Il Consiglio europeo ancora in disaccordo sul Fondo per la ricostruzione europea
Gli "aiuti" a condizioni all'Italia arriveranno nel 2021

 
Forse sarà il Consiglio europeo che si terrà a luglio sotto la presidenza di turno della Germania e con i 27 leader faccia a faccia dopo tre mesi di videoconferenze a sciogliere i nodi per varare il piano Next Generation Eu, come la Commissione ha ribattezzato il progetto noto come Recovery Fund, il piano finanziario comunitario per affrontare crisi sanitaria e economica. Possibile, ma non è scontato che la regia della cancelliera tedesca Angela Merkel d'intesa con il presidente francese Emmanuel Macron possa dare il via in tempi brevi, entro un anno, come chiedono i paesi più bisognosi di aiuti dall'Italia alla Spagna, a quello che è la parte iniziale del Fondo per la ricostruzione europea contenuto nel bilancio pluriennale 2021-27. Le premesse per un intervento rapido non sono buone, visti i risultati del breve vertice in videoconferenza del 19 giugno un appuntamento dichiaratamente cosultivo che non ha potuto far altro che registrare i disaccordi.
La comunicazione sull'esito del vertice era affidata al presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, che definiva il confronto in videoconferenza tra i 27 leader “importante ed essenziale” ma solo per spiegare il progetto della Commissione e come propedeutico per passare alla fase dei negoziati veri e propri con gli Stati membri, con l'obiettivo di arrivare a “un vertice in presenza verso la metà di luglio a Bruxelles, in cui avremo l'occasione per concentrarci su proposte concrete”.
La Commissione europea ha elaborato una proposta che prevede 500 miliardi di euro di sovvenzioni e 250 miliardi di prestiti da recuperare attraverso la vendita tra il 2021 e il 2024 di titoli garantiti collettivamente tramite il bilancio pluriennale rinforzato da un aumento dei contributi di tutti i 27 paesi membri, con meno interessi da pagare se fossero garantiti dalle disastrate casse nazionali di molti paesi, Italia anzitutto. Il bilancio pluriennale della Ue non è ancora stato approvato perché una serie di paesi non vogliono versare maggiori contributi e tanto più non vogliono siano tagliati una serie di sconti di cui hanno goduto finora, dall'Olanda alla Svezia, alla Danimarca all'Austria; affiancati dal gruppo dei paesi dell'Est, Ungheria e Polonia in testa, che non vogliono essere messi in seconda fila nel ricevere gli aiuti comunitari rispetto ai paesi mediterranei più colpiti dal coronavirus. Alla discussione già in atto sulla definizione del bilancio si sono aggiunti nel corso degli ultimi mesi i temi del Recovery Fund, quando e quanti soldi mettere nel piatto e soprattutto a quali condizioni debbano essere distribuiti, in prestito con un piano di restituzione o a fondo perduto ma con strumenti di controllo comunitari sui progetti e le modalità di spesa.
Dal vertice del 19 giugno non sono emerse novità, salvo la sollecitazione della cancelliera Merkel a muoversi lungo una scaletta temporale che prevederebbe il varo del progetto entro l'estate e la sua indispensabile ratifica da parte dei parlamenti dei 27 paesi membri entro fine anno. In modo che sia disponibile nel 2021. Sempre che di pari passo siano risolti i problemi legati al bilancio pluriennale.
Altrimenti ogni paese dovrebbe ricorrere a risorse proprie, rese possibili dalla sospensione del Patto di stabilità e quindi dal superamento della famigerata soglia del 3% di deficit rispetto al pil, che sono massicce per la ricca Germania e risicate per la meno ricca Italia. O ricorrere alle quote messe a disposizione dalla Bce e dalla Commissione, dai non indifferenti finanziamenti della banca europea per le aziende agli spiccioli sul Mes per le spese sanitarie e il Sure per gli ammortizzatori sociali, comunque da restituire sotto varie forme; o infine alla decina di miliardi per il 2020 recuperati dalla Commissione sugli avanzi dell'attuale bilancio comunitario.
Che siano fondi nazionali o comunitari, da restituire direttamente o a fondo perduto, formalmente ma che in realtà escono dal bilancio comunitario pagato da tutti, il conto per la ripresa economica sarà comunque pagato dalle masse popolari, una quota alle casse della potenza imperialista europea e una alle casse del governo borghese nazionale; secondo la ripartizione che sarà decisa in sede Ue sulla base non certo di principi di solidarietà ma dei rapporti di forza tra i paesi capitalisti.
La presidente della Commissione Ue, la tedesca Ursula von der Leyen, sosteneva che i leader hanno affermato di volere “un accordo prima di agosto”, e questo è certamente il pensiero della Merkel e di Macron che vogliono ribadire il loro ruolo di guida di una potenza imperialista europea ricompattata e lanciata nella sfida alle concorrenti Usa, Cina e Russia, con un vantaggio in più se esce per prima dalla crisi economica conseguente al coronavirus. Una crisi dove potrebbe invece sprofondare se portasse alla bancarotta di paesi imperialisti del peso di Italia e Spagna, se non aiutati. Gli scogli che la diplomazia di Bruxelles, di Berlino e di Parigi devono superare sono gli interessi imperialisti nazionali di più piccolo cabotaggio dei partner europei. E saranno oggetto dei negoziati all'insegna di un mercanteggiamento che potrebbe comprare il via libera al progetto della Commissione da parte dei paesi dell'Est europa in cambio di qualche miliardo in più concesso a loro sul prossimo bilancio comunitario, un meccanismo che pare abbia già convinto Polonia e Slovacchia; col mantenimento degli sconti ai contributi nazionali sul bilancio Ue 2021-27 e una riduzione dei 750 miliardi del fondo in cambio del consenso del gruppo dei paesi nordici e dell'Austria come aveva prospettato il presidente del consiglio italiano Conte nella sua informativa del 17 giugno alla Camera sul vertice Ue.
I finanziamenti europei ai paesi in difficoltà arriveranno in ogni caso nel 2021, dopo l’approvazione dell'accordo sul fondo per la ricostruzione da parte di tutti i 27 parlamenti dei paesi dell’Unione. “Serve un anticipo e quello che c’è per ora è modesto. Stiamo lavorando per renderlo più sostanzioso”, dichiarava il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte che considera scontato il raggiungimento dell'intesa in sede Ue durante il semestre di presidenza tedesco. Per il momento gli “aiuti” all'Italia arriveranno nel 2021 e se non cambieranno i termini in discussione non saranno a fondo perduto, saranno soggetti a condizioni, a controlli esterni, a una copertura da effettuare comunque attraverso l'aumento della quota nazionale al bilancio comunitario. Nel frattempo Conte si pavoneggia per avere lavorato fin dalla prima fase del contagio da Covid-19 come un vero leader europeo, a sponsorizzare “una risposta europea ambiziosa ed effettivamente in grado di dare una forte scossa alle economie del continente”. Insomma anche dalla risoluzione della grave crisi scatenata dal covid-19 passa il tentativo di rafforzare e rilanciare la superpotenza imperialista europea nella competizione globale.

24 giugno 2020