Intervenendo nella casa natale di Nixon
Pompeo si appella agli alleati degli Usa a unirsi per contrastare il “dominio globale della Cina”
“L'esercito popolare di liberazione sostiene il dominio assoluto dell'élite del Partito comunista cinese e l'espansionismo dell'impero cinese”

 
Nella divisione dei compiti della squadra che lavora alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump si prende il primo posto sotto la luce dei riflettori ma altrettanto importante è il lavoro dietro le quinte degli altri esponenti dell'amministrazione americana. Il segretario di Stato Mike Pompeo assolve al compito di motivare e alimentare la campagna contro la principale avversaria imperialista, la Cina di Xi Jinping che in molti campi, ma non ancora in quello militare, ha già scalzato gli Usa dal primo posto. La posta in palio è il dominio del mondo.
Nella lunga lista di interventi a convegni internazionali, dichiarazioni in incontri bilaterali o cerimonie costruite ad hoc registriamo quella del 23 luglio scorso quando Pompeo si è appellato agli alleati degli Usa a unirsi per contrastare il “dominio globale della Cina”. Un discorso pronunciato nella biblioteca presidenziale della casa natale di Richard Nixon a Yorba Linda in California, il luogo scelto per sostenere che non era più utile una politica come quella avviata dall'allora presidente repubblicano e sancita nel viaggio a Pechino nel febbraio 1972 che pose le basi per ristabilire le relazioni diplomatiche bilaterali, visto fallito il tentativo dell'imperialismo di soffocare fin dalla nascita la Cina socialista di Mao.
Nel discorso dal titolo "La Cina comunista e il futuro del mondo libero", Pompeo usava un linguaggio in linea con la nuova guerra fredda oramai in atto tra le due superpotenze mondiali per sostenere che la ricerca di intese in ogni campo con Pechino non è più la linea guida dell'amministrazione americana, "il presidente Trump ha detto basta", è una posizione che ha fallito e non è più funzionale per affrontare la "nuova tirannia" che comanda in Cina. E lanciava una crociata invitando il "mondo libero" a unirsi, ovviamente sotto la guida degli Usa, "per trionfare" contro di essa. Un appello diretto alle Nazioni Unite, la Nato, i paesi del G7, il G20 a unire "la nostra potenza economica, diplomatica e militare", per affrontare e vincere questa sfida. Che la Cina porta avanti anche col suo esercito, diventato "più forte e minaccioso". “L'esercito popolare di liberazione sostiene il dominio assoluto dell'élite del Partito comunista cinese e l'espansionismo dell'impero cinese”, accusava Pompeo quasi fosse una rivelazione divina e non frutto del meccanismo che in Cina come negli Usa mette le forze armate al servizio degli interessi dei capitalisti nazionali nella conquista e controllo di fonti di materie prime, mercati, aree di influenza sull'intero globo terrestre. Se non reagiamo, ammoniva il segretario di Stato, il 21° secolo non sarà libero ma sarà il secolo cinese sognato da Xi Jinping.
Quella di Pompeo è una vera e propria chiamata alle armi per gli alleati imperialisti, "Xi non è destinato a tiranneggiare per sempre dentro e fuori la Cina, a meno che non lo permettiamo", in una sfida definita complessa ancora di più di quella affrontata e vinta con l'Urss, l'avversario che stava al di là del muro mentre "la Cina comunista è già all'interno dei nostri confini". In effetti la Cina è un paese capitalista a tutto tondo, quantunque ancora nel mondo la definiscano un paese comunista sia l'amministrazione Trump che pochi altri fra i quali l'opportunista e arcimbroglione segretario generale del Partito Comunista Marco Rizzo, che si è conquistata spazi financo in casa dei più stretti alleati americani coinvolti da Pechino nel progetto della nuova Via della seta.
Nel 1967, in un famosissimo articolo sugli affari esteri, ricordava Pompeo, il presidente Nixon spiegando la sua strategia futura verso la Cina affermava che "il mondo non può essere al sicuro finché la Cina non cambia. Pertanto, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di indurre il cambiamento". Cioè far ritornare la Cina un paese capitalista e sottomesso o alleato degli Usa. Non è andata così e adesso occorre cambiare politica: “sono decenni che l’America non reagisce, non risponde all’offensiva cinese. Ora basta, è una questione di sicurezza nazionale, sempre più a rischio. Bisogna ripristinare un equilibrio nelle relazioni”, evidentemente sbilanciate a favore della Cina. E Pompeo chiudeva il suo discorso con un perentorio "Oggi il mondo libero deve rispondere. Non potremo mai tornare al passato".
Insomma sarebbe tutta a carico della Cina colpa della destabilizzazione degli equilibri dell'ordine esistente, ossia quello che l'imperialismo americano credeva di poter dominare in perfetta solitudine una volta sconfitta la concorrenza del socialimperialismo sovietico e segnata dalla resa formale del rinnegato revisionista Gorbaciov. Liquidato momentaneamente il maggior concorrente imperialista mondiale e tenuta ancora al guinzaglio l'emergente ma sottomessa potenza imperialista europea, gli Usa hanno visto emergere in tempi relativamente brevi una nuova e ancor più temibile concorrente, quella Cina che da Deng Xiaoping a Xi Jinping ha ribaltato quella socialista di Mao e si è lanciata nella corsa per la conquista della leadership imperialista nel mondo. Una gara fra banditi imperialisti che non è una situazione anomala ma una conseguenza inevitabile della legge dello sviluppo ineguale del capitalismo, che porta a uno scontro sempre più aspro fino alla guerra imperialista mondiale.

23 settembre 2020