Contro le provocatorie ordinanze della giunta regionale e del neopodestà Pacifici
Rivolta dei braccianti-schiavi a Mondragone
De Luca e Lamorgese calzano l'elmetto e invocano l'esercito
Cacciato dai manifestanti lo “sciacallo” Salvini

 
Redazione di Napoli
È un fine giugno di fuoco per le strade del litorale domizio, zona che aggancia la provincia di Napoli a quella di Caserta e dove lavorano migliaia di braccianti agricoli comunitari, migranti ma anche casertani e napoletani nelle vaste campagne di quella che viene chiamata “terra di lavoro”. Una vera e propria provocatoria ordinanza del neopodestà di Mondragone, città in provincia di Caserta, Virgilio Pacifici (“centro-sinistra”), ha dato il via alla scintilla che ha dato fuoco alla prateria. Tre giorni di proteste - dal 25 giugno, con cortei e manifestazioni in tutta la città, al 26 con sit-in di protesta anche delle masse popolari mondragonesi contro Pacifici e la sua giunta antipopolare, a chiudere il 27 giugno con la protesta contro l’invio dell’esercito -, da parte dei braccianti agricoli, in particolare bulgari e mondragonesi, che hanno duramente manifestato contro l’ordinanza redatta tra il 21 e 22 dello stesso mese e che vedeva incredibili quanto assurde restrizioni per una “improvvisa” diffusione del covid-19 in una parte della città. Basta vedere la pagina Facebook della città di Mondragone perché le masse popolari stigmatizzassero il provvedimento di Pacifici come “panico ingiustificato” atteso che i contagiati erano tra i due e i quattro. Anche perché motivo scatenante della tre giorni di protesta è stata quella di chiudere in una unica zona rossa le masse del quartiere popolare dell’ex Cirio, composto per lo più da quel proletariato bracciantile che da anni si riversa nelle campagne per raccogliere frutta e verdura destinata ai mercati della Campania e non solo. Motivo sottolineato al supersfruttamento cui sono sottoposti in particolar modo i braccianti bulgari: due euro e mezzo per gli uomini, un euro e mezzo per le donne: per portare il pane a casa si calcola che dalle 6 alle 18 della giornata per ogni giorno, ossia 12 ore totali, si svolga il “lavoro”. Un lavoro in nero, senza tutele, punta centrale del sommerso nella zona del casertano che arriva fino a alle campagne del basso Lazio. Di qui la rivolta perché il neopodestà Pacifici prevedeva una sorta di “cordone sanitario” intorno all’area dei Palazzi Cirio per contenere l’eventuale aumento dei casi di coronavirus. Inutile il tavolo tecnico provinciale promosso da Pacifici al quale partecipavano la questura, la prefettura, il Comando generale dei Carabinieri, la Provincia di Caserta, l’Asl e l’Unità di crisi regionale. Le masse popolari mondragonesi e bulgare leggevano le disposizioni come repressive e non risolutive del problema: ossia che per quaranta giorni Mondragone chiudeva ai residenti degli ex Palazzi Cirio ogni possibilità di movimento, condannandoli praticamente a non lavorare e, in ultimo, all’inedia, senza che fosse adottato un provvedimento coevo diretto a fronteggiare i bisogni minimi della popolazione locale.
Contemporaneamente il presidente della Regione De Luca indossava di nuovo la camicia nera e promuoveva una ordinanza, questa volta regionale, che prevedeva l’obbligo di isolamento domiciliare, con divieto di allontanarsi dall’abitazione, per tutti coloro che dimorano nell’area dei Palazzi Cirio. Mentre rimandava a inizio luglio sia lo screening sierologico dell’Asl di Caserta sia la somministrazione dei generi di prima necessità da parte della protezione del Comune.
I tempi lunghi sia per i generi di prima necessità che per il ritorno al lavoro, facevano scattare una durissima quanto ferma lotta da parte dei braccianti mondragonesi e bulgari che scendevano per strada violando la fantomatica “zona rossa”, invadevano il centro cittadino e si dirigevano verso la giunta antipopolare Pacifici, protestando soprattutto contro il neopodestà. Le “forze dell’ordine” del ministro Lamorgese (M5S) tentavano di respingere inutilmente le centinaia di lavoratori e lavoratrici che si riversavano nelle strade della città dell’area nord di Caserta indietreggiando con la coda tra le gambe; neanche il tentativo di qualche fascista in camicia nera con mazze e caschi facevano desistere i manifestanti che continuavano le proteste con numerosi sit-in nel centro e nei pressi di Palazzi Cirio, respingendo le teppaglie razziste che cercavano di provocare i braccianti.
Invece di calmare le acque, De Luca lanciava, nel pomeriggio del 25 giugno, un dispaccio di agenzia dove si affermava a chiare lettere che “questa mattina ho avuto un colloquio con il Ministro dell'Interno Luciana Lamorgese in relazione alla zona rossa istituita negli ex palazzi Cirio di Mondragone. Ho chiesto l'invio urgente di un centinaio di uomini delle forze dell'ordine per garantire il controllo rigoroso del territorio. Il Ministro ha annunciato l'arrivo di un contingente dell'Esercito”. Aggiungeva subito dopo che raggiunto il numero di 100 contagiati avrebbe bloccato, in entrata e in uscita, tutta la cittadina; ma in una decina di giorni i contagiati non superano le 50 unità.
Ancora peggio faceva l'aspirante duce d'Italia Salvini che si presentava con la veste “prima gli italiani” allestendo un comizio che prima non riusciva a fare nella tarda mattinata per poi essere annullato data la forte e decisa protesta delle masse popolari del luogo, delle comunità dei migranti e dei giovani dei centri sociali. Bottigliette di plastica, acqua e una sonora contestazione al grido “Salvini vattene” - riportato anche in alcuni striscioni e cartelli -, facevano desistere il leader fascista e razzista dal suo intervento che si restringeva alle solite dichiarazioni attraverso la stampa di regime venuta in massa ad ascoltarlo. Nel tardo pomeriggio Salvini non poteva far altro che allontanarsi, per evitare di essere cacciato di forza dalla popolazione, protetto da un folto cordone di “forze dell’ordine” e ritirarsi con la coda tra le gambe, affermando che la protesta “era stata pagata dai clan di Mondragone”. L'ennesima provocazione non raccolta dalle masse che esponevano altri striscioni anche vicino alle spiagge e sul bellissimo litorale domizio tra cui “Salvini sciacallo, Mondragone non è una passerella”.
Il coronavirus non ha fatto altro che far esplodere ancora di più le contraddizioni del sistema neofascista e capitalista, mettendo a nudo la macchina repressiva del presidente con l’orbace De Luca che in tre giorni non ha saputo dare altre risposte alla giusta lotta dei braccianti che hanno chiesto di non essere più schiavi, di emergere dal sommerso e diventare lavoratori. E invece le due ordinanze provocatorie dell’ex neopodestà di Salerno e di quello di Mondragone, insieme alle misure dell’odiato governo del dittatore antivirus Conte, non si preoccupano di risolvere la questione dello sviluppo e del lavoro della Campania, ma soltanto di soffocare la sacrosanta lotta dei braccianti-schiavi con la repressione e il manganello.
 

1 luglio 2020