Elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020
Il 40,5% degli elettori si astiene in Veneto
Il leghista Zaia rieletto per la terza volta governatore invoca ora l’“autonomia” del Veneto. La Lega di Salvini tracolla rispetto alle politiche e alle europee e viene incalzata da FdI. La lista Zaia prende il triplo dei voti della Lega. PD ancora in calo. Al “centro-sinistra” appena 8 seggi 50 nel consiglio regionale. Al M5S nessun seggio. Precipitano M5S e Forza Italia

L’astensionismo è nettamente il primo “partito” anche in Veneto dove realizza l’ottimo risultato del 40,5% degli elettori. Si tratta di 1 milione e 672 mila e 596 elettori su poco più di 4 milioni, che hanno resistito coraggiosamente e coerentemente alle assordanti sirene dei partiti della destra e della “sinistra” del regime neofascista che li richiamavano con forza alle urne.
Gli astensionisti calano del 4,4% rispetto alle elezioni regionali precedenti tenutesi nel 2015; una percentuale comunque inferiore a quella registrata a livello nazionale. Anche in Veneto ha pesato il clima particolare di queste elezioni al tempo del coronavirus, la concomitanza col referendum sul mussoliniano taglio dei parlamentari, il fatto che si è votato nell’arco di due giornate invece che in un solo giorno come invece è stato nel 2015.
Alle politiche l’astensionismo si era attestato al 26,8% e alle europee al 39,9%. È la riprova che l’elettorato sceglie volta a volta, consapevolmente, se astenersi o no, a seconda del tipo di consultazione, della situazione politica, dei candidati e delle liste in campo.
La stragrande maggioranza dell’astensionismo è frutto della principale sua componente, ossia della diserzione dalle urne (le altre due sono le schede annullate o lasciate in bianco) che in queste elezioni si attesta al 38,9%. Ed è proprio in Veneto quell’unica provincia delle sette regioni coinvolte in queste regionali parziali che la diserzione supera la percentuale del 50%. A Belluno infatti ha disertato le urne il 52,2% degli elettori. Seguono, ancora sopra la media regionale, Treviso (41,7%) e Rovigo (40,1%). A seguire Vicenza (38,2%), Verona (38,0%), Venezia (37,5%), e infine Padova (34,6%).
Un così alto astensionismo ridimensiona fortememente i risultati ottenuti dai candidati e dalle liste in lizza. A cominciare dal risultato ottenuto dal governatore Luca Zaia riconfermato per la terza volta consecutiva e per il quale si è parlato addirittura di “plebiscito” e percentuali “bulgare” per aver ottenuto il 76,8% dei voti validi. In realtà, se rapportati all’intero corpo elettorale, i voti ottenuti da Zaia equivalgono a meno della metà e precisamente al 45,7%. Egli cioè non gode affatto della fiducia e del consenso della stragrande maggioranza delle elettrici e degli elettori del Veneto.
Zaia ha ottenuto 1.883.959 voti pari al 45,7% del corpo elettorale. Nel 2015 ne aveva ottenuto 1.108.065 pari al 27,6%. Stando a questi numeri la sua avanzata appare assai marcata. In realtà, alle regionali 2010, quando Zaia si candidò per la prima volta, ottenne già 1.528.386 voti, ossia il 38,6% degli elettori. Nel 2015 ebbe poi un netto calo perché in quell’occasione l’ex compare di partito, nonché segretario veneto e vicesegretario nazionale della Lega Nord, Flavio Tosi, poi espulso, proprio alla vigilia della consultazione elettorale si presentò con una propria lista che ottenne più di 260 mila voti. Uscito dai radar Tosi, Zaia ha recuperato quei voti, incrementandoli di circa 350 mila voti.
Voti che provengono un po’ da tutte le altre forze politiche. Zaia, secondo lo studio dei flussi dell’Istituto Cattaneo, è stato votato dal 18% degli elettori che alle elezioni europee avevano votato PD a Venezia e il 21% degli elettori PD di Padova. Mentre dal Movimento 5 stelle gli sono giunti addirittura il 72% dei voti di Padova.
 

Il carrierista e ambizioso Zaia
Zaia nasce nel 1968. Si laurea in Scienze della produzione animale, ma entra subito in politica e soprattutto nelle istituzioni. La sua è una carriera politica ininterrotta e costante che è riuscita a passare indenne dalla disfatta della Lega di Bossi, di cui è stato uno dei primi allievi e adepti, alle smanie pigliatutto dell’aspirante duce d’Italia Salvini. Prima, nel 1993, a soli 25 anni, consigliere comunale a Godega di Sant’Urbano; poi il più giovane presidente della provincia di Treviso (1998-2005); vicepresidente della Regione Veneto sotto la presidenza di Galan (2005-2008); ministro delle Politiche Agricole nel governo Berlusconi (2008-2010) e dal 2010 ininterrottamente governatore (qualcuno lo definisce “doge”, altri lo “zar”) del Veneto. Si è sempre contraddistinto per la sua politica neofascista, autonomista, federalista al limite del secessionismo, antifemminile.
Non si sa quale sarà la prossima tappa della sua scalata. Apparentemente e tatticamente non si pone in rivalità con Salvini, anzi, si dichiara assolutamente disinteressato alla possibile successione alla segreteria della Lega (“non voglio fare il leader” ha dichiarato) o a futuri incarichi governativi, ma in realtà gioca indisturbato la sua partita in attesa di futuri eventi.
 

Il voto alle liste
Intanto può contare su una maggioranza superblindata. Grazie alla legge elettorale maggioritaria varata nel 2012 e in parte modificata nel 2018, non a caso definita “zaiatellum”, ottiene 41 seggi su 50 nel consiglio regionale di cui 24 proprio della Lista Zaia, quella lista che all’interno della coalizione l’ha sostenuto ora spadroneggia ottenendo addirittura il triplo dei voti ottenuti dalla Lega Salvini. Quest’ultima mantiene sostanzialmente i voti presi alle passate elezioni regionali, ma tracolla rispetto alle elezioni politiche 2018 e ancor più rispetto alle elezioni europee 2019. Perde circa 572 mila voti rispetto al 2018 e 886 mila voti rispetto al 2019. D’altra parte sente il fiato sul collo del partito fascista della Meloni, Fratelli d’Italia, che ha ricevuto 196 mila voti avvantaggiandosi dei voti persi copiosamente da Forza Italia e dalle varie liste di destra apertamente fasciste o autonomiste presenti alle passate elezioni regionali.
Il “centro-sinistra” e il suo candidato, il vicesindaco di Padova, Arturo Lorenzoni ottengono appena 8 seggi in consiglio regionale. Il PD perde circa il 20% dei voti presi nel 2015, quasi la metà di quelli presi alle europee 2019. Molti dei suoi elettori, anche per effetto del voto disgiunto, hanno votato per Zaia.
Sorte ancor più disastrosa è toccata al Movimento 5 stelle che addirittura resta fuori dal consiglio regionale. Nel 2015 aveva ottenuto 5 seggi, quest’anno nessuno. Nel 2015 aveva ottenuto oltre 192 mila voti, oggi appena un quarto e si ferma a 55.281 voti. Impressionante la sconfitta rispetto alle elezioni europee del 2019 dove, già in discesa, aveva comunque ottenuto 220.429 voti. Le politiche 2018 per il Movimento 5 stelle sembra proprio un’altra era: allora aveva infatti ottenuto 695.741 voti.
Alla sinistra del PD era presente solo la lista Solidarietà Ambiente lavoro – Rifondazione che candidava a governatore il Segretario regionale del PRC, Paolo Benvegnù, che ha preso solo 18.529 voti, pari allo 0,76% dei voti validi che equivalgono allo 0,45% del corpo elettorale. Questo nonostante non ci fossero altre liste analoghe il lizza. Un vero e proprio fallimento dell’elettoralismo e del partecipazionismo dei vertici di questo partito.
Non sarà certo continuando a spargere illusioni elettorali, costituzionali e governative fra gli elettori di sinistra che le masse popolari venete potranno liberarsi dalla morsa neofascista, autonomista e affamatrice di Zaia e dei partiti che lo sostengono.
Appena rieletto Zaia ha così commentato: “Questo terzo mandato mi dà una grande responsabilità, è un voto dei Veneti per il Veneto. L’obiettivo ora è uno solo: portare a casa l’autonomia”.
Quella “autonomia” che ha lo scopo di soddisfare le ambizioni e gli interessi della borghesia regionale veneta che pretende la piena podestà legislativa su sanità, pubblica istruzione, tutela e sicurezza del lavoro, trasporti pubblici, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali allo scopo di favorirne la privatizzazione e l’asservimento alle proprie esigenze produttive e di profitto. Rientrano in questo quadro le grandi opere, la Tav, le Olimpiadi di Cortina e tanto altro. Mentre, dopo 15 anni di governo Zaia, il 20% della popolazione veneta, secondo le ultime indagini statistiche, vive intorno alla soglia di povertà, si estende la disoccupazione specie giovanile e la distruzione ambientale in una delle regioni più inquinate d’Italia.
La verità è che senza socialismo non vi è e mai vi potrà essere reale cambiamento e benessere per le masse popolari venete e di tutta Italia, perché solo il socialismo e il potere del proletariato sono l’unica alternativa al capitalismo e al potere della borghesia.
Ovviamente, date le condizioni oggettive e soggettive del nostro Paese, il socialismo non è dietro l’angolo, ma possiamo progressivamente avvicinarci ad esso se le avanguardie del proletariato, delle masse lavoratrici, pensionate, disoccupate, popolari, femminili e giovanili, gli astensionisti di sinistra e le elettrici e gli elettori dei partiti a sinistra del PD, a cominciare da quelli con la bandiera rossa e la falce e martello, faranno propria questa proposta strategica e si uniranno al PMLI.

30 settembre 2020