Dopo la disfatta elettorale
Esplodono le contraddizioni nel M5S
Conquistare la sinistra del M5S al socialismo

Il crollo elettorale alle regionali parziali del 20-21 settembre ha fatto esplodere le contraddizioni che già da lungo tempo scuotevano il Movimento 5 Stelle. Nelle regioni in cui si è votato ha ottenuto neanche 700 mila voti, la metà dei consensi rispetto a quelli che aveva ottenuto alla corrispondente consultazione di cinque anni fa, un terzo di quelli avuti alle già disastrose elezioni europee del 2019, e soprattutto ben un sesto dei voti raggiunti al culmine della sua ascesa con le elezioni politiche del 2018. Una vera e propria disfatta, che ha messo in moto potenti spinte centrifughe all'interno del movimento e accelerato la guerra per bande tra le varie correnti per contendersi la leadership di ciò che ancora resta di un movimento in evidente stato confusionale e in via di disgregazione.
Una resa dei conti dai molteplici risvolti, che si intreccia con la sopravvivenza del governo Conte 2, coi rapporti con gli altri partiti della destra e della “sinistra” borghese, e che rimette in discussione persino il rapporto, fino ad ora considerato di ferro, con l'associazione Rousseau di Davide Casaleggio. Su tutto questo dovrebbero fare chiarezza i cosiddetti Stati generali, una sorta di congresso del movimento da convocare il prima possibile: da chi, con chi e in quali forme è ancora tutto da definire. Si parla di eleggere un comitato di una decina di persone scelte dai vari organi istituzionali (parlamento europeo, Camera e Senato, fino ai Consigli comunali) per preparare queste assise nazionali. Dovrà decidere il “reggente” Crimi traendo le conclusioni dell'agitata riunione dei gruppi parlamentari del 24 settembre, alla quale i big del movimento non si sono nemmeno presentati.
Questi ultimi, i principali attori di questa faida, sono sempre i soliti: Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Roberto Fico, con le loro rispettive truppe di fedelissimi, nonché il “garante” del movimento e proprietario del marchio M5S, Beppe Grillo, e il custode degli elenchi degli attivisti, controllore della cassa e proprietario della piattaforma digitale su cui si svolgono tutte le consultazioni e le scelte politiche del M5S, Davide Casaleggio. Che non a caso sta cercando di tenere tutto il dibattito sugli Stati generali e la nuova leadership del M5S legato alla sua piattaforma.
 

Il battibecco tra i due ducetti del M5S
La prima mossa, battendo tutti sul tempo su Twitter e poi con una conferenza stampa, l'ha fatta Di Maio intestandosi la vittoria del Sì al referendum sul taglio mussoliniano dei parlamentari, e scaricando su altri la colpa del tracollo alle regionali. Vale a dire il “reggente” Vito Crimi, ostinatamente contrario alle alleanze regionali col PD, e l'eterno rivale Di Battista, accorso in Puglia per sostenere la candidata del M5S Laricchia e sconfessare il voto disgiunto a favore di Emiliano: “Sono orgoglioso di aver fatto la campagna per il Sì, esponendomi molto. Ho ricevuto molti attacchi, l’avevano trasformato in un referendum sul Movimento e su di me”, ha detto infatti il ministro degli Esteri nell'esaltare la “vittoria storica” del Sì e la sconfitta di chi “voleva colpire il governo e, inutile nasconderlo, anche il sottoscritto”. Tra parentesi, ad agitare le acque nel movimento, ci sono anche pesanti sanzioni in vista a carico di alcuni parlamentari che si erano schierati per il No. Quanto alle regionali, Di Maio se n'è lavato le mani così: “Io avrei organizzato diversamente queste elezioni. E proprio per evitare errori di questo tipo in futuro ho già proposto al PD un tavolo per le Comunali del 2021”.
L'ex “capo politico” sembra quindi avere messo da parte, anche per mancanza di alternative, la repulsione istintiva verso il PD, e lavora per accordi per non perdere anche le sfide elettorali dell'anno prossimo nelle grandi città, Torino, Milano, Napoli, Roma. Intanto, pur chiedendo che gli Stati generali “si facciano subito” e mostrandosi non contrario ad una direzione collegiale, stringe i legami con suoi fedelissimi – la viceministra all'Economia Laura Castelli, il viceministro alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro – puntando a riprendersi la testa del movimento.
Gli ha risposto per le rime Di Battista, definendo la consultazione del 20-21 settembre “la più grave sconfitta del M5S”, che nel giro di due anni ha perso quasi 8 milioni di voti. E a dimostrazione ha citato la Campania dove, ha sottolineato, “passiamo dal 17% al 10. Alle politiche sfiorammo il 50. Eppure, sono campani i ministri degli Esteri, dell’Ambiente, dello Sport. È campano il presidente della Camera”; con evidente allusione allo stesso Di Maio e al leader della corrente di “sinistra” e deciso sostenitore dell'alleanza di governo PD-Cinquestelle, il napoletano Roberto Fico. “Una leadership forte l’abbiamo avuta ed è quella che ha dimezzato i voti alle europee”, ha aggiunto irridendo a quanti vorrebbero un ritorno di Di Maio al comando.
 

“Prima eravamo contro il potere, ora al potere ci siamo noi”
A Di Battista si è unito il suo alleato Max Bugani, braccio destro storico di Grillo e Casaleggio, consigliere comunale a Bologna e ora capo della segreteria di Virginia Raggi, che ha rincarato: “Non sfugge il tracollo del M5S in ogni tornata elettorale, dalle europee del 2019 a oggi, con gravi responsabilità in capo a chi da allora non ha mai voluto avviare un momento di riflessione interna, non ha mai preso posizione per costruire progetti seri nei territori e ha poi deciso di dimettersi solo per lasciare una palla avvelenata in mano al suo successore”. E un'altra sua fedelissima, l'ex ministra del Mezzogiorno nel governo Lega-M5S, Barbara Lezzi, interrogata se il M5S stia rischiando una scissione, ha chiosato sul Corriere della Sera : “Il M5S non rischia la scissione, rischia di scomparire”. E a chi avanza più o meno velate richieste di un rimpasto di governo (Zingaretti), manda a dire: “Il governo è questo e non deve cambiare. Noi siamo Tanti. Chi è al governo pensi a destinare al meglio le risorse del recovery fund . Servono risorse per le famiglie, per il ceto medio, per le partite Iva e le Pmi”. A tutti meno che ai lavoratori dipendenti, i giovani, i pensionati e i ceti più poveri, insomma.
Anche Fico è intervenuto a sua volta, cercando di smorzare le polemiche sollevate da Di Battista e i suoi dicendo che “non è tempo di guerra per bande, non vanno date colpe”, e che “non penso che questa sia la peggiore sconfitta della storia del movimento, su questo non sono d’accordo con Alessandro Di Battista. Di Amministrative ne abbiamo perse tante”. Ma ha anche richiamato le responsabilità della leadership di Di Maio, elencando “temi identitari che non sono stati portati avanti”, come la legge sull’acqua pubblica, quella sul conflitto di interessi e la riforma della Rai. Il presidente della Camera si è detto favorevole agli Stati generali, che anzi dovrebbero essere “permanenti”, e disposto ad entrare in un'eventuale organo dirigente collegiale, come una segreteria: “È chiaro – ha detto a Il Fatto Quotidiano - che quando siamo nati eravamo contro il potere, e ora al potere ci siamo noi. Dobbiamo risolvere questa contraddizione. La crisi era inevitabile con la nostra entrata al governo. Ora sarebbe meglio eleggere un portavoce nazionale e una struttura collegiale, che rappresenti tutte le anime, dagli attivisti ai consiglieri comunali e regionali fino ai parlamentari. E sulle decisioni importanti vanno consultati gli iscritti, online”.
 

I timori di Conte per la tenuta della maggioranza
Di Battista, Bugani, Lezzi, ma anche l'europarlamentare Ignazio Carrao, l'ex ministra Giulia Grillo, la sindaca di Roma e altri, capeggiano in questo momento la corrente di destra che, facendo asse con Casaleggio, contro la corrente di “sinistra” di Fico e quella di “centro” di Di Maio, identificabili grosso modo con i “governisti”, cerca di cogliere l'occasione per prendere la testa del movimento buttando la colpa delle sconfitte su di essi, non scartando l'ipotesi di far cadere Conte e riaprire il dialogo mai del tutto accantonato con la Lega.
Che il M5S abbia sempre avuto una forte componente di destra è noto, ed è stato confermato anche dai flussi elettorali evidenziati dall'Istituto Cattaneo, col 72% dei voti di elettori M5S andati a Zaia a Padova e il 38% andati a Toti a Genova. C'è una forte componente di destra anche tra i gruppi parlamentari, che Conte stima attorno ad una quarantina tra deputati e senatori, pronti a votare contro provvedimenti come il Mes, lo Ius Soli, forse anche modifiche, che non siano semplici ritocchi, ai decreti sicurezza di Salvini. Ed è per questo che il premier ha chiesto a Zingaretti di rinviare ogni richiesta in merito a questi temi e ad un eventuale “rimpasto” a dopo gli Stati generali del M5S, per non rischiare in questa fase tumultuosa, di tutti contro tutti nel movimento, un contraccolpo fatale per la maggioranza che lo sostiene.
Ma c'è un'altra questione in ballo nella guerra per bande che rischia di mandare in pezzi il M5S: quella di Casaleggio, dal quale ormai la maggioranza – escluso Di Battista e i suoi – preferirebbero staccarsi togliendogli il controllo della cassa, cessando cioè i versamenti di 300 euro mensili per ogni parlamentare, e relegare al ruolo di fornitore esterno di servizi. Problema non di facile soluzione, perché Casaleggio possiede gli elenchi degli iscritti e per statuto vanta anche lui diritti sul marchio M5S, e potrebbe ricorrere in tribunale. Senza contare che è la sua associazione che si occupa di gestire i contenziosi legali di Grillo con i soldi del movimento. Il quale, non a caso, ha subito fatto capire che non se ne parla nemmeno di separarsi dalla piattaforma Rousseau.
 

Grillo ribadisce l'inscindibilità del rapporto con Rousseau
Invitato infatti da Sassoli ad un convegno presso il parlamento europeo, Grillo ha esaltato la vittoria del Sì al referendum per ribadire la sua avversione alla democrazia parlamentare e magnificare viceversa il suo concetto di “democrazia diretta” in forma digitale: “Quando noi usiamo un referendum, usiamo il massimo dell’espressione democratica. Per me, che ho contribuito alla democrazia diretta, quindi non credo assolutamente più in una forma di rappresentanza parlamentare ma nella democrazia diretta”, ha detto; aggiungendo che “sulla piattaforma si può fare un referendum a settimana ma anche consigliare, dire 'avete fatto una stupidaggine'”. Riguardo al governo però Grillo la pensa diversamente da Casaleggio e Di Battista, ribadendo che attualmente non ci sono alternative all'alleanza col PD. Il governo Conte deve andare avanti, specie ora che ci sono in ballo i miliardi europei del recovery plan da gestire.
In conclusione è chiaro che la batosta alle regionali, non mitigata affatto dalla scontata vittoria del Sì al referendum che però non è stata il plebiscito che si aspettava, con il ritorno di grandi quote di elettori verso i vecchi partiti di provenienza, evidenzia il logoramento ormai definitivo dell'immagine di “diversità” dagli altri partiti del regime neofascista che il M5S era riuscito a spacciare per qualche anno tra le masse, nonché l'inconsistenza e la falsità delle sue promesse demagogiche. Un processo iniziato già all'indomani del suo trionfale ingresso al governo con la Lega neofascista e razzista, segnato da un rovescio elettorale dopo l'altro fino al disastro attuale, che adesso rischia di spingerlo verso una scissione o addirittura la frantumazione, con il conseguente riassorbimento dei suoi diversi spezzoni nei due poli di “centro-destra” e di “centro-sinistra”. Anche se è possibile che alla fine le sue correnti trovino un compromesso per tirare a campare al potere, rimandando la resa dei conti a dopo la fine della legislatura.
Nel frattempo noi marxisti-leninisti dobbiamo cogliere tutte le occasioni per avvicinare e dialogare con la parte sana e di sinistra della base del M5S, in particolare quella impegnata nei movimenti ambientalisti, come i No Tav e i No Tap, nei movimenti per la difesa dei beni pubblici come l'acqua e in altri movimenti di massa, e convincerla della necessità di abbandonare ogni illusione elettorale, parlamentare, riformista e pacifista, e di rivolgere le sue speranze e le sue energie verso il socialismo. L'unica società in cui non dominano il profitto, il mercato e il privilegio di pochi come nella società capitalista attuale, ma l'uguaglianza, la tutela dei beni comuni e dell'ambiente e il benessere collettivo dei lavoratori e delle masse popolari, valori a cui anche la sinistra del M5S aspira a realizzare.


30 settembre 2020