Al “referendum” sulla nuova Costituzione
Il 36% dell'elettorato russo diserta le urne
Quasi il 78% vota a favore della Costituzione che garantirà altri due mandati al nuovo zar Putin

 
Secondo i dati diffusi dalla Commissione elettorale centrale e confermati dall'Ispi il referendum costituzionale svoltosi in Russia dal 25 giugno al 1° luglio 2020, ha visto solo il 64% dei cittadini recarsi alle urne, e di questi il 77,92% ha votato a favore della riforma (il 21,27% ha votato contro) che garantirà altri due mandati al nuovo zar Vladimir Putin, consentendogli di restare al potere fino al 2036 e dando vita in Russia a una vera e propria autocrazia.
Vladimir Putin, 67 anni e al vertice del potere in Russia - alternandosi come presidente e come premier – dal 1999, ha sostenuto che la modifica costituzionale non implica necessariamente una sua ulteriore candidatura alle elezioni del 2024 ma serve soltanto per la stabilità del Paese, eppure sembra certo che la cancellazione del vincolo dei due mandati, approvata dalla riforma, gli consentirà di rimanere al potere fino a 84 anni.
Da un punto di vista strettamente giuridico il referendum costituzionale è stato una pura formalità, essendo stata la riforma costituzionale già votata dal parlamento a larghissima maggioranza e successivamente approvata dalla Corte costituzionale, ma esso serviva indubbiamente a garantire al nuovo zar una sorta di plebiscito popolare.
Il punto centrale della riforma consiste nella possibilità, per il presidente della Federazione russa, di aggirare il limite di due mandati consecutivi da capo dello Stato (con la conseguenza che Putin potrà candidarsi alle presidenziali del 2024 e del 2030), ma vengono anche introdotti nella costituzione, tra gli altri, il divieto, per lo Stato, di negoziare con altri Stati sovrani l'integrità territoriale della Federazione russa (il che significa che Mosca non intende restituire all'Ucraina né la Crimea né il Donbass, annessi già di fatto nel 2014).
Inoltre la riforma consentirà al capo dello Stato di imporre il proprio candidato premier anche senza sciogliere il Parlamento, nel caso in cui questo respinga tre volte la persona scelta dal presidente per guidare l'esecutivo, e il presidente potrà destituire i giudici della Corte costituzionale e della Corte suprema: si rafforza così la figura del presidente il quale, cessata tale carica, diventerà automaticamente membro del parlamento, acquistando così l'immunità. Inoltre si rafforza il Consiglio di Stato, che finora ha avuto soltanto una funzione consultiva e ora, con la riforma, diventerà un organo di rilevanza costituzionale col potere di indicare la direzione della politica interna, di quella estera e di quella economica. Infine la riforma prevede che il diritto internazionale non si applicherà alla Russia nel caso in cui la Corte costituzionale lo ritenesse in contrasto con la legislazione russa.
E tuttavia, pur in presenza di tale plebiscito popolare, il sostegno di cui Putin gode comincia a mostrare segni di crepe, con sondaggi che danno attualmente il suo indice di gradimento al 60%, il dato più basso dal 2013, e i motivi sono essenzialmente economici: tra le sanzioni internazionali e la contrazione del prezzo del petrolio, il Fondo monetario internazionale prevede che il prodotto interno lordo scenderà del 6,6% nel 2020, con la pandemia del coronavirus che ha messo in luce l’inadeguatezza del sistema sanitario della Russia che, con 650.000 contagiati, è il terzo Paese più colpito al mondo, dopo Stati Uniti e Brasile.
I dati della caduta del reddito e dell’aumento delle disoccupazione segnalano impietosamente che la tenuta sociale del paese è a rischio, ed è significativo il fatto che oltre un terzo della popolazione abbia disertato un appuntamento elettorale così rilevante, abbia voluto sottrarsi a questo referendum, già deciso in partenza, che è stato indetto solamente per diventare un plebiscito popolare a favore della centralizzazione del potere di tipo autocratico nelle mani del nuovo zar Putin.
 

22 luglio 2020