Conferenza dei ministri della difesa dell'alleanza atlantica imperialsta
“La Cina è in cima all'agenda della Nato”

 
Nella Dichiarazione di Londra rilasciata dai capi di Stato e di governo dell'Alleanza Atlantica al termine del vertice del 3 e 4 dicembre dello scorso anno, vedi Il Bolscevico 46/19, si mettevano in ordine di importanza i principali campi di intervento della Nato, primo fra tutti il contrasto alle “azioni aggressive” della Russia, al terrorismo e le conseguenti azioni di riarmo sia convenzionale che nucleare dei paesi membri; si dichiarava lo spazio come il quinto dominio operativo dopo terra, aria, mare e cyber, nella sfida militare con le potenze imperialiste concorrenti e infine, per la prima volta, compariva la questione della Cina: “siamo consapevoli che la crescente influenza e le politiche internazionali della Cina presentano sia opportunità che sfide, alle quali dobbiamo rispondere insieme come Alleanza”. La riunione in teleconferenza dei ministri della difesa della Nato del 17 e 18 giugno scorsi diretta dal quartier generale di Bruxelles dal segretario generale Jens Stoltenberg ha ripercorso la stessa traccia con due novità: la prima ha riguardato la verifica sull'efficacia delle misure che i partner stanno prendendo per mantenere intatta l'operatività militare nonostante le precauzioni dettate dalla crisi sanitaria, che hanno portato a una riduzione delle esercitazioni soprattutto con truppe di terra, la seconda ha riguardato la discussione sulla crescita di importanza del confronto con la Cina, la principale concorrente imperialista degli Usa. La Nato a guida Usa si adegua alle pressioni di Trump che a Londra aveva raccolto solo qualche dissenso dal presidente francese Macron, capofila delle ambizioni militari per conto proprio dell'imperialismo europeo. “La Cina è in cima all'agenda della Nato”, dichiarava Stoltenberg nella conferenza stampa del 17 giugno.
Come siano andati i lavori lo raccontava appunto il segretario generale nelle conferenze stampa serali dove sottolineava che l'attenzione al COVID-19, che ha occupato il secondo giorno della conferenza ministeriale dedicata alla preparazione per affrontare una possibile seconda ondata in autunno, non voleva dire tralasciare le altre “sfide”, a partire dalle implicazioni per la sicurezza della Nato dello sviluppo del già ampio arsenale di missili nucleari della Russia, dai vettori a medio raggio ai missili balistici intercontinentali. Quel riarmo che l'imperialismo russo con Putin ha messo in atto per tenere testa all'accerchiamento sempre più asfissiante dell'imperialismo americano arrivato proprio con la Nato a costruire basi e schierare truppe ai confini della Russia grazie ai compiacenti regimi reazionari e fascisti dei paesi dell'Est una volta colonie di Mosca, senza dimenticare il confronto militare indiretto nella crisi Ucraina alimentata dagli Usa.
Il confronto fra i due giganti imperialisti è ovviamente giudicato in maniera opposta a Mosca e a Washington; secondo il burattino della Casa Bianca alla guida politica della Nato, Stoltenberg, sarebbe il comportamento “destabilizzante e pericoloso” della Russia “a intimidire e minacciare gli alleati della Nato”. Ragione per la quale i ministri della Difesa in risposta hanno “concordato un pacchetto equilibrato di elementi politici e militari”, dal rafforzamento della difesa aerea e missilistica integrata con l'acquisto da parte di “numerosi alleati” di nuovi sistemi di difesa aerea e missilistica di prodotti Usa al mantenimento del “deterrente nucleare della Nato sicuro, protetto ed efficace”, allo schieramento di altre truppe dalla Norvegia, alla Polonia alla Romania.
La Nato, sostiene Stoltenberg, avrebbe ridotto il suo arsenale nucleare del 90% dalla fine della guerra fredda ma gli accordi che hanno portato a quella condizione non sono più sufficienti, come ha sostenuto Trump disdettandoli uno dopo l'altro. L'imperialismo americano vuole avere mano libera e liberarsi persino degli impicci formali dei trattati sul disarmo che riportano al vecchio confronto Usa-Russia; adesso i tempi sono cambiati e alla Casa Bianca, e di conseguenza alla Nato a Bruxelles, guardano alla Cina quale primo concorrente imperialista. “Come grande potenza militare, la Cina ha anche importanti responsabilità. Quindi, in quanto potenza globale in crescita, è giunto il momento che la Cina partecipi al controllo globale degli armamenti”, dichiarava Stoltenberg.
Nel rispondere a una domanda il segretario Nato precisava che una novità era proprio il fatto che la Cina è salita in cima all'agenda della Nato, dopo che vi era entrata per la prima volta nel vertice dei capi di stato e di governo a Londra. La Cina è un grande partner commerciale per molti alleati, registrava Stoltenberg, ma non era una giustificazione per chi fa affari con Pechino, da Grecia e Italia, che si giocano il ruolo di terminale europeo della nuova Via della Seta, ai paesi dell'Est europeo i cui leader “sovranisti” spalancano le porte ai marines americani, alle truppe della Nato e ai capitali cinesi per costruire infrastrutture. Era una tirata di orecchi sollecitata da Washington per non vedere lo sgretolamento del fronte anticinese che Trump sta costruendo. “La Cina ha il secondo budget di difesa più grande al mondo. Stanno investendo molto in nuovi sistemi di armamento a lungo raggio e sistemi missilistici che possono raggiungere tutti i paesi della NATO. Stanno modernizzando le loro capacità marittime con qualcosa in più, con una portata più globale delle loro forze navali. Negli ultimi cinque anni hanno aggiunto altre 80 navi e sottomarini alla loro marina. Ciò equivale alla quantità totale di navi e sottomarini nella marina del Regno Unito”, avvertiva Stoltenberg, che dipingeva un quadro da assedio di Forte Alamo per i paesi imperialisti occidentali: la Nato non deve andare nel Mar Cinese Meridionale, tanto a provocare la Cina ci pensano già i mezzi navali e aerei degli Usa, però vede che “la Cina si sta avvicinando a noi. Li vediamo nell'Artico. Li vediamo in Africa. Li vediamo investire pesantemente in infrastrutture nei nostri paesi. E, naturalmente, li vediamo anche nel cyberspazio”.
Uno scontro imperialista a tutto campo cui non si sottrae una Nato a guida Usa che si rafforza anche attivando i cosiddetti “partenariati potenziati”, collaborazioni militari più strette con una serie di paesi dall'Ucraina alla Georgia, a Finlandia e Svezia, financo alla Giordania e Australia, alcuni dei quali sono in lista di attesa per entrare a pieno titolo a fianco degli attuali 30 membri.

1 luglio 2020