Dopo 5 giorni di risse con sullo sfondo la lotta per la leadership
Il vertice dell'Ue imperialista si accorda nel tentativo di superare la crisi causata dalla pandemia
“Il Manifesto” trotzkista esalta l'accordo dei governanti imperialisti europei
Antimperialisti uniamoci per liberare l'Italia dal giogo della superpotenza imperialista europea

 
All'alba del 21 luglio, alle 5,31 del mattino registrano le cronache, si è chiuso il vertice straordinario di Bruxelles dell'Unione europea imperialista che dopo 5 giorni di risse, che almeno in un paio di occasioni hanno portato vicino al punto di rottura, ha licenziato l'accordo che sarà la base del tentativo dei 27 partner europei di superare la crisi causata dalla pandemia coronavirus. La parte centrale dell'intesa è il piano di rilancio da 750 miliardi di cui discutono da mesi e che se tutto va bene metterà a disposizione dei paesi in difficoltà, Italia, Spagna e Portogallo ma anche Francia, un pacchetto di miliardi di euro di aiuti, a fondo perduto con determinate condizioni e meccanismi di controllo e prestiti fra un anno; salvo un anticipo del 10% della quota spettante a inizio 2021 cui sperano di attingere vari governi tra cui quello italiano.
La rissa tra capi di Stato e di governo per togliere o spostare miliardi di euro da una voce all'altra a seconda degli interessi delle rispettive borghesie nazionali rispetto alle voci previste nel progetto partorito dalla Commissione e costruito sui punti dell'intesa Merkel-Macron del maggio scorso non è stata esclusivamente una disputa mercantile, che pure ha avuto il suo peso e ha permesso a diversi galletti imperialisti di tornare a casa con un pacchetto più o meno consistente di miliardi di euro, dall'italiano Conte, il cui bottino è sottoposto a condizioni e in buona parte da restituire, all'olandese Mark Rutte che si è messo in tasca un aumento netto delle restituzioni della quota versata al bilancio comunitario e un aumento della quota da trattenere sui dazi sulla non indifferente quantità di merci in ingresso nella Ue che transitano dai porti olandesi. L'andamento e le conclusioni del vertice straordinario tenuto sotto la regia della presidenza di turno tedesca hanno intanto mostrato sullo sfondo la lotta per la leadership nella potenza imperialista europea tra chi ce l'ha, l'asse Berlino-Parigi, e chi la vuole quantomeno condizionare affinché resti agli attuali minimi termini come il nuovo raggruppamento dei paesi del Nord guidato dall'Olanda che sono tutt'altro che “frugali” economicamente come oramai vengono targati dai media; in seconda fila si agitano i sovranisti, fascisti e opportunisti di Visegrad e il gruppo dei paesi mediterranei quasi sempre col cappello in mano a chiedere aiuti ai partner più ricchi.
L'intervento della Ue sarà un combinato tra le iniziative finanziarie attivate dal bilancio pluriennale 2021-2027 (il Qpf, quadro finanziario pluriennale) e quelle a breve termine su progetti specifici previste nel programma Next Generation EU (Prossima generazione Ue), il fondo per la ripresa chiamato anche Recovery Fund (Fondo di recupero), giudicate necessarie per far fronte a “una sfida di proporzioni storiche”, dall'emergenza sanitaria per il Covid-19 al pericolo di “un collasso dell'economia”.
Il piano di rilancio presenta anzitutto la novità del potere straordinario concesso alla Commissione europea, ma solo fino al 2026, di poter contrarre prestiti sui mercati dei capitali da restituire entro il 2058 e di trasferire gli importi ottenuti ai programmi di Next Generation EU tra il 2021 e il 2023. Il pacchetto è composto da 390 miliardi di euro di aiuti a fondo perso e da 360 miliardi di prestiti che si aggiungeranno ai crediti agevolati del Mes e di Sure, rispettivamente fino a 240 e 100 miliardi di euro e a quelli messi a disposizione dalla Banca centrale europea con il programma specifico di acquisti di titolo di stato, a sostegno di quelli dei paesi in difficoltà che per recuperare soldi sui mercati finanziari dovrebbero pagare un carico di interessi insostenibile per i loro già disastrati bilanci.
Come abbiamo già spiegato sullo scorso numero de Il Bolscevico , il 70% dei 750 miliardi sarà impegnato nel 2021 e 2022, il restante 30% nel 2023 e saranno destinati a sette specifici progetti in base ai piani nazionali di ripresa presentati dagli Stati membri che avranno bisogno del fondo. Al Consiglio europeo è affidato il compito di approvarli a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, e non all'unanimità come avrebbe voluto il gruppo dell'Olanda. I piani “dovranno essere coerenti con le raccomandazioni specifiche per paese e contribuire alle transizioni verdi e digitali” e solo il raggiungimento degli obiettivi concordati consentirà l'erogazione rateale delle sovvenzioni. La verifica del rispetto degli impegni è affidata al Comitato economico e finanziario (Cef) composto dagli specialisti indicati dai ministri delle Finanze dei paesi membri. Se uno o più Stati evidenziassero gravi deviazioni di un paese dal percorso verso gli obiettivi previsti potranno sottoporre la questione al successivo Consiglio europeo attivando il meccanismo chiamato il super freno di emergenza; un meccanismo di compromesso accettato dal rigorista neoliberita olandese Rutte per dare il via libera
all'intesa e che mantiene una specie di controllo-ricatto permanente dei partner imperialisti sulla spesa pubblica dei paesi che ricorreranno al fondo.
Una riduzione della sovranità imposta dalla Ue imperialista ai paesi membri in nome di una presunta protezione da frodi e irregolarità dei finanziamenti comunitari impegnati dal fondo per la ripresa. Come precisa il paragrafo 24 nell'allegato 1 alle conclusioni del vertice “la Commissione è invitata a presentare ulteriori misure per proteggere il bilancio dell'UE e Next Generation EU da frodi e irregolarità, tra cui misure da includere nei pertinenti atti di base volte a garantire la raccolta e la comparabilità delle informazioni sui beneficiari finali dei finanziamenti dell'UE a fini di controllo e audit. La lotta contro la frode richiede un forte coinvolgimento da parte della Corte dei conti europea, dell'OLAF (l'apposito ufficio comunitario antifrode e anticorruzione, ndr), di Eurojust, di Europol e, se del caso, dell'EPPO (la procura europea istituita nel 2017, senza la partecipazione di Danimarca, Svezia, Ungheria, Polonia e Irlanda, ndr) nonché delle autorità competenti degli Stati membri”, che in linea di principio dovrebbero essere loro i garanti dell'uso del fondo e invece saranno sostituiti dalla Commissione e dalla pletora degli enti europei.
Questo passaggio dell'allegato risponde al punto delle conclusioni ove si afferma che “il Consiglio europeo sottolinea l'importanza della tutela degli interessi finanziari dell'Unione”. Invece a quello ove si afferma che “il Consiglio europeo sottolinea l'importanza del rispetto dello Stato di diritto” non segue nessuna misura concreta e resta una vuota affermazione che infatti non vincolerà il versamento delle quote del bilancio comunitario e del fondo per la ripresa a paesi con governi fascisti come Polonia e Ungheria .
Secondo i criteri di assegnazione dei fondi definiti dalla Commissione, che tengono conto tra le altre del livello di disoccupazione e della perdita del prodotto interno lordo (pil), all'Italia toccherebbero fino a 208 miliardi di euro, la parte più consistente del fondo. Per la parte degli aiuti a fondo perduto l'Italia avrà 81,4 miliardi, 72 la Spagna, 40 la Francia, 32 la Polonia e 25 la Germania. Sulla quota dei prestiti l'Italia avrà accesso a 127 miliardi, 90 la Spagna, 40 la Polonia, 20 la Romania, 15 Portogallo e Repubblica Ceca.
Al mercato delle vacche di Bruxelles anche i paesi cosiddetti “frugali” hanno portato a casa contropartite di un certo peso; oltre alla possibilità di trattenere una quota maggiore di dazi sulle merci in entranta nella Ue, passata dal 20 al 25%, hanno intascato consistenti aumenti dei rimborsi delle quote versate al bilancio comunitario, introdotti per la prima volta su richiesta del Regno Unito ai tempi della premier Margaret Thatcher e che con la Brexit sembravano destinati seppur in un futuro non prossimo a essere cancellati. Sono rimasti invariati i 3,67 miliardi di euro rimborsati alla Germania mentre l'Olanda passa da 1,58 miliardi a quasi 2, la Svezia da 823 milioni a 1,069 miliardi, l'Austria da 287 milioni a 565, la Danimarca da 222 milioni a 322. Tali riduzioni, precisa il documento finale, sono finanziate da tutti gli Stati membri conformemente al loro reddito nazionale lordo.
A dire il vero la scrittura formale dei non certo semplici regolamenti attuativi dei principi e delle misure contenuti nel corposo dossier delle conclusioni del vertice europeo straordinario, a partire dal modo col quale la Commissione prenderà i soldi sui mercati finanziari, richiederanno ancora un po' di tempo. E non è detto che tutto fili liscio, senza alcun intoppo, come spiega anche il Commissario europeo all'Economia Paolo Gentiloni in una intervista a La Repubblica del 24 luglio dove afferma: “le erogazioni del Recovery inizieranno nella seconda parte del 2021 ad eccezione di un 10% che verrà anticipato con l’approvazione del Piano. Prima dobbiamo aspettare il percorso di ratifica dei parlamenti, quindi dovremo riuscire a rispettare il calendario con l’approvazione dei Piani di riforme dei singoli paesi entro aprile e andare sui mercati con titoli europei comuni. C’è una terza sfida decisiva, anche se successiva: dovremo essere in grado di approvare nuove risorse proprie dell’Unione, come la digital tax e la tassa sulle emissioni di CO2, per rimborsare il debito comune tra il 2026 e il 2056. In caso contrario, i singoli paesi si ritroveranno a dover restituire i soldi perché l’Europa non è stata capace di rimborsare il debito comune”. Anche il pur ottimista Gentiloni non può nascondere i punti critici dell'intesa e il vero e proprio percorso a ostacoli costruito dalla Ue per accedere al fondo per la ripresa e che non tiene neanche conto delle zeppe che potrebbero venire dai già definiti, quelli si, strumenti di controllo. Nel suo percorso non ha messo in conto il passaggio del piano di rilancio al parlamento europeo, l'assise che non conta quasi nulla nella Ue ma che avrebbe il diritto di veto quantomeno sul bilancio e potrebbe teoricamente far saltare l'intesa; anche perché l'europarlamento aveva chiesto la fine dei rimborsi, un aumento dei contributi nazionali e il chiaro rispetto dello stato di diritto mentre le decisioni del vertice sono andate in senso opposto. Nessun problema per il presidente dell'europarlamento, l'italiano David Sassoli, che ha esultato per un “piano senza precedenti”.
Viste dalla parte dei sostenitori della superpotenza imperialista europea, le decisioni del vertice straordinario di Bruxelles segnano delle novità positive sulla costruzione di una Europa più unita e coesa, dal meccanismo di finanziamento non compreso nel bilancio comunitario ma assegnato alla Commissione che per la prima volta sarà autorizzata ad emettere titoli di debito sul mercato e nuove tasse su digitale e ambiente che prefigurano una specie di bilancio federale gestito dalla Commissione senza incorrere nella sempre più rissosa contesa sui contributi nazionali. Fra questi Il Manifesto trotzkista che faceva il tifo per le capacità di mediazione della Merkel, definita l'unica in grado di salvare l’Europa, impedire l’implosione dell’Ue, e che a vertice chiuso esaltava l'accordo dei governanti imperialisti europei, lo definiva un “compromesso storico” e gioiva perché “alla fine della maratona la Ue è più federale” grazie all’asse franco-tedesco rivitalizzato.
Proprio in coppia Angela Merkel e Emmanuel Macron si presentavano il 21 luglio in conferenza stampa dove il presidente francese sottolineava che “le conclusioni del vertice sono storiche”, così come sostenuto in contemporanea dal presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte secondo il quale l’intesa rappresenta “un momento storico per l’Europa e per l’Italia”. Intanto Macron poteva rafforzare la sua posizione nell'asse con la Merkel non solo come capofila militare dell'imperialismo europeo, un ruolo nel quale ha un supporto non secondario nell'Italia di Conte nelle missioni nel Sahel, ma come portavoce dei paesi mediterranei per bilanciare il peso di quelli del Nord Europa; ha inoltre portato a casa 40 miliardi di euro, il terzo gruzzoletto dopo Italia e Spagna, per rispondere a una crisi che morde in Francia e che ha messo in difficoltà il suo governo e con l'imperialismo francese che rischia di vedere ancora aumentato il gap con l'alleata-concorrente Germania. Berlino ha un passo in più degli altri per riemergere dalla crisi, ha risorse proprie superiori a quelle dei partner messi assieme e ha già investito 1.300 miliardi nella propria economia per rilanciarla.
Al vertice straordinario di Bruxelles l'asse franco-tedesco ha confermato la forza della sua leadership nella potenza imperialista europea, è riuscito a ricompattarla pur condizionato dal blocco dei paesi del Nord. Il gruppo dei paesi guidato dall'Olanda e composto da Danimarca, Finlandia, Svezia, Irlanda, Estonia, Lettonia e Lituania, la Nuova lega anseatica, si è costituito tra il 2017 e il 2018 con le riunioni dei loro ministri delle Finanze a margine dei vertici europei con l'obiettivo di mantenere una unione europea al minimo livello di integrazione e basata sulla rigidità di bilancio. Orfani della Gran Bretagna, causa la Brexit, si organizzavano per controbilanciare le spinte verso una maggiore integrazione a partire da quella militare preferendo la protezione della Nato e degli Usa. Il 2017 era anche l'anno in cui l'allora presidente dell'Eurogruppo e ex ministro delle Finanze olandese nel governo Rutte, Jeroen Dijsselbloem, sostenne che dare soldi ai Paesi mediterranei significava buttarli “in grappa e donne”; allora era responsabile anche del Mes e del suo criminale intervento pagato carissimo dal popolo greco, e viaggiava in coppia con l'allora ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, per farsi dettare la linea. Il governo Rutte ha mantenuto la posizione, la Merkel ha dovuto modificarla per tenere insieme i pezzi di una potenza imperialista europea che rischia di rimanere schiacciata nel sempre più acuto scontro tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo cinese giunto sotto la spinta di Trump al livello di una nuova guerra fredda. L'ultimo atto è l'appello al “mondo libero”, lanciato dal segretario di Stato americano Mike Pompeo il 23 luglio, per impedire che il “XXI secolo sia libero (sotto il dominio dell'imperialismo americano, ndr) e non il secolo cinese che sogna Xi Jinping” e intanto disponeva la chiusura del consolato cinese a Houston in Texas; Pechino per ritorsione chiedeva la chiusura di quello americano a Chengdu.
Le due principali potenze mondiali già mettono in crisi la compattezza degli imperialisti europei inserendosi nell'area dei paesi sovranisti, nell'Est dell'Europa: gli Usa di Trump con accordi militari e con la Nato, accompagnati dalle ripetute minacce di sanzioni in particolare verso la Germania per gli affari con la Russia di Putin. La Cina di Xi opera con accordi economici, il più recente è quello dello scorso aprile che prevede più di miliardo e settecento milioni di euro di prestito concesso da Pechino all'Ungheria per dare vita al progetto di ammodernamento della linea Budapest-Belgrado, una parte della via di trasporto nei Balcani verso il porto greco del Pireo, uno dei terminali della Nuova via della seta.
Nell'Europa imperialista la politica di lacrime e sangue applicata dai governi dei paesi membri sui rispettivi popoli per fare uscire il capitalismo dalla crisi del 2008 fu accompagnata da un regalo spropositato alle banche in difficoltà che invece di essere nazionalizzate incassarono in soli tre anni prestiti in titoli pubblici per un valore di 3 trilioni di dollari, pari a quasi un quarto del Pil della Ue. Nella crisi scatenata dalla pandemia del coronavirus si ripete seppur con cifre minori lo stesso schema di intervento finanziario che privilegia i capitalisti e le loro imprese, magari anche quelle che hanno speculato in maniera criminale sulle forniture mediche, e non i lavoratori e le masse popolari chiamate anzi a ripagare i debiti fatti dai governi borghesi. Questo è il vero volto dell'Ue che va denunciato e lanciamo un appello agli autentici antimperialisti a unirsi nella battaglia per liberare l'Italia dal giogo della superpotenza imperialista europea ricordando un passaggio del documento dell'Ufficio politico del PMLI per le elezioni del parlamento europeo del 26 maggio 2019 che invitava all'astensione per delegittimare l’Unione europea imperialista, il parlamento europeo e le altre istituzioni europee al suo servizio. “Il nocciolo della questione è oggi quello di far uscire l’Italia dall’UE. Non basta chiedere la sola uscita dall’euro”, evidenziava il documento, “occorre battersi per la totale sovranità e indipendenza nazionale dall’UE. Solo questo creerebbe migliori condizioni per lo sviluppo della lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo e per la conquista del potere politico del proletariato”, “come dimostra la pratica, l’UE non si può cambiare, non è riformabile. (...) L’UE va distrutta per il bene dei popoli europei”. Intanto vanno combattute le sue misure antipopolari, dall'imposizione del Fiscal compact e dei suoi meccanismi automatici di “correzione” in caso di deviazione degli Stati membri dagli obiettivi decisi non dai parlamenti nazionali ma da Bruxelles tramite le procedure delle forche caudine del patto di stabilità, un patto che è stato momentaneamente solo sospeso, all'apertura delle sue frontiere ai migranti.”

29 luglio 2020