In una settimana
8 operai morti sul lavoro
La sicurezza sui cantieri non esiste

Otto morti in sette giorni. Questo è il terribile bilancio degli operai deceduti sul posto lavoro, che spesso è un cantiere, a conferma di come l'edilizia rimanga uno dei settori più a rischio dove le norme sulla sicurezza non vengono rispettate.
Ad allungare questo triste elenco sono stati due operai romani di 29 e 52 anni che il 20 luglio erano al lavoro nel quartiere Vigna Murata della capitale. Stavano eseguendo il taglio di una trave in cemento che doveva essere rinforzata per dare maggiore stabilità alla struttura di una palazzina. Nonostante i primi controlli abbiano riscontrato che i due fossero imbragati (ma quasi sicuramente non agganciati) gli operai sono precipitati per 20 metri sbattendo violentemente al suolo. A niente sono valsi i soccorsi perché i due lavoratori sono morti sul colpo.
La Fillea-Cgil di Roma chiede severi controlli sulle misure di sicurezza attuate sul cantiere e la verifica se entrambi fossero abilitati a quel tipo di mansione altamente specializzata. Il sindacato denuncia come la riapertura “ha dimostrato quanto denunciamo da anni, ovvero che su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro si è deciso solo di disinvestire. Da quando le attività hanno ripreso a pieno ritmo sono tornati ad aumentare infortuni e incidenti mortali, calati nei mesi di marzo e aprile solo per effetto del lockdown ”.
Tutta la settimana era stata funestata da una raffica di morti da lavoro. Il 13 luglio aveva perso la vita a Gricignano d’Aversa, nel Casertano, un operaio di 54 anni, Ciro Barile. Dipendente di un’azienda di trasporti, mentre stava effettuando operazioni di carico di un camion rimaneva incastrato tra il portellone posteriore del mezzo e la pedana idraulica mobile. Il 15 luglio un giovane operaio di 24 anni è morto schiacciato da una pressa utilizzata per il sottovuoto all’interno di un prosciuttificio di San Daniele del Friuli (Udine).
Tragica anche la data del 16 luglio. Un altro operaio edile di 60 anni è morto schiacciato dal materiale presente nel cantiere mentre effettuava dei lavori al bunker che ospiterà il nuovo acceleratore lineare del reparto di medicina nucleare all’ospedale di Cremona. Lo stesso giorno alla porte di Pisa è morto Juri Conti, un operaio di 48 anni rimasto incastrato in un macchinario di un'azienda di materiali da costruzione.
Venerdì 17 luglio un altro operaio, poco più che un ragazzo (23 anni), è morto travolto dal carico in legno di un muletto in un’azienda a Bitonto (Bari), in un capannone dove erano depositati colli di materiale legnoso. Il 20 luglio un operaio di 54 anni della ditta Nuova Eis è rimasto schiacciato dal coperchio di un serbatoio mentre era impegnato in alcune lavorazioni per la ristrutturazione industriale dell’area Tirreno Power di Savona. Insieme ad altri colleghi stava effettuando la manutenzione a uno dei sistemi refrigeranti che non era in funzione, l’urto è stato violento e fatale.
Una lunga scia di sangue che ripropone la drammaticità del tema della sicurezza sui luoghi di lavoro. Questa impennata di morti sta evidenziando come tutti quei discorsi che abbiamo sentito durante il lockdown da parte di governo, industriali, istituzioni, e anche da qualche sindacalista, su un nuovo metodo di lavorare, su una nuova attenzione e protezione verso i lavoratori e l'ambiente indotta dal Coronavirus e da una nuova consapevolezza siano solo aria fritta, perché il sistema di produzione capitalistico basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non può fare a meno della ricerca del massimo profitto, sacrificando tutto e tutti.
Se nonostante il forte e repentino avanzamento tecnologico e le nuove conoscenze medico-sanitarie le morti da lavoro non accennano a diminuire, ma sono in costante aumento, un motivo ci sarà. Lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, congenito al capitalismo, negli ultimi decenni è in forte aumento. Le delocalizzazioni, la liberalizzazione e la precarizzazione del mercato e dei rapporti di lavoro, sono tutti fattori che traggono la loro origine nello sforzo fatto dai capitalisti per mantenere il più alto possibile il loro profitto, minacciato dalle crisi economiche sempre più frequenti e dalla concorrenza sempre più agguerrita.
In Italia negli ultimi anni sono state fatte numerose leggi e accordi che si prefiggevano di ridurre gli incidenti e le morti da lavoro: legge 626, Testo Unico sulla sicurezza (TUS), norme sul controllo di appalti, subappalti e contro il caporalato. Ma poi sul terreno concreto non hanno prodotto praticamente nulla perché il ricatto occupazionale, interi settori in mano alla malavita collusa con la politica borghese e l'insufficienza dei controlli rendono inefficaci questi provvedimenti già di per se insufficienti. Quest'ultima mancanza è particolarmente evidente nei settori più a rischio e dove la sicurezza non esiste, come i cantieri edili. Ma anziché rafforzarli i controlli negli ultimi anni sono diminuiti con il drastico taglio degli ispettori del lavoro e la depenalizzazione dei reati.
Un altro efficace strumento per far rispettare la sicurezza sul lavoro è senz'altro quello dell'azione diretta dei lavoratori e dei sindacati. Ma Cgil-Cisl-Uil anche su questo tema hanno messo in pratica la loro politica corporativa e collaborazionista che antepone le compatibilità con il sistema economico capitalistico alla difesa intransigente dei diritti, della salute e degli interessi dei lavoratori.

29 luglio 2020