Rendendo omaggio alla foiba e al monumento agli antifascisti di Basovizza
Mattarella e Pahor equiparano il comunismo al fascismo

 
Il 13 luglio, in occasione del centenario dell’incendio appiccato dagli squadristi fascisti triestini, guidati da Francesco Giunta, al Narodni Dom (Casa del Popolo), palazzo nel quale risiedeva l’Hotel Balkan ma soprattutto centro polivalente dell’associazionismo slavo di Trieste, che segnò il primo passo verso l’annientamento sistematico della comunità slava del Venezia Giulia e dell’Istria e dell'occupazione fascista, i presidenti di Italia e Slovenia Sergio Mattarella e Borut Pahor, hanno visitato insieme la “foiba” di Basovizza e il monumento ai 4 sloveni appartenenti al TIGR fucilati dal regime fascista nel 1930.
Così, in un clima blindato con la partecipazione quasi esclusiva di rappresentanze delle forze dell'ordine, stampa e tv, si è svolto il quindicesimo incontro fra i due capi di Stato, aperto con le celebrazioni di rito e che ha avuto i suoi momenti apicali al mattino durante la deposizione della corona di fiori sulla lastra di ferro che copre l'ingresso della cosiddetta “foiba di Basovizza”, monumento nazionale italiano, e nella successiva analoga deposizione al monumento ai caduti sloveni, ma anche più tardi quando ha avuto luogo davanti al prefetto di Trieste la firma di restituzione del Narodni Dom alla comunità slava della città friulana.
Nel pomeriggio però Mattarella, una volta congedato il premier sloveno, per sottolineare senza equivoci la posizione istituzionale nazionalista italiana, ha incontrato al palazzo del Lloyd triestino il presidente della Regione, il leghista Fedriga e alcuni rappresentanti di associazioni di esuli.
 

Gli interventi di Mattarella e Pahor e le onorificenze allo scrittore sloveno
Dopo la cerimonia è stato il turno degli interventi dei due presidenti; ha aperto Mattarella con un discorso breve ma eloquente, che non lascia spazio a fraintendimenti su quale sia stato effettivamente il significato politico dell'iniziativa.
Infatti, basta soffermarsi su un paio di passaggi per capire di essere di fronte all'ennesimo tentativo di riscrittura della storia in chiave anticomunista: “La storia non si cancella – ha detto Mattarella - e le esperienze dolorose sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l'avvenire chiamano al senso di responsabilità, a fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall'altra, l'unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro (…) sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace.” Pensiamo dunque solo alle sofferenze, uguali per tutti, suggerisce il capo di Stato italiano, indipendentemente da chi le ha perpetrate e chi le ha subite.
Sempre Mattarella, in una lettera inviata al quotidiano “Il Piccolo” di Trieste, ha rafforzato il concetto, affermando che: “la giornata ci consentirà di compiere un nuovo e decisivo passo nel progressivo rimarginarsi delle ferite che hanno a lungo, molto tempo fa, travagliato queste terre. (…) Rispetto per le vittime e compartecipazione al profondo dolore che avvenimenti di inaudita violenza hanno prodotto”.
Dal canto suo il socialdemocratico e rinnegato premier Borut Pahor ha enfatizzato la riconsegna del Narodni Dom alla comunità slovena dopo 100 anni, non dimenticandosi però di sottolineare la necessità di una rapida e definitiva riconciliazione: “Trieste ci parla della fragilità dell'uomo in un turbine di cambiamenti politici, storici, etnici e civili. Oggi, tuttavia, Trieste ci parla anche del potere dell'uomo che comprende, ricorda e perdona (…) oggi nulla deve essere fatto per odiare. Basta indulgere codardi nei pregiudizi”.
In seguito la cerimonia è proseguita con la consegna di due onorificenze all'ultracentenario e controverso scrittore Boris Pahor, omonimo del premier sloveno, che a sette anni fu testimone dell'incendio al Narodni Dom e che prese parte attiva alla resistenza jugoslava. Lo scrittore, che però in passato denunciò attraverso un libro i crimini partigiani commessi a guerra finita, ha commentato: “Dedico le onorificenze a tutti i morti che ho conosciuto nel campo di concentramento e alle vittime del nazifascismo e della dittatura comunista”.
Insomma, non solo memoria condivisa, non solo il peloso invito a “rimarginare le ferite”, a dimenticare, ma soprattutto equiparazione totale fra la popolazione inerme, i partigiani slavi massacrati dai fascisti e i fascisti stessi giustiziati o ricacciati in Italia dalla Resistenza. L'operazione si fa ancor più vigliacca se la frase centrale, quella che risolve in odore di revisionismo storico tutte le contraddizioni rivelando il reale obiettivo dell'iniziativa che è l'attacco al comunismo e alla Resistenza, la si fa pronunciare senza veli ad un uomo di 107 anni. Sullo sfondo, è bene ricordarlo, di tutta la questione rimane l'Europa imperialista del grande capitale, più volte citata negli interventi dei capi di Stato, e prima artefice di questo processo messo per iscritto dalla recente famigerata risoluzione che equipara il nazismo e il fascismo oppressore al “comunismo” liberatore, come analoghi crimini storici assoluti.
In ultima analisi poi, come dimostrano i fatti, l'operazione è principalmente anticomunista poiché, se da un lato formalmente si condanna anche il fascismo “storico”, dall'altra si continuano ad applicarne sostanzialmente leggi, principi e morali sia in politica interna che estera che confermano a tutto tondo il regime neofascista nel quale viviamo in Italia, ma anche in Slovenia oggi governata dalla destra radicale, così come in tanti altri paesi capitalisti del mondo.
 

Che cos'era il TIGR
Rafforza questa nostra convinzione, anche un altro elemento che non va ignorato; per questo è necessario anche spiegare brevemente che il TIGR, al quale era dedicato il cippo che Mattarella e Pahor hanno visitato in memoria della parte slava e antifascista, era una organizzazione clandestina, nazionalista, irredentista e anche effettivamente antifascista, che si batteva contro la politica di snazionalizzazione di sloveni e croati perseguita dal regime italiano, ma anche per l'annessione al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni delle zone nord-orientali del Regno d'Italia, annesse a seguito della prima guerra mondiale. L'organizzazione operò tra le due guerre mondiali svolgendo attività di propaganda, diffondendo libri e stampa in lingua slovena e croata, e mettendo in atto azioni di guerriglia, assalti a pattuglie, incendi e sabotaggi e venne definita “organizzazione terroristica” dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato fascista. In seguito al suo disfacimento, soltanto alcuni elementi che la costituivano si unirono alla Resistenza jugoslava che si oppose al nazifascismo mentre in molti cessarono la propria attività politica o collaborarono direttamente coi servizi segreti britannici, proprio perché la lotta partigiana era guidata dai comunisti.
Questo “omaggio” a chi comunque si oppose al fascismo è stato probabilmente solo il giustificativo che ha consentito di definire “bipartisan” la partecipazione di entrambi i capi di stato ed etichettarla come “riconciliazione” nonostante l'obiettivo fosse stato l'equiparazione del fascismo al comunismo.
Non sfugga infatti che anche la scelta sul cippo antifascista da commemorare non è tanto da attribuire al fatto che anch'esso si trovi a Basovizza, ma soprattutto nel constatare che i caduti omaggiati dalla visita di Mattarella e Pahor, pur essendo stati antifascisti, non rappresentano la stragrande maggioranza di resistenti e partigiani jugoslavi -che furono in larga parte comunisti- che si opposero prima all'italianizzazione forzata, poi all'occupazione nazifascista e che sono il vero obiettivo dell'attacco politico revisionista.
 

L'incendio del Narodni Dom
Nonostante sia ormai noto che l’incendio al palazzo triestino fu l’avvenimento che di fatto battezzò lo squadrismo organizzato e violento dei fascisti in Istria e Dalmazia e diede il via ad una sterminata serie di crimini, che passarono dai campi di internamento delle minoranze slovene, croate e ceche dell’area divenuta italiana dopo la Grande guerra, fino a giungere all’occupazione nazifascista della Slovenia, della Croazia e del Montenegro, oggi da destra c'è chi strumentalmente lo nega nel tentativo di coprire le responsabilità fasciste addossando l'incendio del palazzo agli slavi.
È chiaro che questa accelerata revisionista si inserisce in tutto un proliferare di iniziative filo fasciste che hanno il loro caposaldo nel dieci di febbraio di ogni anno, nella Giornata del Ricordo, quando il presidente della repubblica in carica celebra, acclamato da tutte le forze parlamentari che fanno a gara a chi concede ai media il miglior intervento d'appoggio, culminate lo scorso anno con l'inaugurazione di una statua a D'Annunzio nella stessa Trieste.
Come chiarisce il dossier n.62 pubblicato dalla redazione di “La nuova alabarda”, diretto dalla ricercatrice e storica Claudia Cernigoi e scaricabile dal sito www.diecifebbraio.info, in occasione del centenario dell'incendio al Narodni Dom, la Lega nazionale di Trieste (fondata a Trieste nel 1891) in collaborazione con la Fondazione Rustia Traine presieduta dall'esule ed ex-parlamentare missino Renzo de'Vidovich indagato anche nell'indagine sulla strage di piazza Fontana, ha promosso una vergognosa iniziativa pubblica in una prestigiosa sala messa a disposizione dalla regione FVG, nella quale non solo si negano le responsabilità fasciste sull'accaduto, ma si vuol far credere che l'evento sia stato causato dagli stessi slavi colpevoli dell'assassinio di alcuni militari italiani durante i “fatti di Spalato” dell'11 luglio 1920.
Il dossier della Cernigoi smaschera organicamente certe tesi, sottolineando che quella che per gli slavi è considerata la propria “notte dei cristalli”, molto precedente della più nota dei nazisti contro gli ebrei, non fu solo tale per l'incendio al Narodni Dom, ma anche perché contemporaneamente furono devastate decine di attività commerciali, di banche e uffici, oltre al consolato serbo di piazza Venezia, tutte per mano fascista.
Del resto, secondo lo storico M. Pacor (Opere cit. pag.102 – rif. www.diecifebbraio.info) lo stesso Francesco Giunta dichiarò alla vigilia delle elezioni del 1921 che “il programma del partito fascista comincia con l'incendio al Balkan”, mentre il 19 luglio del 1942 nel ventiduesimo anniversario dell'incendio, “Il Piccolo” scriveva definendolo “un episodio fondamentale nella storia del fascismo (…) uno di quei momenti fatali che il destino dei popoli sceglie quando vuole segnare una svolta”.
La vigliaccheria fascista però non ha limiti, e quindi per raggiungere il loro obiettivo di essere riabilitati, oggi si dimenticano anche le parole dello stesso Mussolini che il 20 settembre 1920 a Pola ammise le responsabilità dichiarando che: “Abbiamo incendiato la casa croata a Trieste e l’abbiamo incendiata a Pola. Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone”.
Infatti dopo il Narodni Dom, il giorno seguente i fascisti dettero fuoco alla Casa del Popolo di Pola mentre a Pisino assaltarono la sede del giornale cattolico sloveno Pucki Priaateli.
 

I fascisti esultano e rilanciano con la complicità della sinistra istituzionale
Non paghi per i grandi progressi del revisionismo storico istituzionale, anche la destra italiana incassa e rilancia, nel tentativo di addossare la responsabilità generale dei fatti del confine orientale ai partigiani comunisti; ecco infatti che – ghignando – il foglio fascista “Il giornale” esce parlando di “riconciliazione-bidone”, promuovendo la tesi antistorica di de' Vidovich e criticando la restituzione dell'immobile agli sloveni come una inutile spesa pubblica. Ma d'altra parte anche Roberto Menia di Fratelli d'Italia, ha dichiarato che è inammissibile che Mattarella insieme al presidente sloveno Pahor, abbia onorato insieme ai martiri delle foibe anche 4 terroristi sloveni.
In Toscana gli fa eco la candidata alla presidenza regionale della Lega Ceccardi che ha recentemente esclamato “non ha senso definirsi antifascisti”, dopo che lo scorso anno aveva ragliato di come “La Liberazione d'Italia ci fu al prezzo di indicibili soprusi di infami vestiti da partigiani”.
Ecco dunque oggi l'ennesimo tentativo che punta dritto verso la riabilitazione del fascismo e la condanna alla Resistenza; passaggio successivo all'equiparazione che di fatto i fascisti pensano ormai cosa fatta, visto che tutte le forze parlamentari la abbracciano in pieno nei fatti, tenendosi in serbo qualche riserva da sfruttare elettoralmente ad ogni occasione.
Complici di questo disegno, oltre Di Maio e tutti i componenti del governo Conte 2 che hanno accolto entusiasticamente i due capi di Stato, anche e soprattutto il PD che attraverso la senatrice Tatjana Rojc fa presente che “memoria e dolore non hanno bandiera (…) inchinarsi alle memorie e alle vittime dei totalitarismi è un segno di grande civiltà e un dovere che dobbiamo agli altri, chiunque essi siano”. Possiamo dire lo stesso di Eugenio Giani (per dirne uno), candidato PD alla Regione Toscana che non perde occasione di sottolineare l'essenzialità dell'antifascismo, ma che “non ricorda” di essere stato uno dei primi membri di giunta piddina ad aver inaugurato una via dedicata ai “martiri delle foibe” nella propria città, o di essere l'indiscusso presenzialista di punta del PD toscano nelle iniziative revisioniste e fasciste del 10 febbraio in ogni località della regione.
Una vergogna.
 

Proteste in Slovenia
Gli antifascisti sloveni però non ci stanno, e ogni venerdì a Lubiana e in altre città, gruppi numerosi di giovani si riuniscono o sfilano in bicicletta, con parole d’ordine antifasciste. La piazza antistante il parlamento sloveno è stata più volte gremita di persone che contestavano il Presidente Pahor e la sua visita alla foiba, la prima ad opera di un presidente ex-jugoslavo, con cartelli sui quali era scritto “Pahor, la visita alla foiba di Basovizza significa inchinarsi al fascismo”.
Anche da Trieste in molti sono andati da Borut Pahor per gridargli in viso che il suo omaggio alla foiba è uno schiaffo non solo alla minoranza slovena in Italia ma anche a tutta la lotta di liberazione, oltreché rappresenti l'accettare le mistiche falsificazioni storiche delle destre; tantissime anche le lettere di antifascisti inviate ai giornali, così come numerose sono state le iniziative dell'opposizione di governo. Non va dimenticato che l'attuale governo sloveno, di estrema destra, promuove pubblicamente e senza remore l’identificazione tra antifascismo e terrorismo.
A irritare ulteriormente la popolazione antifascista slovena sono state anche le dichiarazioni del Presidente della Regione, il leghista Fedriga, che ha definito la sua presenza al monumento dei quattro fucilati sloveni un puro atto di “educazione istituzionale”, mentre il sindaco di Trieste ha parlato di una scelta “per far contenti gli sloveni e così poi mettiamo una pietra tombale su tutte le beghe del ‘900”.
Su tutte le iniziative, è doveroso citare una lettera aperta inviata a fine giugno a Pahor dai redattori del sito www.diecifefbbraio.info (che pubblichiamo a parte) nella quale con puntuali argomentazioni si chiede al presidente di non presenziare quella che viene definita come “l'ennesima umiliazione di chi fu vittima e deve chiedere perdono ai propri carnefici”.
D'altra parte basterebbe solo guardare oggettivamente alla “foiba” di Basovizza, che dall'istituzione della giornata del ricordo, narra per via istituzionale eccidi perpetrati da jugoslavi comunisti nei confronti di inermi italiani, nonostante proprio le autorità italiane non abbiano mai voluto indagare dentro il pozzo di miniera impropriamente chiamato foiba, per verificare e identificare eventuali resti umani.
Nell’estate del 1945 lo fecero gli alleati anglo-americani ed estrassero cadaveri di soldati tedeschi, carogne di cavalli e il corpo di un aguzzino fascista della Banda Collotti. In seguito il Comune di Trieste e gli stessi eserciti alleati ne fecero una discarica, parzialmente svuotata da una ditta di recupero di metalli e poi chiusa con una colata di cemento. Ora circolano voci secondo cui sul fondo del pozzo si troverebbero i resti di 180 militari italiani, morti nel 1919 in seguito alla “febbre spagnola”. I loro nomi sarebbero evidenziati in documenti conservati negli archivi comunali. Sarebbe questo un buon motivo per esumarli e fare chiarezza, e invece no. Senza certezza, chi vuole, può continuare a raccontare menzogne. Infatti non si è mai voluto documentare quello che c’è davvero nella foiba, eppure si sono moltiplicati comizi , libri e iniziative ad esclusivo vantaggio della destra revanscista e fascista per continuare a non parlare degli orrori commessi dai fascisti stessi nelle terre occupate, rinverdendo invece l'immagine dello slavo comunista stragista infoibatore e del buon italiano martire innocente.
Oggi, ben protetti dagli altri partiti di destra e anche dalle stesse istituzioni che li tollerano e nei fatti li proteggono, i fascisti di Casa Pound hanno ricominciato ad affiggere manifesti antislavi e anticomunisti, guidando l’estrema destra che ha manifestato in piazza contestando la restituzione del Narodni Dom, vandalizzando molti monumenti che, in ogni più piccola frazione del Carso, ricordano i partigiani del luogo uccisi dai fascisti.
 

Respingiamo il revisionismo storico e l'anticomunismo fascista e borghese
Insomma, è un fatto che a un secolo di distanza, i Capi di stato europeisti d’Italia e della Slovenia, hanno ricordato l'incendio del Narodni Dom in un clima di spregiudicato revisionismo storico, accompagnato da una viscerale anticomunismo che sempre più prepotentemente fa mostra di se in ogni circostanza.
Anche la “dichiarazione di intenti” firmata dai capi di stato in cui si ribadisce l’intenzione di restituire l’edificio alla comunità slovena, odora di beffa poiché la “restituzione” del Narodni Dom è prevista dalla legge n.38 del 2001, nota come legge di tutela della minoranza slovena; in essa si prevede che l’edificio venga dato “in uso” alla minoranza slovena e alle sue istituzioni, a partire dalla Biblioteca nazionale degli studi, attraverso un accordo tra l’Università, il Comune di Trieste e la Regione Friuli Venezia Giulia entro cinque anni, scaduti i quali sarebbe stato il Governo ad applicare la norma. Insomma, per la legge 38/2001 il Narodni Dom avrebbe dovuto essere restituito agli sloveni già nella metà del 2006.
Dati i fatti, è di tutta evidenza che l'avvenimento non è altro che un ulteriore passo, un nuovo episodio della saga revisionista e anticomunista del governo italiano e di quello sloveno, ma con una superba regia che giunge direttamente da Bruxelles, che ha come obiettivo prima il riconoscimento generale dell'equiparazione fra nazifascismo e comunismo, poi la sua messa al bando.
Il revisionismo storico imperante ha oramai cancellato, o almeno sta cercando di farlo, ogni memoria e verdetto storico, quindi oggi i carnefici di ieri diventano vittime e viceversa, ma per noi marxisti-leninisti la storia non si cancella.
Per noi, come asserito più volte, non vi fu nessuna pulizia etnica dei partigiani jugoslavi contro gli italiani, e le uniche responsabilità storiche di quei fatti ricadono esclusivamente sui nazi-fascisti italiani e tedeschi che occuparono i territori slavi provocando un milione e settecentomila morti nella repressione della popolazione locale e durante la lotta di Liberazione.
Nessuno in realtà fu espulso dalla Jugoslavia, e i circa trentacinquemila “esuli”, erano in gran parte anticomunisti, fascisti, spie, traditori, delatori, collaborazionisti e personaggi compromessi che scapparono per sottrarsi vigliaccamente al giudizio di quelle che fino a pochi giorni prima erano state le loro vittime.
Condanniamo dunque con forza questo ennesimo episodio di riscrittura della storia a uso e consumo dei fascisti vecchi e “nuovi” ed esprimiamo la nostra piena solidarietà agli antifascisti sloveni, mortificati e traditi dai neofascisti che sono attualmente al governo del loro Paese e dal loro rinnegato Presidente, e alla Resistenza che in particolare sul confine orientale non ebbe “nazionalità”, ma si strinse, si unì e si amalgamò sotto una grande bandiera rossa.

22 luglio 2020