Imparare dalla rivolta antifascista e anticapitalista del luglio 1960
Gloria eterna ai martiri di Reggio Emilia, Licata, Palermo e Catania
 
Per combattere oggi i fascisti del XXI secolo e il dilagare dei partiti e organizzazioni neofascisti e neonazisti occorre imparare dalla rivolta antifascista e anticapitalista del luglio 1960 e far tesoro di quella esperienza storica. “Nessuno potrà mai scordare l'eroismo dimostrato dal nostro popolo nel 1960 di fronte al governo fascista Tambroni''. Così il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, presentando il Rapporto politico al Congresso di fondazione del Partito il 9 Aprile 1977, rendeva onore e assicurava imperitura memoria ai martiri e agli eroici protagonisti che nel Luglio 1960 scrissero una delle più belle pagine della lotta di classe antifascista e anticapitalista del nostro Paese. La Rivolta del Luglio '60 esplose improvvisa e sostanzialmente spontanea. Negli anni precedenti vi erano stati segnali di fermento e ribellione operaia nelle grandi fabbriche del Nord, a Brescia, Milano, Modena, e nel Sud con le lotte bracciantili e l'occupazione delle terre. Nessuno poteva però immaginare che da lì a poco potesse esplodere un movimento così esteso, potente e dal chiaro carattere antifascista, che ben presto assunse anche un carattere fortemente anticapitalista, rivoluzionario, di classe.Un'intera nuova generazione di giovani, i ragazzi dalle "magliette a strisce'', secondo la moda di allora, prevalentemente di estrazione operaia e popolare, fece per la prima volta irruzione sulla scena politica del dopoguerra. Una gioventù che non aveva fatto la Resistenza, ma che cosciente del tentativo di restaurazione fascista in atto non esitò a scavalcare l'ignavo e opportunista atteggiamento dei vertici revisionisti del PCI e della Cgil per gettarsi anima e corpo nella lotta contro il governo Tambroni. Essa si trovò così nella lotta a travalicare i limiti angusti della Costituzione e della legalità borghesi e a maturare una forte carica rivoluzionaria contro la società, i padroni, la Chiesa, le "forze dell'ordine'', insomma contro l'ordine capitalistico precostituito.Furono i giovani operai, braccianti, disoccupati, a cui si unirono per la prima volta le prime avanguardie studentesche, a trascinare nella lotta anche la vecchia generazione della classe operaia, quella cioè che aveva fatto la Resistenza, che era insorta dopo l'attentato a Togliatti e si era battuta contro la repressione di Scelba agli inizi degli anni '50, ma che al momento risultava più condizionata e frenata dalla direzione revisionista e riformista del PCI e del PSI.

 

La rivolta delle masse contro il governo clerico-fascista Tambroni

La premessa della Rivolta fu la costituzione, nell'aprile '60, del governo clerico-fascista di Fernando Tambroni con i voti del MSI di Michelini, quale tentativo della destra della classe dominante borghese, democristiana e fascista, del Vaticano e degli Usa di impedire l'integrazione governativa del PSI, che allora veniva ancora considerato il "cavallo di Troia'' del PCI. La scintilla che scatenò la reazione popolare fu la provocatoria richiesta del MSI, accolta dal governo Tambroni, di celebrare il suo VI Congresso nazionale a Genova, città medaglia d'oro per la Resistenza, la prima città d'Italia a costringere le truppe naziste e i fascisti alla resa. Il Congresso si doveva aprire il 2 luglio, ma già una settimana prima, il 25 giugno, iniziano nel capoluogo ligure le proteste di massa e di piazza che sfoceranno il 30 giugno in una grandiosa manifestazione cui presero parte 100 mila giovani, operai, ex partigiani, antifascisti e che si concluse solo a tarda sera dopo violenti scontri con la polizia. Per il 2 luglio la Cgil indice uno sciopero generale a Genova durante il quale giunge la notizia che il MSI è stato costretto a revocare il proprio congresso. La rivolta popolare ha vinto, ma non si ferma. Ormai la protesta si allarga, si estende, divampa in tutto il Paese mirando quantomeno alla cacciata del governo Tambroni. Manifestazioni di piazza sempre più consistenti e combattive contro il governo si tengono dal Nord al Sud del Paese: Roma, Milano, Livorno, Napoli, Castellammare di Stabia, Bologna, Parma, Firenze, Pisa, Palermo, Catania, Licata, e tante altre. Per la prima volta dopo la Liberazione si saldano nella lotta la classe operaia del Nord e del Centro Italia e il proletariato industriale e agricolo del Sud. Il governo Tambroni risponde ovunque con una preordinata e violenta repressione di massa: cariche selvagge, caroselli, idranti, arresti, torture e maltrattamenti, fino a giungere a dare l'ordine di sparare con i mitra ad altezza d'uomo. Il risultato di tanta ferocia sono dieci morti e centinaia di feriti. Il primo a cadere è Vincenzo Napoli, un giovane operaio di 25 anni, ucciso a Licata il 5 luglio durante uno sciopero di lavoratori e braccianti. Poi il 7 luglio tocca a Reggio Emilia pagare il suo tributo di sangue con 5 operai uccisi con premeditazione dalla polizia: Lauro Farioli, 22 anni, Ovidio Franchi, 19 anni, Emilio Reverberi, 39 anni, Marino Serri, 41 anni, Afro Tondelli, 36 anni. Il giorno dopo cadono a Palermo Andrea Gangitano, un operaio edile di 19 anni, Francesco Vella, 42 anni, e Rosa La Barbera, 54 anni e a Catania Salvatore Novembre, operaio di 20 anni. I giovani dalle magliette a strisce non indietreggiano di fronte al sanguinario governo Tambroni, lasciando stupiti e terrorizzati gli stessi responsabili delle forze dell'ordine. Essi scoprono e sperimentano l'uso della violenza rivoluzionaria di massa: a migliaia, con l'appoggio delle masse che li aiutano, li riparano e li sostengono, e utilizzando tutto ciò che hanno a portata di mano (sassi, sampietrini, sedie, materiale edile prelevato dai cantieri) erigono barricate, incendiano e ribaltano le camionette della celere, bloccano e disarmano i poliziotti, li costringono a ritirarsi. A Milano una imponente manifestazione diretta a Piazzale Loreto senza il permesso della questura e contravvenendo agli accordi presi dai dirigenti del PCI e del sindacato, costringe le "forze di polizia'' a rientrare nelle caserme.Tutto questo si protrae fino al 19 luglio quando Tambroni annuncia le sue dimissioni. La classe dominante borghese preoccupata di non riuscire più a controllare la piazza, decide di scaricare Tambroni e di inaugurare la fase dei governi di centro-sinistra che si svilupperà negli anni '60, prima attraverso i governi delle "convergenze parallele'', ossia l'appoggio esterno del PSI e del MSI, poi con l'integrazione organica del PSI nel governo.

 

Il sabotaggio del PCI revisionista

Il popolo italiano riporta una storica vittoria che avrebbe potuto precludere a nuove e più grandi conquiste fino a trasformarsi in un'insurrezione generale per l'abbattimento dello Stato borghese e l'instaurazione del socialismo, se al posto del PCI revisionista, riformista e parlamentarista di Togliatti vi fosse stato alla testa delle masse un autentico partito marxista-leninista in grado di organizzare, alimentare e guidare la potente spinta rivoluzionaria esplosa in quei giorni. Il vertice del PCI invece si accontentò di questo pur importante risultato parziale per mettere fine allo sciopero generale e alle manifestazioni di piazza e per indurre gli operai e i giovani a far ritorno alle loro case. Il vertice del PCI e della Cgil, capeggiata da Agostino Novella, non aveva svolto alcun ruolo determinante nell'esplosione di questo movimento, ma anzi era stato spiazzato e scavalcato dalle masse in lotta. In più di un'occasione i dirigenti revisionisti del PCI, assunti come interlocutori dai questori e dai prefetti, scesero a compromessi come quello di tenere le manifestazioni al chiuso per impedire che si sviluppassero scontri di piazza. Togliatti intervenne in prima persona per dichiarare che "Sentiamo che è necessario sia abbandonata la strada dei conflitti a ripetizione, degli scontri, degli eccidi''.Questa politica era lo sbocco inevitabile della fase, inaugurata da questo partito nel '56 all'8° Congresso, della "via italiana al socialismo'' che segnò l'identificazione definitiva del PCI col sistema economico capitalistico, il rigetto della lotta di classe rivoluzionaria per abbracciare le "riforme di struttura'', la rinuncia allo Stato socialista a dittatura del proletariato per "una marcia verso il socialismo nell'ambito di una legalità democratica''. Purtroppo, le manovre controrivoluzionarie del vertice del PCI ebbero la meglio. Il movimento del Luglio '60 infatti non aveva una coscienza antirevisionista. Ma è proprio da allora che prese avvio il distacco dei giovani dal PCI e dalla Fgci che si approfondirà e si allargherà nella Grande Rivolta del Sessantotto quando il movimento giovanile e studentesco scavalcherà e travolgerà fra gli altri anche i revisionisti e le loro organizzazioni universitarie e giovanili.


22 luglio 2020