Lotta dura in Polonia per difendere il diritto di aborto
Il governo ricorre ai militari per bloccare le manifestazioni

La protesta in Polonia per difendere il diritto di aborto va avanti da oltre 8 giorni sfidando i militari e le ferree misure anticovid del governo fascista guidato da Diritto e Giustizia.
La scintilla della mobilitazione è scaturita dopo la sentenza del 22 ottobre scorso del Tribunale costituzionale polacco che ha reso illegale l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del feto. La Corte era intervenuta su richiesta di un centinaio di parlamentari che sostenevano che l’interruzione di gravidanza a causa di malformazioni fetali violasse i princìpi della Costituzione che protegge la vita di ogni individuo. A questa si sono aggiunte misure più restrittive sul diritto d’aborto appoggiate dal governo e dalla Chiesa cattolica che è molto influente in Polonia.
La sentenza modifica una legge sull’interruzione di gravidanza approvata nel 1993, che già era una delle più restrittive d’Europa. Il governo aveva già tentato più volte, nel 2016 e lo scorso aprile, di introdurre restrizioni pesanti al diritto all’aborto, sempre con il sostegno di diversi gruppi religiosi cattolici e dei vescovi vicini al PiS, ma in entrambi i casi aveva rinunciato dopo forti proteste. Essa non è ancora entrata ufficialmente in vigore, ma quando avverrà in Polonia saranno legali le interruzioni di gravidanza soltanto in caso di stupro, incesto o di grave minaccia alla vita o alla salute della donna. Questi casi costituiscono soltanto il 2,4 per cento dei circa 1.100 aborti praticati negli ospedali polacchi nel 2019. Anche se le restrizioni non sono ancora attive, comunque, molti ospedali hanno cominciato a cancellare procedure di interruzione di gravidanza già programmate. Secondo le organizzazioni femministe, già prima della sentenza tra le 100mila e le 200mila donne polacche ogni anno erano costrette a ricorrere all’aborto clandestino o ad andare all’estero per poterne avere accesso (in genere in Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania o Ucraina).
È dal 28 ottobre, con lo “sciopero delle donne” in tutti i settori sia quello privato che pubblico, a cui hanno aderito molti uomini che la protesta per il diritto di aborto va avanti senza interruzione. In quella data le donne polacche si sono ritrovate in strada già a partire dal pomeriggio mandando in tilt il paese intero. “Visto che la Polonia non funziona fermiamola! Ne faremo una nuova!”, è l’appello lanciato per l'occasione dalla sigla “Sciopero nazionale delle donne” (Osk) che ha trovato l'appoggio di una gran parte della popolazione nei vari cortei e sit-in svolti nei centri medi e medio piccoli del paese.
Dalla capitale Varsavia, fino ai piccoli paesi delle campagne - un evento inedito per le aree rurali e tradizionalmente conservatrici della Polonia - i cortei quasi ogni giorno sfidano le rigide restrizioni per il coronavirus agli assembramenti.
A Varsavia, la folla ha marciato dalla sede di Ordo Iuris, un'organizzazione pro-vita che ha fatto pressione per un divieto totale dell’aborto e che è considerato un’entità infiltrata nel governo, fino al palazzo del Parlamento, circondato da agenti di polizia antisommossa. Con una mossa senza precedenti nel Paese profondamente cattolico, i manifestanti hanno protestato anche all'interno delle chiese e lasciato i propri slogan con le bombolette spray sui muri esterni. Grandi manifestazioni hanno riempito le strade anche di altre grandi città, come Cracovia, Brelsavia, Sttetino e Lodz.
Il fascista Jaroslaw Kaczynski, leader del partito Diritto e Giustizia vice presidente del consiglio polacco e politico più potente del Paese, ha chiamato a raccolta tutti i “veri polacchi” per difendere le chiese e i valori cristiani dalla barbarie delle donne. Ma la protesta delle donne e delle masse democratiche polacche in difesa del diritto d'aborto va avanti sfidando a testa alta la minaccia del premier Mateusz Morawiecki di mandare l’esercito in piazza, che dopo giorni di manifestazioni è intervenuto condannando i cortei e chiedendo l’aiuto dell’esercito per rispondere “ad atti di barbarie, vandalismo e alle aggressioni”.
La protesta partita dai movimenti femministi si sta estendendo a macchia d'olio coinvolgendo gran parte della popolazione polacca per difendere il diritto d'aborto ma anche contro il governo fascista di Morawiecki, arrivando alla manifestazione nazionale di venerdì 30 ottobre, che ha visto inondare le vie di una Varsavia blindata da polizia, militari, supportati da milizie “private”, da un oceano di manifestanti, oltre 100 mila, la più grande manifestazione contro il governo da quando è entrato in carica nel 2015.
La manifestazione è partita da tre piazze distinte, da cui si sono snodati per le vie del centro i tre cortei poi confluiti in un unico grande concentramento sotto il parlamento polacco. Un manipolo di militanti di estrema destra ha provato ad aggredire i manifestanti in Piazza della Città vecchia, i quali hanno prontamente isolato e respinto i provocatori.
Durante il corteo spiccavano i cartelli con le scritte “Vogliamo poter scegliere, non vogliamo il terrore”, e “Le ragazze vogliono solo avere i diritti fondamentali”. E “Bella ciao” in una versione in polacco, proposta da due cantanti di Cracovia, è diventata l'inno della protesta.
Il presidente ultra-conservatore Duda, di fronte all’imponenza della protesta, ha annunciato che proporrà una nuova legge secondo la quale sarebbe consentito l’aborto nei casi di patologie letali del feto, mentre resterebbe il divieto per le altre malformazioni embrionali e per tutte le altre casistiche. Decisamente troppo poco per i manifestanti, che hanno già annunciato che la mobilitazione proseguirà.

4 novembre 2020