La basilica di Santa Sofia riconvertita a moschea
Un altro tassello della strategia egemonica di Erdogan sui sunniti e nel mediterraneo

 
Lo scorso 29 maggio nell'anniversario della conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan presenziava a Santa Sofia a una cerimonia religiosa ristretta, date le misure per l'emergenza coronavirus; l'imam leggeva la sura del Corano riferita a Fatih, il conquistatore, legata al condottiero Maometto II che conquistò dopo un lungo assedio la città e pose fine all'Impero bizantino. Un esplicito segnale di quello che il fascista presidente turco aveva già annunciato di voler fare: riportare l'edificio a luogo di culto islamico.
Costruita tra il 350 e il 537 come basilica bizantina e in seguito ortodossa, divenne una moschea dal 1453 al 1934 quando il primo presidente turco e fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Ataturk, la trasformò in un museo. Su ricorso di un'associazione islamica, il Consiglio di Stato turco lo scorso 10 luglio definiva illegale la conversione dell’edificio in museo e annullava il decreto del 1934; appena un'ora dopo la sentenza, Erdogan definiva la riconversione in moschea del monumento simbolo di Istanbul un “diritto sovrano” della Turchia e annunciava che Santa Sofia sarebbe stata riaperta al culto islamico con la preghiera del venerdì del 24 luglio. La riconversione a moschea dell'edificio di Santa Sofia era dichiaratamente un altro tassello della strategia egemonica del presidente turco che punta anche all'egemonia sulla componente islamica sunnita, un altro tassello delle rinnovate ambizioni ottomane in tutta la regione del Mediterraneo orientale.
Il 15 luglio, mentre a Ankara e Istanbul erano in corso le celebrazioni per la vittoria contro il fallito golpe del 2016 che portò alla rottura tra il fascista Erdogan e gli Usa di Obama accusati di averlo appoggiato, dal governo partiva anche un avviso marittimo per l’esplorazione di gas da parte della nave da trivellazione Yavuz all’interno della Zona Economica Esclusiva (ZEE) di Cipro che prorogava quello attuale fino al 20 agosto. Ossia nelle acque cipriote concesse in licenza alle esplorazioni navali delle compagnie petrolifere italiana Eni e francese Total che il fascista Erdogan ha costretto a sloggiare con l'invio di navi militari e ha occupato in base ai diritti accampati in seguito all'accordo economico del novembre 2019 con il premier libico di Tripoli, al Serraj. Lungo la linea d'acqua che taglia nel mezzo il Mediterraneo e unisce Istanbul a Tripoli sono passate le navi cariche di armi e mercenari di Erdogan, protette con la minaccia di far fuoco dalle navi militari alle fregate italiane e francesi che si erano avvicinate per far rispettare l'embargo al paese africano, che hanno ribaltato la situazione critica del governo di Serraj assediato dal rivale Haftar grazie al sostegno militare e finanziario di Emirati Arabi, Egitto. E dell'Arabia Saudita che guida lo schieramento che punta all'egemonia del mondo musulmano sunnita concorrente a quello formato da Turchia e Qatar. Le due coalizioni che cercano l'egemonia locale si sono già scontrate in Siria, finanziando gruppi diversi dell'opposizione al regime di Assad, e la vittoria è andata a Erdogan che ha impiegato direttamente l'esercito contro i curdi per invadere la Siria del Nord, d'intesa con Putin, e l'Iraq del Nord d'intesa con Trump e i curdi della regione autonoma di Erbil, suoi stretti alleati. La marina turca ha già varcato anche lo stretto di Suez e messo base all'uscita del Mar Rosso tra Somalia e Gibuti.
Il protagonismo di Erdogan, poggiato sulla forza militare che è la seconda della Nato dopo gli Usa e che sopperisce alla mancanza di risorse finanziarie di cui è ricco lo schieramento sunnita concorrente, fa dell'imperialismo turco un potente pretendente all'egemonia locale. Un pretendente capace di giocare contemporaneamente sui due tavoli contrapposti di Usa e Russia, con al momento un canale privilegiato con Putin: il 14 luglio, rendevano noto fonti turche, Erdogan aveva parlato telefonicamente con Trump per definire una collaborazione sulla Libia e per aumentare gli scambi commerciali tra i due paesi, il 15 luglio la telefonata con Putin riguardava le inziative comuni in Siria, dove sono alleati, e in Libia dove sono schierati su fronti opposti. Va tutto bene tra Mosca e Ankara, assicurava una nota del Cremlino, financo la decisione di Erdogan su Santa Sofia che per la Chiesa ortodossa russa era bollata come “una inaccettabile violazione della libertà religiosa” ma che il viceministro degli Esteri Sergej Veršanin liquidava come “una questione interna della Repubblica turca”. Non poteva pronunciarsi diversamente dopo che Erdogan aveva anche mandato un aiuto in forniture e attrezzature mediche per combattere la pandemia di coronavirus a un comune amico, il Venezuela di Nicolás Maduro che aveva ringraziato “la nostra amata sorella Turchia e il presidente Erdogan”.

22 luglio 2020