinvolto oltre 500 mila ricoveri su un totale di 6 milioni, in prevalenza da sud al centro-nord.
Per quanto riguarda gli infermieri infine, la Corte dei Conti conferma quanto anche noi avevamo affermato in un recente articolo pubblicato su Il Bolscevico , evidenziando come in Italia siano pochi e con grosse difficoltà di assunzione a causa dei vincoli di bilancio posti, condizione che agevola la migrazione in cerca di lavoro, oltre naturalmente a rendere l'assistenza insufficiente e precaria nonostante gli sforzi delle infermiere e degli infermieri in servizio.
Nessun ruolo di settore è esente da questo processo, e infatti negli ultimi 8 anni – secondo i dati OCSE – oltre 9 mila medici formatisi in Italia, sono andati a lavorare all'estero principalmente in Gran Bretagna, Germania, Svizzera e Francia.
 

Ospedali chiusi e territorialità al lumicino
Pur essendo un fenomeno comune agli altri Paesi – che per inciso non praticano politiche sanitarie sostanzialmente diverse da quella italiana – è indubbio che la flessione registrata a 3,2 posti letto negli ospedali e strutture di assistenza e ricovero ogni mille abitanti (scesi dai 230.396 del 2012 ai 210.907 del 2018) sia significativa e dimostri tutte le conseguenze dello smantellamento sistematico del SSN italiano.
La prima causa di questa riduzione viene indicata nella troppo rapida deospedalizzazione ma è evidente che sia la seconda a spiegare realmente il fenomeno – e cioè la chiusura dei piccoli ospedali – che ha avuto effetti devastanti anche per la capillarità del servizio; è di tutta evidenza poi, visti i dati, che alle chiusure non siano seguiti nemmeno gli ampliamenti dei presidi maggiori a pareggio di servizio.
È così che interi territori sono stati abbandonati a loro stessi, senza servizi e con strutture di Pronto Soccorso lontane anche 100 chilometri dalle abitazioni.
Una rete monca dunque che il rapporto definisce “non accompagnata da una adeguata offerta dell'assistenza territoriale rivolta alla parte più debole della popolazione, cioè anziani e disabili”. Una vergogna.
Intanto quasi in nessuna regione d'Italia si opera per un femore rotto entro due giorni dal ricovero, in pochissime l'area degli screening oncologici risulta “accettabile”, e nel contempo si fanno più parti cesarei per limitare i rischi derivanti da una normale gravidanza nella consapevolezza di non essere sempre in grado di risolverli a dovere alle prime complicazioni.
I tagli alla spesa pubblica sanitaria hanno falcidiato anche gli stessi ambulatori medici e i laboratori che sono diminuiti del 4,3% dal 2012, soprattutto nelle regioni del centro-nord.
Le bugie hanno le gambe corte, e ecco che alla domanda di quanto il processo di riduzione dell’assistenza ospedaliera si sia tradotto in un ampliamento di quella territoriale – cavallo di Troia da sempre del federalismo sanitario - i fatti rispondono con questi dati: i medici di medicina generale sono passati da 45.437 a 43.731 (-3,8% a livello nazionale), riduzione ancor più accentuata nelle Regioni non sottoposte a un piano di rientro e nei territori più falcidiati dal virus come la Lombardia (-5,6%), -6,4% in Piemonte, -5,3% in Veneto, -4,7% in Emilia Romagna, -6,5% nelle Marche, e -8,9% in Liguria.
Nello stesso periodo la scure si è abbattuta anche sulle guardie mediche che sono passate da 12.027 unità a 11.688 (-2,8%), e anche in questo caso la flessione maggiore è stata registrata nelle Regioni più sane dal punto di vista economico e in alcune di quelle - non a caso - più colpite dall’emergenza: -8,8% in Lombardia, -24,8% in Emilia, -16,2% nelle Marche.
 

Tagli sì, ma non per le consulenze
I tagli maggiori si sono registrati nelle regioni sottoposte a un piano di rientro dei costi (Molise, Lazio e Campania) “riduzioni tra il 9 e il 15%”, mentre tra le altre a tagliare di più sono state Liguria (-5,4%), Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia (tra -3,7 e -3,3%).
Ovunque però tutte le voci di bilancio per le spese sanitarie sono in continuo ribasso, fatta eccezione per le consulenze sanitarie e sociosanitarie da privati, per le spese di affitti passivi, per i canoni di leasing e per il project financing il cui importo raddoppia.
Questo punto merita davvero una riflessione poiché, mentre scompaiono o si riducono tante spese per il personale, per le attrezzature e i dispositivi medici, per la manutenzione di esse e altre relative alla normale attività di cura e assistenza, ecco che la principale modalità attraverso la quale si dirottano fondi pubblici a beneficio di privati in ogni settore come la voce di bilancio “consulenze”, aumenta. Non di rado infatti emergono processi nei quali questa voce nasconde tangenti, mazzette, favori economici; una modalità che nella migliore delle ipotesi dimostra l'incapacità di un settore di essere autosufficiente, quando non puzza evidentemente di bruciato.
Il resto poi, project financing, leasing ecc. sa fin troppo di finanza, e evidenzia quanto la sanità pubblica italiana – o per meglio dire ciò che ne rimane – arranchi nella programmazione, pensando più a percorrere a grandi falcate più o meno evidenti, la strada della privatizzazione e dell'improvvisazione “d'impresa”.
 

Più costi e meno servizi. Lottiamo per la sanità pubblica, universale, senza ticket e controllata dal popolo
Insomma, la popolazione – oltre alle tasse che finanziano già le spese mediche – hanno speso il 14% in più per la sanità, ma i tagli hanno falcidiato 27 mila dipendenti medici e infermieristici di cura e di assistenza e 20 mila posti letto, riducendo la capillarità territoriale dei presidi.
Anche la Corte dei Conti scrive nero su bianco che la sanità pubblica è stata distrutta e con lei la salute di milioni di persone che non possono accedervi sia per questioni territoriali, sia per i costi che anche essa comporta.
I governi che si sono succeduti sono i responsabili di questo grande crimine pubblico, nessuno escluso, perché nessuno ha invertito la tendenza della mercificazione della salute; solo adesso, costretti soprattutto dalla tragicità dei fatti, l'ultima manovra ha stanziato fondi a sostegno del settore che comunque non riescono nemmeno lontanamente a ripristinare quel che è stato dilapidato e perduto.
La mano del privato poi, incentivata tutt'ora a suon di milioni pubblici, è stata da tempo foraggiata e stimolata a appropriarsi dei servizi più redditizi, e allunga le sue pelose mani ovunque può. Ne abbiamo avuta conferma in questa epidemia che oltre a dimostrare l'incapacità e l'inadeguatezza del governo Conte 2, ha evidenziato che per il profitto gli imprenditori di ogni settore non si fanno scrupoli, e per una retta triplicata si accantona anche il rischio – poi verificato – di far entrare un virus così pericoloso soprattutto per gli anziani, in una casa di riposo.
Lottiamo dunque per il diritto alla salute per tutti e per una sanità pubblica, universale, senza ticket e controllata dal popolo, che disponga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e lontana dalle logiche di profitto.

24 giugno 2020