21 arresti tra le cosche della ‘ndrangheta a Reggio Calabria

Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della Calabria
“Siamo intervenuti perché abbiamo registrato una serie di fibrillazioni e tensioni ai vertici di alcune cosche tra le più importanti che operano a nell’area del centro di Reggio Calabria, dovute anche all’ispirazione autonomistica di controllo su una parte del territorio”.
A dichiararlo in conferenza stampa è il procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, nell’ambito della maxioperazione di polizia che il 24 giugno scorso a portato all’arresto di 21 soggetti. Si tratta di boss, luogotenenti e affiliati alle potenti cosche di ‘ndrangheta De Stefano-Tegano-Libri, ritenuti responsabili a vario titolo di estorsione ai danni di imprenditori e commercianti, detenzione e porto abusivo d’armi da fuoco aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa.
Posta sotto sequestro anche l’azienda Savemich S.r.l con sede a Roma, dal 2016 attiva nel settore edile per la progettazione e la costruzione di edifici, avente per amministratore e socio unico Maurizio Pasquale De Carlo, il cui nome figura tra gli arrestati.
Le complesse indagini condotte dagli uomini della squadra mobile coordinati dai sostituti procuratori della Dda, Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Roberto Placido De Palma, hanno permesso di scoperchiare gli sporchi intrallazzi economici delle delle principali famiglie ‘ndranghetiste reggine nonché le contraddizioni sorte sulla iniqua spartizione degli utili provenienti dal giro delle estorsioni e sul mancato riconoscimento di avanzamenti gerarchici all’interno dell’organizzazione criminale al cui vertice si trovava Giorgio De Stefano, figlio dello storico boss di Archi, Paolo De Stefano.
Classe 1981 incensurato e considerato il più valido rappresentante delle propaggini operative della cosca di Milano dove risiedeva da anni e gestiva una importante catena di ristoranti, Giorgio, soprannominato “Malefix” - da cui deriva il nome dell’operazione - era finito sotto i riflettori mediatici perché fidanzato con Silvia Provvedi, cantante e showgirl televisiva.
Per questo, in una intercettazione ambientale, Alfonso Molinetti elemento carismatico e di spicco della cosca, consapevole del rischio che una tale notorietà poteva comportare, lo invitava a esporsi meno: ”Devi stare solo attento, la visibilità meglio ce n’è, meglio è”.
Molinetti in base a quanto emerso dalle indagini, stava cercando di mediare tra il fratello Gino, meglio conosciuto come la “Belva” e Carmine De Stefano - fratello di Giorgio - a causa di alcuni dissidi e risentimenti personali sorti sulla gestione degli affari mafiosi e sulla spartizione dei proventi.
In pratica, l’intenzione di Gino Molinetti era quella di rendersi autonomo dai De Stefano ai quali aveva già disobbedito aprendo una pescheria in una zona di Reggio Calabria controllata dal clan dei Labate senza averlo comunicato tempestivamente. A tutto ciò andavano ad aggiungersi le sue mire espansionistiche sul locale di Gallico.
Le indagini hanno altresì evidenziato importanti attriti tra le cosche De Stefano-Tegano-Libri riguardo il mancato rispetto delle regole di condivisione tra le famiglie dei proventi estorsivi.
In una conversazione captata ad Antonio Libri si veniva a sapere che a dicembre del 2017, in occasione delle festività natalizie, i fratelli Giorgio e Carmine De Stefano avevano rastrellato una cospicua somma di denaro senza corrispondere nulla ai Libri costretti ad accontentarsi delle “briciole”, tanto da non poter nemmeno mantenere i familiari rinchiusi in carcere.
Questa frizione creatasi andava discussa e chiarita tra le cosche, per questo era stato indetto un summit che doveva coinvolgere anche altri due elementi di vertice, Domenico Tegano e Orazio Maria De Stefano, al fine di riprogrammare la cogestione degli affari illeciti.
Una sorta di commissione tecnica per evitare pericolose sovrapposizioni ed organizzare un più efficiente sistema estorsivo nel centro città per incrementare i profitti delittuosi anche attraverso l’imposizione intimidatoria delle assunzioni da parte dei gestori di attività.
Purtroppo, non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima inchiesta che conferma lo strapotere della ‘ndrangheta nella martoriata Calabria, la regione più povera d’Italia.
La lotta alla criminalità organizzata e fondamentalmente una lotta di classe, tra proletariato e borghesia, tra capitalismo e socialismo.
Per sconfiggere questo mostro terribile che con i suoi tentacoli avvinghia e opprime i territori e le masse popolari, è necessario colpirlo alla testa.
La testa si trova all’interno della classe dominate borghese, dello Stato borghese e dell’economia capitalista, che vanno abbattuti violentemente. Solo con la conquista del potere politico del proletariato, l’instaurazione del socialismo prima, e del comunismo poi (la società senza classi teorizzata da Marx) sarà possibile chiudere definitivamente i conti con la mafia.

1 luglio 2020