Uno sguardo ad alcuni candidati alla presidenza della Campania
Lontani anni luce dai bisogni delle masse popolari, a partire dall'indagato De Luca

Redazione di Napoli
Nessuno dei candidati alla presidenza della Regione Campania merita il voto del proletariato e delle masse popolari, nessuno se n'è occupato in maniera adeguata e ha risolto in questi anni le ataviche problematiche distribuite nelle diverse province.
Non certo il presidente uscente Vincenzo De Luca (PD) il cui fallimento è acclarato dai disoccupati e dagli inoccupati in Campania, dal progetto per il rilancio del lavoro e dell’industria nella nostra amata regione, dalla prossima chiusura di fabbriche importanti come Whirlpool a Napoli e Jabil a Caserta dove migliaia di operaie ed operai sono in procinto di essere espulsi dal ciclo di produzione.
Sul fronte ambientale basta citare soltanto le numerose proteste del Comitato Salute e Vita sull’inquinamento di più del 90% di Salerno dovuto alle polveri sottili sprigionate dall’impianto fuori norma delle fonderie dei padroni Pisano. O, ancora, dal blocco delle bonifiche della zona pericolosissima della “Terra dei fuochi”, ossia tra la provincia di Napoli Nord fino ad arrivare a Sessa Aurunca dove sono ancora depositati fustoni di materiale radioattivo dalla seconda guerra mondiale, senza essere stati mai smaltiti.
Già dirigente provinciale del PCI revisionista, prima di giungere a fare il filo all’allora aspirante duce Matteo Renzi, De Luca ha partecipato alla liquidazione del PCI e alla trasformazione del vecchio partito dal mostriciattolo PDS al PD, ricoprendo il ruolo prima di deputato dal 2001 al 2008 e poi di sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti nel governo Letta per circa 9 mesi, tra il 2013 e il 2014. Una volta accettata la candidatura nel 2015, dopo aver perso con Stefano Caldoro nel 2010, vince la massima poltrona di palazzo Santa Lucia con appena il 19,9% dei voti dell'elettorato, la più bassa dal dopoguerra, mentre la maggioranza dell’elettorato si astiene dal voto, disertando le urne, votando nullo o bianco. Oggi è sostenuto apertamente in questa sua ricandidatura dai democristiani Clemente Mastella e Ciriaco De Mita che lo appoggiano con due liste ad hoc. Soggetto a numerosi procedimenti penali, De Luca è stato rinviato a giudizio il 28 ottobre 2019, insieme con i componenti della giunta comunale del mandato 2006-2011, con l'accusa di falso in atto pubblico per una variante di 8 milioni relativa al cantiere della costruenda Piazza della Libertà da parte del Giudice dell’udienza preliminare di Salerno Pietro Indinnimeo. Fresca fresca, datata infatti 7 settembre, è invece la comunicazione di fine indagini relativa ad un'accusa di falso e truffa perché De Luca ha promosso abusivamente quattro suoi autisti a ranghi che non spettavano loro.
L'ex craxiano di ferro Stefano Caldoro , già laureato in scienze politiche, poi consulente d'azienda ha condotto una opposizione di carta nei confronti della giunta antipopolare De Luca. Nel 1985 è eletto consigliere regionale e presidente della Commissione ambiente, trasporti, lavori pubblici, per il Psi del piduista e ladrone di Stato Bettino Craxi; nel 1992, in piena tangentopoli, a soli 32 anni diventa deputato per il PSI. A Montecitorio è capogruppo nella Commissione lavoro e fa parte della Commissione per le politiche comunitarie. Nel 1994, dopo lo scioglimento del Psi, decide di seguire Gianni De Michelis in Forza Italia, il partito di proprietà di Berlusconi e Dell'Utri che conquista il governo a seguito di ancora oscure trattative con la mafia.
Nel 1999 viene candidato alla presidenza della provincia di Napoli, risultando sconfitto, mentre nel 2001 è tra i fondatori del Nuovo Psi che aderisce alla Casa del fascio. Diventa poi prima sottosegretario del governo Berlusconi II e poi, dal 30 dicembre del 2004, viceministro di Letizia Moratti al ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Contribuisce dunque in prima persona all'opera di demolizione dell'istruzione pubblica e alla costruzione della scuola e dell'università classista del regime neofascista. Con la costituzione del governo Berlusconi III, viene addirittura promosso ministro per l'Attuazione del programma di governo, carica che mantiene dal 22 aprile 2005 fino alla fine della legislatura nel 2006. Dal 2001 è componente del Consiglio di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti. Il 23 e 24 giugno del 2007 all'Hotel Midas di Roma viene designato Segretario nazionale del Nuovo Psi. Alle elezioni politiche del 2008 viene eletto e aderisce al gruppo del Pdl alla Camera fino a promuovere e fondare nel marzo del 2009 il Popolo della libertà (aspirante partito unico fascista) e diventa membro della Direzione nazionale. La sua giunta neofascista eletta nel 2010 rimane in sella a guidare la Regione Campania fino agli inizi del 2015 distruggendo, tramite l’attuale candidato leghista e all’epoca assessore al Lavoro, il provocatore Severino Nappi, la vertenza dei precari “Bros”, eliminando loro il sussidio e bloccando l’assunzione al lavoro come operai della pubblica amministrazione. Non da meno la vergognosa repressione della giunta Caldoro contro i Comitati territoriali ambientali a colpi di manganello senza risolve un problema relativamente alla questione bollente della “Terra dei fuochi” da poco scoppiata in tutta la sua tragedia.
A guidare l’assalto alla poltrona di presidente regionale per il Movimento 5 Stelle è ancora una volta Valeria Ciarambino , già dirigente dell’agenzia di riscossione e nemica delle masse popolari, “Equitalia”, sia a Napoli che a Udine. Fa parte del gruppo di origine del ducetto Luigi Di Maio, ossia Pomigliano D’Arco, al punto che lo stesso ha fatto da testimone di nozze alla Ciarambino nell’unione con il futuro marito Domenico Migliorini. Quest’ultimo è stato travolto dalle polemiche quando è stato scelto come assistente locale dall’eurodeputata M5S Chiara Gemma, atteso che l’incarico sia stato frutto di un aiuto esplicito della moglie candidata alla presidenza. Si distingue in negativo per non aver mai fatto una seria opposizione al governo De Luca, nell’aver progressivamente lasciato la piazza e i Comitati territoriali una volta raggiunte le agognate poltrone, fino a stringere patti locali con il PD.
Gli elettoralisti sfrenati di “Potere al Popolo” alle regionali propongono come candidato il giovanissimo Giuliano Granato, laureato in relazioni internazionali e diplomatiche all’Università Orientale, per poi svolgere fuori Italia la sua attività, prevalentemente di precario. Rientrando nel 2014 a Napoli ha lavorato come “call center, cameriere e facchino in nero” come dice la sua autobiografia sul sito del suo gruppo politico. Si deve però notare che ad oggi non sembra aver messo, nelle sue interviste, al primo posto della campagna elettorale, il lavoro, ma la bonifica ambientale, con particolar attenzione all’intervento riguardante il fiume più inquinato d’Europa, il Sarno. Punto centrale della proposta elettorale non è il lavoro prima di tutto e la riqualificazione delle degradate periferie urbane ma la “rivoluzione digitale e la transizione ecologica”, con l’introduzione del salario minimo regionale per far uscire dal “sommerso” lavoratori e lavoratrici in nero; mentre nessun cenno sulla necessità di una nuova industrializzazione della Campania. Il “mutualismo militante” - con tanti saluti alla lotta di classe - è un altro suo punto di “forza” e ciò si risolve in una generica redistribuzione della ricchezza, cosa che in verità potrà avvenire soltanto nel socialismo. Senza illudersi, come hanno fatto a suo tempo PRC e PdCI, che essa possa esserci stante il capitalismo.

9 settembre 2020