Rapporto dell'Inail
276 lavoratori morti e 51 mila infettati sul luogo di lavoro
Più contagiati tra le donne, più decessi tra gli uomini

Con l'arrivo dell'estate l'attenzione mediatica sui contagi da Covid-19 si è concentrata tutta sui comportamenti legati al divertimento e alle vacanze. Occhi puntati sulla movida , sui luoghi frequentati dallo svago giovanile: discoteche, locali, spiagge, oppure sui rientri da Paesi a rischio come Croazia, Spagna o esotici dov'era consentito lo spostamento. Sono invece finite in fondo alle cronache di tv, giornali e siti web le notizie riguardanti i contagi avvenuti nelle fabbriche, uffici e magazzini.
Secondo i dati Inail nei primi sette mesi i morti sul lavoro sono stati 716, il 19,5% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. E ciò evidentemente per effetto del Covid. È ancora molto alto il numero di persone che denunciano all’Inail di aver contratto il Coronavirus sul posto di lavoro: al 31 luglio sono 51.363 le segnalazioni raccolte dall’Istituto dall’inizio dell’epidemia, 1.377 in più rispetto al monitoraggio del 30 giugno, il 15 giugno scorso i casi riportati nel report nazionale dell’Inail erano stati 1.999 in più rispetto a quelli rilevati dal monitoraggio precedente del 31 maggio.
Dall’analisi territoriale emerge che più di otto denunce su 10 sono concentrate nell’Italia settentrionale: il 56,3% nel Nord-Ovest e il 24,2% nel Nord-Est, seguiti da Centro (11,8%), Sud (5,7%) e Isole (2,0%). Con riferimento ai contagi con esito mortale, la percentuale del Nord-Ovest rispetto al totale sale al 57,6%, mentre il Sud, con il 15,2% dei decessi, precede il Nord-Est (13,1%), il Centro (12,3%) e le Isole (1,8%). La Lombardia è la regione più colpita, con oltre un terzo dei casi denunciati (36,2%) e il 43,8% dei decessi.
I casi mortali sono in totale 276 concentrati soprattutto tra gli uomini (83,3%) e nelle fasce 50-64 anni (69,9%) e over 64 anni (20,0%), con un’età media dei deceduti di 59 anni. Prendendo in considerazione il totale delle infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto, il rapporto tra i generi si inverte, il 71,4% dei lavoratori contagiati sono donne e l’età media scende a 47 anni.
Con il 40,0% dei contagi denunciati, oltre l’83% dei quali relativi a infermieri, la categoria professionale dei tecnici della salute si conferma la più colpita dal virus, seguita dagli operatori socio-sanitari (21,0%), dai medici (10,3%), dagli operatori socio-assistenziali (8,9%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). Molti gli ammalati anche nelle attività manifatturiere e in quelle di trasporto e magazzinaggio.
L’analisi dei decessi rivela invece come circa il 35% riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale. Nel dettaglio, il 9,9% dei casi mortali codificati riguarda i tecnici della salute (il 62% sono infermieri), seguiti dai medici (8,5%), dagli operatori socio-sanitari (6,6%), dagli operatori socio-assistenziali e dal personale non qualificato nei servizi sanitari (3,8% per entrambe le categorie).
Nel frattempo i focolai sui posti di lavoro continuano a moltiplicarsi. In particolare nelle Rsa e nelle aziende di trattamento e lavorazione delle carni. Tra gli ultimi casi segnalati quelli nella casa di riposo Quarenghi in zona Bonola a Milano, dove oltre ad alcune decine di ospiti sono stati ricoverati per il virus alcuni lavoratori. In pieno agosto erano risultati positivi 9 operai dello stabilimento Amadori di Controguerra (Teramo), in seguito chiuso temporaneamente.
E pensare che l'Inail ha opposto non pochi ostacoli, pressata anche da Confindustria e altre associazioni padronali, al riconoscimento del contagio da Covid sul lavoro come malattia professionale e infortunio. E solo in parte ha limitato l’onere della prova a carico del lavoratore per determinate categorie, come gli operatori sanitari e coloro che si trovano a contatto con il pubblico.
A questo dobbiamo aggiungere i lavoratori a nero e i ricatti padronali a cui sono sottoposti i lavoratori precari che, come denuncia la Cgil Lombardia, la regione più colpita, sono costretti a recarsi al lavoro anche con la febbre. Cosicché l’analisi dei dati contenuta nel settimo report nazionale elaborato dall’Inail fotografa solo in parte la reale situazione nel mondo del lavoro.

2 settembre 2020