Elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020
In Puglia quasi la metà dell’elettorato, il 47,8% si è astenuto
Rieletto il trasversalista e ambizioso Michele Emiliano grazie anche ai voti della destra. Il PD arretra. Flop della Lega scavalcata da FdI. M5S in caduta libera. Fallimento della lista PCI-PRC e Partito Risorgimento socialista

Astensionismo saldamente il primo “partito” in Puglia col 47,8% degli elettori. In sostanza, quasi la metà, uno su due, ha disertato le urne, ha annullato la scheda o l’ha lasciata in bianco. Si tratta di 1.702.990 elettori su poco più di 3 milioni e mezzo che avevano diritto di voto per il rinnovo del consiglio regionale e l’elezione del governatore.
Per capire le dimensioni di questo risultato, basta dire che il secondo partito è il PD che di voti ne ha presi 289.188, neanche un sesto dei voti realizzati dall’astensionismo.
Forte anche la diserzione dalle urne che si attesta al 43,6%, al di sopra della media delle regioni in cui si è votato negli stessi giorni che è stata del 41,8%.
Record della diserzione a Lecce (47,3%), poi Foggia (45,2%), Barletta-Andria-Trani (44,3%), Bari (43,1%), Taranto (41,9%), Brindisi (40,1%).
La flessione dell’astensionismo è stata del 5%, sotto la media nazionale che si aggira intorno al 6%. In questa flessione hanno contato sia le ragioni generali che hanno riguardato tutta questa tornata elettorale (clima particolare determinato dalla pandemia, concomitanza col referendum sul taglio mussoliniano dei parlamentari, voto su due giorni invece che su uno solo, ecc.) sia il fatto che in Puglia il risultato non era affatto scontato. Anzi molti sondaggi accreditavano una vittoria della destra specie dopo l’exploit che avevano avuto i partiti di questa coalizione alle ultime elezioni europee. Ciò ha pesato come una sorta di ricatto verso l’elettorato astensionista di sinistra per spingerlo a turarsi il naso e a tornare alle urne per impedire la “spallata” della destra e le conseguenze che questa avrebbe avuto persino sulla stabilità del governo nazionale.
Ciò nonostante l’astensionismo ha resistito benissimo. E ha resistito anche al richiamo di ben 29 liste, di cui 15 in appoggio a Michele Emiliano, che equivalgono a centinaia e centinaia di candidati a consiglieri regionali che, a loro volta, richiamano alle urne migliaia di elettori (familiari, colleghi, conoscenti, amici, ecc.) senza contare le vere e proprie clientele.
 

Rieletto l’ambizioso Emiliano
Emiliano ottiene 871.028 voti pari al 46,78% dei voti validi. In realtà, rapportati all’intero corpo elettorale tali voti corrispondono al 24,4%, nemmeno un quarto. Un risultato che considerato lo schieramento a 360 gradi che lo ha sostenuto è veramente deludente. L’elettorato non gli ha tributato alcun plebiscito, anzi lo ha delegittimato e reso debole nel consenso e nell’appoggio di massa.
Rispetto al 2015 ha preso solo una manciata di voti in più, 77.197. Ma il suo predecessore, l’imbroglione Nichi Vendola (Sel), che fra l’altro si è speso in prima persona per la rielezione di Emiliano, nel 2010 di voti ne aveva presi ben 1.036.638.
Emiliano fa finta di niente e gongola per la vittoria insperata, andando per la sua strada e in modo indipendente da Zingaretti, senza badare al fatto che per raggiungere questo risultato ha venduto l’anima proprio alla destra e persino ai fascisti.
Emiliano ha imbarcato tutti: dai democristiani ai falsi comunisti (fino ai fascisti) pur di essere rieletto (vedi articolo de “Il Bolscevico” n. 27/2020). Le 15 liste che l’hanno sostenuto vanno dal PD a Italia in Comune, DC Puglia, Puglia Solidale e Verde (Sinistra Italia, Europa verde, PSI), Popolari con Emiliano (Centro Democratico e Alternativa popolare) e Senso Civico (Articolo Uno e PRI). Ci sono anche liste “meridionaliste” che sostengono posizioni secessioniste e persino fascisti doc come la candidata Giulia Puglia nella lista “Emiliano sindaco di Puglia”.
Secondo l’analisi dei flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo, 8 elettori su 100 che avevano votato Lega alle Europee 2019 e 18 elettori su 100 che avevano invece votato Fratelli d’Italia sempre nel 2019, hanno questa volta scelto Emiliano. Anche 20 elettori su 100 del M5S ha votato Emiliano. Altri voti da destra sono arrivati poi grazie al voto disgiunto che permette di votare una lista e un governatore non apparentati.
Del resto il trasversalismo, lo sbracamento a destra e il finto antifascismo di Emiliano sono cosa nota. Egli non ha mai nascosto le sue simpatie fasciste e berlusconiane ispirate probabilmente dal padre missino. Così come è ben nota la sua smisurata ambizione che l’ha portato a lasciare la magistratura per entrare in politica, prima iscrivendosi ai DS e poi al PD divenendo anche segretario regionale per questo partito, per essere poi eletto Sindaco di Bari, con fama di sceriffo, per ben 10 anni (2004-2014). Nel 2015 si candida e viene eletto governatore della Puglia e, sentendosi ormai imbattibile, nel 2017 partecipa, perdendole, alle primarie per scegliere il nuovo segretario nazionale del PD. È evidente che la Puglia gli sta stretta e la sua ambizione è raggiungere incarichi di carattere nazionale magari Palazzo Chigi e chissà persino il Quirinale. Mai mettere limiti alla “provvidenza”. E per questo non ha mai disdegnato alcuna alleanza e appoggio pur di andare avanti nella sua scalata al potere borghese.
Non demorde nemmeno di fronte ai primi scandali che lo coinvolgono. Nel 2007 le cronache danno gran risalto alle consistenti regalie (champagne, ostriche, ecc.) che gli sono state recapitate dall’imprenditore Gerardo Degennaro finito poi agli arresti per aver ottenuto agevolazioni e linee preferenziali da parte dei tecnici del comune di Bari.
Il 16 ottobre del 2019, praticamente alla vigilia delle elezioni regionali, viene resa nota la sua iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Foggia. Si contesta al governatore pugliese il fatto di aver ricevuto pressioni da un consigliere regionale per una nomina riguardante una Asp (Azienda per i servizi alla persona). Con lui è indagato anche il suo assessore regionale al Welfare , Salvatore Ruggeri.
Dalla narrazione dei suoi governi, prima come sindaco e poi come governatore, traspare una politica basata su logiche clientelari. La Commissione parlamentare antimafia ha denunciato la presenza di tredici “impresentabili” nelle liste di questa tornata elettorale regionale, tre dei quali proprio in Puglia, di cui due nelle liste che hanno appoggiato Emiliano. Inutile dire che a tale denuncia non è seguita alcuna azione di pulizia da parte del governatore pugliese.
 

Il voto alle liste
Il PD torna ad essere il secondo partito in Puglia dopo l’astensionismo, come nel 2015 dopo che era scalato al quarto posto alle politiche 2018 e alle europee 2019. Ma non è per proprio merito bensì per demerito degli avversari. Infatti il PD perde 27.688 voti anche rispetto alle regionali 2015 e prende un terzo dei voti ottenuti dalla lista di Emiliano. Complessivamente, se si guarda ai voti assoluti di lista, il PD perde in Puglia l'8,7% dei consensi.
La Lega, che pensava di bissare il risultato delle europee quando aveva ottenuto ben 403.424 voti, precipita ad ottenere 165.243 voti e soprattutto viene scavalcato dal partito fascista della Meloni, al quale apparteneva anche il candidato governatore, Raffaele Fitto (già governatore della Puglia dal 2000 al 2005 allora in Forza Italia, passato nel frattempo a Fratelli d’Italia), gelando l’ambizione di Salvini, che allo scopo aveva anche abbassato i suoi consueti toni neofascisti, razzisti e antimeridionali, di fare della Lega non solo il partito centrale della coalizione di destra ma anche un partito esteso e dominante su tutto il territorio nazionale, compreso il Sud.
L’altra doccia gelata è toccata al Movimento 5 stelle che pur vantava di avere proprio nel Sud il suo “zoccolo duro” elettorale. Perde copiosamente rispetto alle elezioni regionali 2015 e ancor più tracolla rispetto alle elezioni politiche del 2018 e alle politiche del 2019. Ottiene 165.243 voti rispetto ai 275.114 del 2015, ai 981.580 del 2018 e ai 419.344 del 2019. I voti persi vanno, come abbiamo visto, soprattutto verso Emiliano, ma anche Fitto, nonché verso l’astensione.
Il candidato di Italia Viva e di +Europa, Ivan Scalfarotto, ottiene l’1,6% dei voti validi e quanti voti aveva preso da sola la lista +Europa alle politiche 2019. La lista Italia Viva ottiene appena lo 0,50% del corpo elettorale, pari all’1,1% dei voti validi. In sostanza, Renzi che per l’occasione ha voluto correre da solo in aperta polemica e sfida con Emiliano, ha fatto un vero flop.
Non meglio hanno fatto i partiti a sinistra del PD, ossia PCI, PRC e Partito Risorgimento Socialista riuniti nella lista Lavoro Ambiente Costituzione che ottiene 5.880 voti, appena lo 0,2% del corpo elettorale. Anche il loro candidato governatore, il professore di educazione fisica Nicola Cesaria, già consigliere comunale di Brindisi, arriva a 7.222 voti. Un evidente fallimento dell’elettoralismo, del costituzionalismo e del partecipazionismo del gruppo dirigente di quei partiti. Da solo, nel 2015, il PCI aveva ottenuto 10.398 voti.
Ci auguriamo che le elettrici e gli elettori, le militanti e i militanti pugliesi e di tutta Italia di questi partiti comprendano che occorre che tutte le forze a sinistra del PD si uniscano al di fuori e contro le istituzioni rappresentative borghesi, per combattere il capitalismo, il governo Conte che ne tutela gli interessi e imbocchino la via del socialismo, l’unica società in grado di dare un futuro di pace, benessere e giustizia sociale al nostro Meridione e a tutto il nostro Paese. Ivi compresa la Puglia stretta nella morsa della disoccupazione, specie giovanile, dello sfascio della sanità pubblica e del disastro ambientale che quindici anni di governo di “centro-sinistra”, prima con Vendola e poi con Emiliano, non sono riusciti a risolvere.


30 settembre 2020