La denuncia del Flai-Cgil
“180 mila braccianti schiavizzati dall'agromafia”
Vivono in ghetti, pagati in media 4, 5 euro all'ora, orario di lavoro anche di 12 ore continuative. Lombardia e Veneto con l'indice più alto

Il V Rapporto Agromafie e caporalato a cura dell'Osservatorio Placido Rizzotto/ FLAI- CGIL, presentato il 19 ottobre scorso, fotografa una situazione agghiacciante nell'ultimo biennio nelle campagne italiane.
Secondo il Rapporto lo sfruttamento lavorativo "attraversa trasversalmente tutte le regioni/province italiane, giacché in ciascuna di esse sono compresenti: occupati regolari con contratto rispettato in tutte le sue parti, occupati con contratto ma con parti dello stesso non rispettati (riduzione delle giornate di lavoro, salario minore di quello che compare nel medesimo contratto, riposi/ferie dimezzati/inesistenti), occupati senza contratto con rapporti di lavoro sbilanciati/asimmetrici".
In particolare per quanto riguarda lo sfruttamento dei migranti l'indagine rivela come “una parte di questi ultimi vive all'interno di insediamenti informali di fortuna (ghetti, baraccopoli)”, considerando le paghe da fame "si genera un circolo vizioso che rende praticamente impossibile fuoriuscire da questo perverso meccanismo emarginante" anche per effetto "degli attacchi razzisti che vengono perpetrati contro i lavoratori agricoli, soprattutto di origine straniera".
I lavoratori supersfruttati nel settore agroalimentare sono in crescita da circa 140mila nel 2017 ad almeno 180mila nell'ultimo anno, superando le previsioni del governo che si fermano a quota 160mila, nel quadro complessivo che vedono il fenomeno spalmato su tutto il territorio nazionale e non più solo nel martoriato Mezzogiorno.
Secondo Giovanni Mininni, segretario generale della Flai-Cgil. “I fenomeni di sfruttamento, lavoro sommerso e caporalato non sono più appannaggio esclusivo di quelle regioni del Mezzogiorno, ma anzi si sono estesi all’intero territorio nazionale. E così, in questa estate 2020, le cronache e i media hanno riportato i fatti relativi all’operazione Demetra, un maxi arresto per reati di sfruttamento, caporalato e intermediazione illecita di manodopera tra Basilicata e Calabria che ha coinvolto 14 aziende e circa 60 persone, ma anche il caso della Straberry, startup di un rampante imprenditore milanese dove la Guardia di Finanza ha scoperto braccianti africani costretti a lavorare per più di 9 ore al giorno a 4, 50 euro l’ora, immigrati assunti con contratti di soli due giorni, anomalie nella trasparenza delle buste paga e delle assunzioni, totale mancanza di misure di sicurezza anti-Covid”... “un vero e proprio sistema economico parallelo che viene scelto da alcune imprese per competere in modo sleale e nel quale incappano lavoratori italiani e stranieri. In tutto questo, non possiamo non ricordarlo, si è innestata da febbraio l’emergenza Covid-19, che ha determinato un aumento della fragilità di questi lavoratori, ricattati al di sopra anche delle norme di tutela della salute pubblica”
Secondo Emilio Santori e Chiara Stoppioni del Centro di Ricerca interuniversitario L’Altro diritto: “Nonostante sia convinzione comune e radicata che lo sfruttamento si concentri nel Meridione su 260 procedimenti monitorati dal Laboratorio, più della metà, per l’esattezza, 143, non riguardano il Sud Italia. Tra le Regioni più colpite, oltre alla Sicilia, alla Calabria e alla Puglia, vi sono il Veneto e la Lombardia:le Procure di Mantova e Brescia stanno seguendo, ciascuna, ben 10 procedimenti per sfruttamento lavorativo. Allarmante anche la situazione dell’Emilia Romagna, in cui lo sfruttamento è diffuso in tutte le province; del Lazio e, in particolare, della provincia di Latina; e della Toscana, dove il maggior numero di procedimenti è incardinato presso il Tribunale di Prato”.
Il rapporto si concentra poi sulle condizioni della manodopera femminile e delle migranti “per la sua crescita quantitativa che si rileva nei processi migratori (si parla appunto di femminilizzazione dei flussi), e dunque di una accentuata presenza nei mercati del lavoro” che si configura “come fortemente segmentata sulla base del genere, della classe e della nazionalità”. In particolare “emerge un maggior isolamento delle lavoratrici agricole che specularmente tende a caratterizzarsi con una forte dipendenza dal datore di lavoro”, rendendo i rapporti di lavoro “particolarmente permeabili a forme di variegate di abuso (incluse quelle a sfondo sessuale) e sfruttamento: le paghe di fatto sono mediamente minori, mentre gli orari di lavoro sono pressoché assimilabili a quelli dei colleghi maschi”.
Dunque nel settore agricolo sfruttamento bestiale, criminalità e condizioni disumane per le lavoratrici e i lavoratori sono in crescita in tutto il Paese, amplificate dalla pandemia in corso e aggravate dalle politiche schiaviste, antipopolari, filopadronali e razziste del governo Conte e della Ue imperialista.
Nel quadro della lotta per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti i lavoratori, i disoccupati e i migranti, urge costruire un ampio fronte unito per affossare il caporalato, spalancare le frontiere ai migranti, abolire la Bossi-Fini e i decreti Salvini, riconoscere ai migranti pari diritti, inquadrando il tutto nella lotta più generale contro il capitalismo, arrivato al suo stadio ultimo e finale ossia l'imperialismo, la cui legge fondamentale del massimo profitto è in ultima analisi la causa di tutto questo orrore, che potrà essere spazzato via solo con il socialismo e la conquista, sulla via dell'Ottobre, del potere politico da parte del proletariato, che poi è la madre di tutte le questioni e la chiave di volta per porre fine, per sempre, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
In questo quadro è assolutamente indispensabile abbattere da sinistra e dalla piazza il governo Conte al servizio del regime capitalista capitalista neofascista.

4 novembre 2020