Carcere delle Vallette a Torino
Indagati 21 poliziotti per botte e torture a carcerati
Contestato ai vertici della polizia il favoreggiamento

 
La Procura della Repubblica di Torino ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, sugli episodi di soprusi, violenze e torture sui detenuti del carcere delle Vallette del capoluogo piemontese, reati di cui i PM torinesi ritengono materialmente responsabili 20 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, mentre altri 5 operatori penitenziari sono indagati, a vario titolo, per favoreggiamento e omessa denuncia.
Tra i 25 indagati figurano il direttore del carcere Domenico Minervini e il locale comandante del Corpo di polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza i quali dovranno rispondere del reato di favoreggiamento (Minervini anche del reato di omessa denuncia) in quanto, secondo l’accusa, avrebbero sistematicamente ignorato e addirittura coperto i gravissimi reati materialmente commessi dagli operatori del corpo di polizia in questione, a cominciare da colui che viene indicato dalla Procura come il principale responsabile delle violenze, l'ispettore Maurizio Gebbia, che secondo l'accusa aveva messo in piedi vere e proprie squadre di picchiatori composte da agenti ai suoi diretti ordini.
Costantemente informato, secondo la ricostruzione dei magistrati torinesi il direttore del carcere Minervini sapeva delle vessazioni e delle violenze cui le guardie carcerarie sottoponevano i detenuti delle Vallette, in quanto sono pienamente documentate le numerose segnalazioni provenienti dagli avvocati dei reclusi e dalla garante dei diritti dei detenuti di Torino, Monica Gallo, che sin dal suo insediamento, nel 2015, gli aveva chiesto di intervenire, senza risultato.
Anche il comandante del Corpo di polizia penitenziaria delle Vallette, Giovanni Battista Alberotanza, era pienamente informato da anni delle violenze che i suoi sottoposti perpetravano contro i detenuti, ma anche lui, secondo la Procura di Torino, ha sempre fatto finta di niente: del resto al Provveditorato regionale per l'amministrazione penitenziaria erano stati informati della gravità della situazione, tanto che a Minervini e ad Alberotanza era stato consigliato, dallo stesso provveditore, di far ruotare gli agenti di polizia penitenziaria per porre un freno a comportamenti non più tollerabili, ma entrambi non ne vollero sapere.
Pure i medici che operano nella struttura penitenziaria erano da tempo testimoni di lesioni, di percosse e di contusioni che durante le loro visite ai detenuti potevano direttamente accertare, così come insegnanti e psicologi del carcere da tempo raccoglievano confidenze e racconti di coloro che, tra i ristretti, avevano subito violenze o erano testimoni di abusi perpetrati contro i loro compagni.
In totale la Procura ha accertato violenze contro diciassette persone, ma il timore fondato è che in molti, per paura di ritorsioni, non abbiano parlato: le vittime, quasi tutte provenienti dal padiglione C che ospita detenuti per reati sessuali, hanno raccontato ai magistrati che operavano vere e proprie squadre, composte da agenti del Corpo di polizia penitenziaria, sempre agli ordini dell'ispettore Gebbia, il quale scatenava vere e proprie spedizioni punitive contro i malcapitati detenuti, con pugni, calci, sputi, insulti e umiliazioni. Tali atti criminali non risparmiavano neppure detenuti con problemi psichiatrici, come è effettivamente accaduto con un uomo in attesa di giudizio e palesemente incapace tanto da essere stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio e per il quale era in corso una perizia psichiatrica, fatto uscire dalla cella per essere portato in ospedale quasi nudo, ammanettato e con un bavaglio sulla bocca.
I fatti contestati ai venti appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, ritenuti dalla Procura i responsabili materiali dei gravissimi reati e che per la prima volta in Italia dovranno rispondere dell'accusa di tortura nei confronti di detenuti, sono decine e partono dal 2017, tanto che nell'ottobre del 2019 sei agenti che operavano alle Vallette furono arrestati, nell'ambito della stessa indagine recentemente conclusa, per episodi di violenza contro i detenuti avvenuti tra il 2017 e il 2018: le accuse sono, per alcuni degli indagati, di lesioni personali e nei casi più gravi l'accusa è di tortura, per cui rischiano fino a dieci anni di reclusione: è a quest'ultima ipotesi di reato che si riferisce la procura di Torino quando, nell'avviso di conclusione delle indagini a proposito degli abusi più gravi, scrive di “condotte che comportavano un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona detenuta”.

29 luglio 2020