Assemblea di Confindustria: convergenza tra industriali e governo
No al “Patto per l'Italia” proposto da Bonomi e accettato da Conte
Anche il “Patto per la fabbrica” difeso da Cgil-Cisl-Uil è subalterno agli interessi padronali

Il 29 settembre si è tenuta a Roma la prima assemblea di Confindustria sotto la guida di Carlo Bonomi. Si doveva tenere a maggio ma poi fu rinviata per le misure restrittive legate al Covid. In platea erano presenti tra gli altri il capo del governo Giuseppe Conte, il segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, la gerarca Giorgia Meloni, la sindaca 5 Stelle di Roma, Virginia Raggi, Luigi Di Maio, Mario Monti, il ministro del Lavoro Stefano Patuanelli e molti esponenti di altri dicasteri attualmente in carica.
 

Prima il profitto
“Serve un nuovo grande patto per l'Italia” ha esordito Bonomi, riproponendo la sua richiesta di patto sociale che prevede di mettere tutte le risorse economiche, le misure governative, i lavoratori e i sindacati, a completa disposizione delle aziende. Seguito da un “elenco della spesa” che già era circolato tramite una lettera interna spedita agli associati di Confindustria un mese fa ma che per una fuga di notizie era diventata di pubblico dominio scatenando numerosi commenti e prese di posizione. Anche Il Bolscevico gli aveva riservato un articolo.
Adesso ritorna alla carica, ma con un tono meno critico verso il governo. Dopo aver ricucito, almeno in parte, i rapporti con i sindacati confederali, incontrati tre settimane fa, stavolta il presidente degli industriali ha indirizzato le sue richieste direttamente al capo dell'esecutivo presente in sala. Evidentemente dopo il referendum e le Regionali, che hanno rimandato l'avvicendamento tra “sinistra” e destra con la prospettiva di un governo che può durare fino al 2023, cioè al termine della legislatura, Bonomi ha pensato bene che invece di criticare era più opportuno richiedere.
Non per questo ha rinunciato a fare la voce grossa aprendo la sua relazione, dall'ambizioso titolo “il coraggio del futuro” con queste parole: “nessun provvedimento di politica economica, nessuna misura istituzionale, nessun capitolo di spesa, generano effetti positivi, rilevanti e durevoli senza che la strategia in cui si inscrivono venga compresa e validata dagli operatori economici”. Tradotto significa che la politica economica e sociale deve avere prima l'approvazione totale dei capitalisti italiani.
La prima richiesta è quella di riprendere al più presto e in maniera più estesa “impresa 4.0”, cioè tutte quelle misure, partite con Renzi e sviluppate dai governi successivi, che hanno dirottato ingenti risorse pubbliche verso le imprese private sotto forma di incentivi e sgravi fiscali. Una bella faccia tosta da parte di chi attacca continuamente anche il più piccolo intervento pubblico a sostegno dell'occupazione o delle persone in difficoltà economiche.
Un'arroganza che si è attirata critiche anche da chi non è certo “animato da sentimento antiimprese”, come vengono etichettati da Bonomi tutti quelli che osano criticare il capitalismo italiano. Perfino il vicesegretario del PD Andrea Orlando su twitter ha scritto: “Quando li prendono gli altri si chiamano sussidi. Quando li prendi tu, contributi alla competitività”.
 

Chiudere i cordoni della spesa pubblica
E veniamo proprio ai cosiddetti sussidi e alla famigerata frase di Bonomi riportata da tutti i giornali: “basta bonus, non siamo il Sussidistan”, cioè la terra dei sussidi. Non è stato neanche originale perché questa infelice battuta era già stata detta dall'ex segretario Fim-Cisl Marco Bentivogli, passato dal sindacato alla politica e in procinto di lanciare un nuovo partito borghese. Il segretario della Cgil Maurizio Landini gli ha risposto: “il Sussidistan è nelle imprese che vivono con i contributi pubblici”. La verità è che buona parte delle risorse il governo le ha concesse proprio alle imprese private.
Poi continua chiedendo maggiore flessibilità nei rapporti di lavoro, un ulteriore abbassamento delle tasse per le aziende, abolizione di quota 100 mantenendo alta l'età pensionabile, riforma degli ammortizzatori sociali, moderazione nell'emanare leggi che tendono a migliorare l'impatto ambientale delle industrie tenendo di conto degli interessi delle imprese, mantenimento del ruolo dello stato in economia al solo livello di controllo senza intervento diretto, e sopratutto finanziamenti che vadano in un'unica direzione: quella della produttività.
Queste sarebbero alcune delle misure che per il falco a capo degli industriali occorrono per “un patto per l'Italia che aderisca agli indirizzi UE”. In sostanza Bonomi chiede che i cordoni della spesa pubblica siano tenuti ben stretti e i 200 miliardi del recovery fund siano impiegati per far recuperare competitività alle imprese italiane. Anche perché, ammonisce il presidente di Confindustria, questo è quello che vuole l'Unione Europea.
 

Contratti nel solco del “Patto per la fabbrica”
Per ultimo, ma non per importanza, nella sua relazione viene riservato un intero paragrafo alla questione del rinnovo dei contratti. Bonomi risponde ai sindacati confederali che accusano gli industriali di fare i “furbetti” perché sui contratti non rispettano i patti. Lui ribatte affermando che sono Cgil-Cisl-Uil a non rispettare gli accordi perché Confindustria sta cercando di rinnovare i contratti nel solco di quel “Patto per la fabbrica” firmato due anni fa assieme ai sindacati Confederali.
A dire la verità in questo caso dice una mezza verità. Nel senso che le segreterie sindacali con quel patto firmarono un accordo che prevedeva la collaborazione e il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale e il “raffreddamento” della conflittualità proprio in nome di quel “Patto per la Fabbrica” che tanto assomiglia al “Patto per l'Italia”. Non a caso Bonomi ricorda che quell'intesa del 2018 prevedeva di “dare spazio alla retribuzione di produttività, welfare aziendale, formazione e assegno di ricollocazione.”
Le ultime piccate reazioni di Landini a Confindustria sono quindi tardive e non tengono di conto che le richieste avanzate da Bonomi, e l'arroganza con cui vengono fatte, sono anche figlie dell'atteggiamento subalterno tenuto in precedenza dai sindacati confederali.
 

Unità d'intenti tra Confindustria e Governo
La reazione all'assemblea degli industriali da parte del governo è stata più che positiva. Conte accetta il “Patto per l'Italia” con queste parole: “Dobbiamo ora contribuire tutti insieme a vincere la sfida della ripartenza che in verità è lì che ci attende da molti anni”. E promette a Bonomi di lavorare per esaudire una delle sue richieste, ovvero la controriforma in senso aziendalista della macchina pubblica: “Siamo perfettamente consapevoli che nessun piano di investimenti potrà conseguire i risultati sperati se non saremo in grado di riformare profondamente la pubblica amministrazione”.
Sulla stessa lunghezza d'onda il ministro 5 Stelle dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli: “L’’Italia può realizzare il Patto per il Paese solo ad una condizione, che lo si faccia tutti assieme. Non possiamo far prevalere il senso della contrapposizione. La storia ci guarda, ci guardano i nostri figli” . Tanto che alla fine Bonomi ha commentato soddisfatto: “il Governo si avvicina alle nostre idee”.
La verità è che non siamo tutti sulla stessa barca, gli interessi degli industriali, dei capitalisti, sono contrapposti, antitetici a quelli del proletariato e delle masse popolari. Se non ci sarà una risposta forte da parte di quest'ultimi, la crisi economica causata dal capitalismo e ingigantita dal Coronavirus, ricadrà interamente su di loro. I sindacati non confederali, pur tra difficoltà e contraddizioni, cercano di opporsi alla voracità dei capitalisti e alla dittatura antivirus del governo Conte. Cosa aspettano Cgil-Cisl e Uil a rigettare il “Patto per l'Italia” e a mobilitare i lavoratori?.
 
7 ottobre 2020