I metalmeccanici in piazza per risolvere le cento vertenze per l'industria e il lavoro

Anche Cgil, Cisl e Uil hanno manifestato per chiedere al governo maggiori investimenti e interventi più decisi per salvaguardare i posti di lavoro messi a rischio dall'emergenza Coronavirus che si è andata a sovrapporre alla già critica situazione economica generale che vede oramai il nostro Paese costantemente agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda occupazione, salari, riduzione dell'orario di lavoro, prodotto interno lordo (Pil).
Verrebbe da dire: finalmente! Nonostante l'atteggiamento collaborativo verso la dittatura antivirus di Conte (riconfermato anche ai recenti “Stati generali”) i sindacati confederali si rendono conto che alla fine le uniche misure prese in favore dei lavoratori sono il prolungamento della cassa integrazione per Covid e il blocco temporaneo dei licenziamenti, mentre tutto il resto, sia per quanto riguarda le misure immediate che quelle di più ampio respiro strategico, le attenzioni e le risorse verranno riversate sopratutto sulle imprese private.
Uno dei settori industriali che più sta subendo i contraccolpi della crisi è senz'altro quello metalmeccanico e sono stati proprio i sindacati di questo settore, ovvero Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm a organizzare la manifestazione che si è svolta giovedì 25 giugno in Piazza del Popolo a Roma alla presenza dei rispettivi segretari di categoria: Francesca Re David, Marco Bentivogli e Rocco Palombella. Le parole d'ordine dell'iniziativa sono state “100 vertenze da risolvere, per l'industria e il lavoro”. Il comunicato di presentazione ricorda che il “Covid-19 ha peggiorato la situazione delle crisi industriali che affrontiamo da anni nei settori della siderurgia, dell’automotive e dell’elettrodomestico”.
La Whirlpool al riguardo è un caso emblematico. Oltre 400 lavoratori (molti dei quali presenti in piazza) che da un paio di anni temono per la chiusura totale dello stabilimento di Napoli come previsto nei piani della multinazionale americana, mentre governo e ministro del Lavoro è da gennaio che non si fanno più sentire. Un'altra vertenza che di trascina da tempo è quella della piemontese Embraco dove il nuovo padrone ha svuotate le casse aziendali e fermato lo stabilimento lasciando centinaia di operai senza lavoro.
Spesso sono le delocalizzazioni ad aver causato la perdita di migliaia di posti di lavoro, come alla Honeywell di Atessa in Abruzzo, dove la proprietà ha spostato la produzione dei turbo in Slovacchia. Per non parlare delle situazioni che vivono le acciaierie, a partire da quella di Piombino dove gli indiani di Jindal hanno disatteso tutte le promesse fatte e i lavoratori vanno avanti con la cassa integrazione. A Terni la ThyssenKrupp sembra intenzionata a lasciare lo stabilimento AST dove sono impiegati 2.300 lavoratori, mentre all'ex Ilva di Taranto Arcelor-Mittal vuole licenziare 5mila persone.
Alla manifestazione di Roma la segretaria Fiom Re David si è attribuito il merito di “aver chiuso le fabbriche, con scioperi e fermate delle attività produttive, per la salute di tutti. Ora vogliamo soluzioni per le vecchie e le nuove crisi industriali, tutte senza risposta”. A dir la verità il blocco della produzione, seppur parziale, c'è stato grazie agli scioperi spontanei, anche se poi la Fiom si è accodata; in ogni caso Cisl e Uil non hanno mosso un dito. ”Confindustria sbaglia quando annuncia di voler superare il contratto nazionale. Il lavoro va valorizzato non impoverito. Dobbiamo - ha continuato - rilanciare il ruolo della contrattazione, a partire dal contratto nazionale dei metalmeccanici”.
Un concetto che, oltre ad essere rispettato dalla Cgil, andrebbe spiegato al dimissionario segretario della Cisl Bentivogli, che di fronte ai manifestanti fa il “duro” ma poi il suo sindacato è sempre stato favorevole a privilegiare la contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale proprio come vuole Confindustria. Dal palco ha denunciato come “in due anni non è stato risolto nessuno dei 144 tavoli di crisi aperti al Mise” e come nel decreto rilancio “ci sono zero euro per l’automotive”. Dobbiamo però ricordargli che proprio lui ha sempre difeso a spada tratta il “modello Pomigliano” di Marchionne mirante a cancellare i diritti dei lavoratori e l'autonomia del sindacato.
Nelle conclusioni, il segretario Uilm Palombella ha rilanciato le rivendicazioni dei sindacati confederali: “Al governo chiediamo una vera politica industriale, il rilancio dei settori industriali e la salvaguardia di quelli in crisi, la riduzione del peso fiscale sui lavoratori dipendenti, la detassazione dei premi di risultato, investimenti pubblici e privati per far ripartire il nostro Paese, un’adeguata legislazione sul ruolo delle multinazionali e una riforma degli ammortizzatori sociali”. Alle aziende e a Federmeccanica lo sblocco della trattativa sul rinnovo contrattuale.
Una piattaforma debole e in certi punti ambigua, che va rafforzata anzitutto con la richiesta della nazionalizzazione delle grandi aziende in crisi e la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Ma la mobilitazione per avere successo deve distaccarsi dal collaborazionismo con il governo e i padroni, altrimenti gli unici a dover affrontare nuovi sacrifici saranno i lavoratori e le masse popolari.


1 luglio 2020