Documento dell’Ufficio politico del PMLI
Teniamo alta la grande bandiera rossa di Engels
In celebrazione del Bicentenario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionale
 
Duecento anni fa, il 28 novembre 1820, nasceva Friedrich Engels, grande Maestro del proletariato internazionale, che spese interamente la sua vita, insieme a Marx, nell’epica lotta per la fondazione del socialismo scientifico e per illuminare al proletariato mondiale la via rivoluzionaria all’emancipazione dallo sfruttamento capitalistico e alla conquista del potere politico. Nel celebrare questo importante e storico avvenimento il PMLI onora questo gigante proletario rivoluzionario, del pensiero e dell’azione, e rafforza la sua determinazione a essere sempre fedele ai suoi insegnamenti e ad ispirarsi ad essi, nella sua titanica lotta per erigere un grande, forte e radicato Partito del proletariato, della riscossa e del socialismo, per conquistare l’Italia unita, rossa e socialista.
Ancora, e tanto più oggi, c’è bisogno di Engels. Leggerlo e rileggerlo, studiarlo e ristudiarlo, è imprescindibile e di una importanza capitale per chi vuole condurre meglio la lotta di classe, abbattere il capitalismo e instaurare il socialismo. Lo è stato in Russia, in Cina e in tutti i paesi del mondo dove è stata instaurata e edificata questa società, la più evoluta che la storia del mondo abbia mai conosciuto, e lo è e lo sarà nei paesi capitalisti tra cui l’Italia. Il nome di Engels è inseparabile da tutto ciò che è stato fatto da Marx. Come ha rilevato Lenin, “non si può comprendere il marxismo e non si può esporlo interamente senza tenere conto di tutte le opere di Engels” .
Tenere alta la grande bandiera rossa di Engels è l’indicazione che noi marxisti-leninisti italiani diamo a tutti gli sfruttati e oppressi, alle masse operaie e lavoratrici, in particolare ai giovani rivoluzionari e fautori del socialismo che dalla sua vita e opera non possono che attingere linfa vitale per rivoluzionarizzare il mondo e se stessi. Grazie alle sue scoperte, e a quelle di Marx, chi è alla ricerca della verità e anela al cambiamento sociale, non ha bisogno di fare per intero il loro stesso percorso intellettuale, è sufficiente ma decisivo conoscere la loro elaborazione teorica, politica e organizzativa, successivamente sviluppata da Lenin, Stalin e Mao, per acquisire la concezione proletaria del mondo e agire conseguentemente per cambiarlo.
Non fu un caso che ad un anno dalla vittoriosa Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, il 7 Novembre 1918, Lenin volle fortemente che a Mosca fosse issato un monumento a questi due giganti del proletariato internazionale, salutando il significativo evento con queste parole: “Inauguriamo oggi un monumento ai capi della rivoluzione operaia mondiale, Marx e Engels. Per secoli l'umanità ha sofferto e languito sotto il giogo d'un esiguo gruppetto di sfruttatori, che si prendevano gioco di milioni di lavoratori. Ma, se gli sfruttatori dell'età precedente, i grandi proprietari fondiari, depredavano e opprimevano i contadini servi della gleba divisi, sparpagliati, ignoranti, gli sfruttatori dei tempi moderni, i capitalisti, hanno trovato dinanzi a sé, tra la massa degli oppressi, il suo reparto d'avanguardia, gli operai delle città, gli operai delle fabbriche e delle officine, gli operai industriali. La fabbrica li ha riuniti, la vita urbana li ha illuminati, la lotta comune negli scioperi e le azioni rivoluzionarie li hanno temprati.
Marx e Engels hanno il grande merito storico mondiale di aver dimostrato, mediante l'analisi scientifica, che è inevitabile il crollo del capitalismo e il suo trapasso nel comunismo, dove non esisterà più lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo.
Marx e Engels hanno il grande merito storico mondiale di aver additato ai proletari di tutto il mondo la loro funzione, il loro compito, la loro missione: impegnarsi per primi nella lotta rivoluzionaria contro il capitale e unire attorno a sé, in questa lotta, tutti i lavoratori e gli sfruttati.
Noi viviamo nell'età felice in cui questa previsione dei grandi socialisti già comincia ad avverarsi. Noi tutti vediamo come in diversi paesi sorga l'aurora della rivoluzione socialista internazionale del proletariato. Gli orrori indicibili della carneficina imperialistica suscitano dappertutto lo slancio eroico delle masse oppresse, decuplicano le loro energie nella lotta di emancipazione.
Possono i monumenti a Marx e Engels ricordare continuamente a milioni di operai e contadini che non siamo soli nella nostra lotta. Accanto a noi si levano gli operai dei paesi più progrediti. Dure battaglie stanno ancora davanti a noi e a loro. Nella lotta comune sarà spezzato il giogo del capitale e il socialismo sarà definitivamente conquistato!”.
Engels era un vero portento nel lavoro, dotato di una cultura enciclopedica accumulata grazie a curiosità e interessi estesi a tutti i campi, divorava con facilità e rapidità qualsiasi libro, documenti e fonti di informazione. Aveva un’intelligenza pronta e capace di sintesi, unita alla tempra e alla determinazione del gladiatore. Infaticabile riusciva a scrivere articoli pungenti e polemici rapidamente e passava ore e ore alla scrivania senza interrompersi nel lavoro.
Pur avendo scritto opere molto importanti che hanno contribuito a fare grande e invincibile il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, Engels era altresì talmente modesto e umile che si annullava quasi in Marx. “Vicino a Marx – scrisse al vecchio amico J. Ph. Becker il 15 ottobre 1884 – non ero che il secondo violino” . Tanto che in una nota nella sua celebre opera del 1886 dal titolo “Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca” ha voluto specificare meglio: “Mi si conceda qui una spiegazione personale. Si è accennato più volte, recentemente, alla parte che io ho preso alla elaborazione di questa teoria, e perciò non posso dispensarmi dal dire qui le poche parole necessarie a metter a posto le cose. Non posso negare che prima e durante la mia collaborazione di quarant’anni con Marx io ebbi pure una certa qual parte indipendente tanto alla fondazione come alla elaborazione della teoria. Ma la maggior parte delle idee direttrici fondamentali, particolarmente nel campo economico e storico, e specialmente la loro netta formulazione definitiva, appartengono a Marx. Il contributo che io ho dato, - eccezion fatta per un paio di scienze speciali, - avrebbe potuto essere apportato da Marx anche senza di me. Ciò che Marx ha fatto invece, io non sarei stato in grado di farlo. Marx stava più in alto, vedeva più lontano, aveva una visione più larga e più rapida di tutti noi altri. Marx era un genio, noi tutt’al più dei talenti. Senza di lui la teoria sarebbe ben lungi dall’essere ciò che è. A ragione, perciò, essa porta il suo nome”.
E rispondendo alla valanga di auguri ricevuti da tutto il mondo in occasione del suo 70° compleanno, nel 1890, ebbe a scrivere: “Nessuno sa meglio di me che la maggior parte di questi omaggi non mi sono dovuti. È mio compito raccogliere la fama e gli onori seminati da un uomo più grande di me, Karl Marx: io posso solo promettere di trascorrere il resto della vita al servizio attivo del proletariato, per essere, nei limiti del possibile, degno di questi onori”.
Un campione insomma di modestia, sincerità, franchezza, lealtà, onestà, critico e autocritico, che non temeva di mettere in luce i suoi errori e debolezze umane; immune dall’individualismo e dalla ricerca di gloria e onori personali, pensava unicamente alla causa del proletariato e del socialismo. “Noi non abbiamo altra bandiera di quella del proletariato mondiale – scriverà il 18 luglio 1872 a Ugo Bartorelli -, la bandiera rossa”.
E non c’è cosa più bella, come ci ha ricordato recentemente il nostro amato Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, più utile e appagante che si possa fare di quella di dare la propria vita per l’emancipazione del proletariato e dell’intera umanità. Engels lo ha fatto. Facciamolo anche noi, prendendo il suo esempio per trasformare il mondo e noi stessi.
 

Una breve biografia della vita e opera di Engels
Friedrich Engels nacque a Barmen, oggi Wuppertal, città industriale nel nord della Renania Palatinato. Figlio di un grande industriale tedesco proprietario di fabbriche tessili sia nell’allora Prussia che in Inghilterra, matura sin da giovanissimo un pensiero fortemente critico verso i rapporti capitalistici di produzione e le sue sovrastrutture ideologiche.
Particolarmente interessanti le lettere del 1838 quando Engels diciottenne, costretto dalla famiglia a interrompere il liceo per andare a lavorare, cominciava a liberarsi dell’influenza della religione, del liberalismo e dell’idealismo della sinistra hegeliana di cui faceva parte come Marx, e le “Lettere dal Wuppertal” dell’anno dopo. E ci riuscì dopo un lungo e travagliato cammino studiando la filosofia, l’economia politica, la storia mondiale, le scienze naturali. Prima da solo poi assieme a Marx, una volta che si conobbero.
Nel 1842 lascia la città natale di Barmen e si trasferisce a Manchester con il compito di seguire l’azienda “Ermen&Engels” di cui il padre è comproprietario. Nella città inglese, ove la rivoluzione industriale è in pieno sviluppo e il nuovo ordine capitalista in costruzione, Engels mette in relazione la propria analisi teorica dello sfruttamento capitalistico con la cruda realtà delle disumane condizioni di lavoro nelle fabbriche e nella società. Da qui invia ai “Deutsch-franzosische Jahrbucher (Annali franco-tedeschi)”, che hanno come direttori Marx e Ruge, un breve saggio “Lineamenti di una critica dell’economia politica” che, uscendo dall’idealismo anticipa l’intero pensiero di Marx e Engels collocandosi nel campo materialista e del pensiero comunista.
Fu con l’opera “La situazione della classe operaia in Inghilterra” (1845) che Engels raccontò per la prima volta in maniera organica e documentata lo sfruttamento operaio. Ecco cosa scriveva su di essa l’allora venticinquenne Lenin all’indomani della morte del grande Maestro del proletariato internazionale: “Engels per primo affermò che il proletariato non è soltanto una classe che soffre; sostenne che appunto la vergognosa situazione economica nella quale esso si trova lo spinge irresistibilmente in avanti e lo incita a lottare per la sua emancipazione definitiva. Il proletariato in lotta si aiuterà da se stesso. Il movimento politico della classe operaia condurrà inevitabilmente gli operai a riconoscere che per loro non vi è altra via d’uscita all’infuori del socialismo. D’altra parte, il socialismo sarà una forza soltanto quando diventerà lo scopo della lotta politica della classe operaia… Il libro fu un terribile atto d’accusa contro il capitalismo e la borghesia”.
Engels ha lavorato con Marx per quarant’anni “fianco a fianco” , come ha detto lui stesso, fin da quando si sono incontrati per la prima volta a Parigi nel settembre del 1844. Allora aveva 24 anni e Marx 26. In questa città scrissero in comune l’opera “La sacra famiglia” ovvero “Critica della Critica critica”, in contrapposizione ai fratelli filosofi Bauer e i loro seguaci, che giudicavano dall’alto il proletariato, considerato una massa priva di spirito critico.
Engels trascorse il periodo dal 1845 al 1847 a Bruxelles e a Parigi, unendo agli studi scientifici l’attività pratica fra gli operai tedeschi che abitavano nelle due città. Qui, insieme a Marx, si mise in contatto con la Lega dei comunisti, organizzazione clandestina internazionale, la quale li incaricò di esporre i principi fondamentali del socialismo da loro elaborati. Così ebbero vita “L’Ideologia tedesca” (1845/46), che nessun editore allora volle pubblicare, un’opera, “lasciata alla roditrice critica dei topi” e pubblicata in Unione Sovietica nel 1932, fondamentale nella messa a punto della concezione del materialismo dialettico e storico, dove si argomenta la necessità della rivoluzione proletaria e si enuncia per la prima volta l’idea di una dittatura del proletariato: "ogni classe che tende al dominio - perfino se il suo dominio determina, come si ha con il proletariato, la distruzione dell'intera vecchia forma sociale e del dominio in genere, - deve innanzitutto conquistarsi il potere politico", e il celebre “Manifesto del Partito Comunista” scritto sempre a quattro mani e pubblicato nel 1848. “Questo libriccino – dirà ancora Lenin – vale molti volumi: il suo spirito fa vivere e operare ancor oggi tutto il proletariato organizzato e combattente del mondo civile”.
Nel 1848 e ‘49, prosciugando i loro averi, Marx e Engels, pubblicano a Colonia il quotidiano rivoluzionario “Neue Rheinisce Zeitung” (Nuova Gazzetta renana). Sono loro due a scrivere gli editoriali, celebri per l’intransigenza rivoluzionaria proletaria, il pugnace internazionalismo e le inoppugnabili rivelazioni e denunce politiche, e, come ricorderà Engels con piacere molti anni dopo “ogni articolo colpiva e scoppiava al pari di un proiettile”.
Una linea e una condotta così rivoluzionarie attirarono contro il giornale l’odio dei nemici di classe che dopo averlo strozzato economicamente e averne perseguitato i redattori, riescano a imporne la chiusura definitiva. Nell’ultimo numero stampato in caratteri rossi i redattori salutano gli operai di Colonia con questo grido di battaglia: “La loro ultima parola sarà comunque e sempre: Emancipazione della classe operaia!”.
Intanto Engels, che durante l’emigrazione non aveva perso come Marx la cittadinanza prussiana, partecipa attivamente e con ruoli direttivi all’insurrezione popolare e combatte sulle barricate nella regione natia e nel Baden-Palatinato fino a che dopo la sconfitta sfugge all’arresto riparando in Svizzera per poi ricongiungersi al compagno fuggito a Londra imbarcandosi a Genova.
A Londra Marx e la sua famiglia non hanno di che vivere e Engels si sobbarcherà da allora il compito di assicurar loro l’aiuto necessario. Con commovente spirito di abnegazione e con generosità si sacrificherà al punto di ritornare a lavorare nell’odiata attività commerciale presso la fabbrica di Manchester, un’attività a cui aveva giurato di non tornare mai più.
Già prima e dopo la pubblicazione de “Il Manifesto del Partito Comunista” Engels svolge un ruolo determinante come dirigente politico e organizzativo e non solo come teorico, per la nascita, costruzione e sviluppo del movimento operaio e comunista internazionale. Esaurita l’esperienza della Lega dei comunisti, nel 1864 queste sue capacità lo portano a divenire di fatto il capo politico e organizzativo della Prima Internazionale, e nel 1889 della Seconda. Grazie a lui e a Marx la I Internazionale dà vita ai partiti proletari indipendenti e getta le fondamenta per prepararli all’assalto rivoluzionario contro il capitale. Si tratta di una impresa ardua e complessa, quasi disperata, perché Marx e Engels hanno a che fare con opportunisti di ogni genere, come i lassalliani, i proudhoniani, gli anarchici bakuniniani, i dirigenti cartisti e delle Trade Unions inglesi. Per unificare il movimento operaio i due non potevano far leva che sulla forza delle loro idee, sulla superiorità della loro dottrina e delle loro analisi e argomentazioni politiche.
In qualità di segretario corrispondente dell’Internazionale per il Belgio e poi per Italia, Spagna, Portogallo e Danimarca Engels si trovò di fatto a gestire il coordinamento della lotta politica in tutto il continente, dimostrandosi il più grande stratega del socialismo internazionale.
Esauritosi il compito storico della direzione teorica della I Internazionale Marx si rituffa appieno al completamento del “Capitale” mentre Engels si accolla qualsiasi compito, anche il più gravoso, inerente ai mille obblighi che derivano dalla direzione del proletariato internazionale. Sorprenderà il suo totale attaccamento a Marx che proteggeva con i suoi premurosi e fraterni consigli riguardo alla salute e che sosteneva con generose donazioni per consentirgli di finire “Il Capitale”. E quando nel settembre 1867 Marx ne dette alle stampe il primo volume volle subito scrivere una lettera di gratitudine all’amico fraterno: “Debbo soltanto a te se questo fu possibile! Senza il tuo sacrificio non avrei potuto compiere il mostruoso lavoro dei 3 volumi. Ti abbraccio pieno di gratitudine”. Da quel giorno Engels curò innumerevoli recensioni per assicurare al “Capitale” la massima diffusione. “Da quando ci sono al mondo capitalisti e operai – scrisse Engels – non è mai apparso libro che per gli operai fosse importante quanto questo. Il rapporto tra capitale e lavoro, il cardine su cui gira tutto il nostro odierno sistema sociale, è qui per la prima volta spiegato in modo scientifico e con una profondità e un acume quali erano possibili solo a un tedesco”.
Grazie alla riscossione di una liquidazione sufficiente ad assicurargli il mantenimento futuro di se stesso, di Marx e della sua famiglia, dopo 18 anni di forzato esilio a Manchester, il 1° luglio 1869 Engels riuscì a liberarsi dall’attività commerciale, ereditata dal padre, che definiva “pidocchioso commercio” , trasferendosi a Londra per vivere gomito a gomito con Marx, in una simbiosi tale da rendere indistinguibile il contributo dell’uno da quello dell’altro.
Di questo periodo è la preziosa e stimolante opera “Dialettica della natura”, scritta da Engels tra il 1873 e il 1883 ma rimasta sotto forma di manoscritto finché fu pubblicata nell’Unione Sovietica di Lenin e Stalin, in cui troviamo una grandiosa quanto fondamentale concezione del rapporto uomo-natura, per cui l’uomo non è il punto di arrivo della creazione divina ma prodotto dell’evoluzione e parte non dominante né dominatrice della natura. Così come l’“Anti-Duhring”, scritto tra il 1867 e il 1878, dove Engels afferma esplicitamente che “L’unità reale del mondo consiste nella sua materialità”. Una serie di densi articoli che il grande Maestro del proletariato internazionale scrive in polemica con il filosofo ed economista tedesco Karl Eugen Duhring che stava espandendo la propria egemonia intellettuale su vaste aree della socialdemocrazia tedesca. L’opera ebbe un tale successo da indurre Engels a raccoglierne tre capitoli in un opuscolo popolare dal titolo “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza” che ebbe una diffusione paragonabile a quella del “Manifesto” del 1848.
Così come si batterono da leoni a fianco dei comunardi parigini insorti il 18 marzo 1871, cercando di orientare in maniera giusta quella prima esperienza rivoluzionaria proletaria. Traendo da essa, anche dopo la caduta della Comune di Parigi, preziosi insegnamenti che serviranno poi a Lenin e a Stalin per guidare vittoriosamente la Rivoluzione d’Ottobre in Russia.
Marx muore il 14 marzo 1883. Sulla tomba dell’amico Engels pronuncia un forte quanto commovente discorso di commiato. Da quel giorno si prodigherà nel dare un contributo inestimabile, dal punto di vista ideologico, politico e organizzativo, alla difesa, estensione e sviluppo del marxismo. La sua casa londinese diventa “la Mecca del socialismo”. La nascita della II Internazionale, il 14 luglio 1889 a Parigi, nel centenario della presa della Bastiglia, la si deve alla sua azione e al suo operato per sconfiggere gli opportunisti socialdemocratici e i revisionisti di destra alla Bernstein, Turati e Kautski.
Più che partecipare alle “parate”, come egli le definiva, e ai banchetti popolari in suo onore preferiva dedicarsi allo studio e concentrarsi sui suoi compiti prioritari, quali quello di pubblicare il secondo e il terzo volume de “Il Capitale”, che Marx non era riuscito a completare a causa della morte. La minuta del secondo volume era già pronta ma gli occorrono 2 anni di lavoro difficilissimo per darlo alle stampe. Il terzo volume è molto più indietro e gli richiede altri 9 anni di lavoro ancora più complesso, di ricerche e studi integrativi, oltre a dare forma compiuta a manoscritti appena abbozzati e frammentari dello stesso Marx.
Nello stesso tempo lavora instancabilmente a ponderosi studi teorici come “Dialettica della natura” (1873-1886), storico-politici come “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” (1884), filosofici come “Ludwig Feuerbach e il punto di approdo dell’ideologia tedesca” (1886).
Engels è esempio di dedizione assoluta ed entusiastica alla causa del proletariato, tanto che ultrasettantenne partecipa attivamente alle manifestazioni operaie di Hyde Park per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore e il 1° Maggio del 1890 alla prima festa internazionale dei lavoratori indetta dalla II Internazionale: “Oggi mentre scrivo queste righe, - trattasi dell’ennesima prefazione di Engels al “Manifesto” – il proletariato d’Europa e d’America passano in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito, sotto una sola bandiera, per un solo fine prossimo: la giornata lavorativa normale di otto ore, proclamata già dal congresso di Ginevra dell’Internazionale del 1886, e di nuovo dal congresso operaio di Parigi del 1889, da introdursi per legge. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti e ai proprietari terrieri di tutti i Paesi sul fatto che oggi i proletari di tutti i Paesi si sono effettivamente uniti. Fosse Marx accanto a me, a vederlo con i suoi occhi!”.
Pur tormentato da un cancro incurabile non smette di lavorare per assicurare la sua direzione teorica e politica al movimento operaio internazionale, fino al 5 agosto 1895 dove muore a Londra. Il 27 agosto le sue ceneri sono, rispettando i suoi voleri, disperse nel tempestoso Mare del Nord.
 

I principali insegnamenti di Engels
La vita e l’opera di Engels che abbiamo sinteticamente ripercorso sono una fucina di insegnamenti. A partire dalla concezione del mondo, di cui, insieme a Marx, ha gettato le fondamenta con il materialismo dialettico e il materialismo storico. Essi costituiscono la concezione proletaria del mondo, nonché la base filosofica, teorica e scientifica del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, i soli ad essere in grado di espugnare dalla nostra testa la concezione borghese del mondo, e con essa l’idealismo e la metafisica, e quindi renderci capaci di trasformare il mondo, oltre che noi stessi.
 

1) La concezione del mondo
Il materialismo dialettico è la concezione più rivoluzionaria mai apparsa nella storia perché il carattere rivoluzionario della dialettica anima il punto di vista materialistico, che tendenzialmente è progressivo e rinnovatore. Il materialismo presuppone spirito critico e atteggiamento aperto al nuovo, rifiuta il fideismo e il soggettivismo, lo stato di cose esistente e qualsiasi dogma, idea assoluta, speculazione oscurantista, nega l’esistenza di un qualsiasi destino e mondo trascendente, di istituzioni eterne e svincolate alle condizioni materiali della società. La dialettica concepisce le cose e i fenomeni, idee e materia, mai statici e definitivi ma in perenne movimento e trasformazione, in un processo che li vede nascere, svilupparsi e morire.
Materialismo o idealismo, dialettica o metafisica: le concezioni del mondo sono sempre state dominate da questo doppio conflitto. La grandezza di Marx e Engels sta nell’aver coniugato e sintetizzato la dialettica col materialismo riuscendo così a salvare la prima dalla rovina dell’idealismo e il secondo dalla rovina della metafisica e dell’evoluzionismo meccanicista e unilaterale e risolvendo con un colpo solo duemila anni di storia del pensiero umano che aveva visto la dialettica e il materialismo procedere sempre su binari paralleli, impotente la prima a spiegare alcunché del mondo reale pur avendo sviluppato astrattamente una avanzatissima teoria della conoscenza, e cieco e inanimato il secondo che pure si era imposto sull’onda del travolgente sviluppo politico e scientifico tra il settecento e l’ottocento.
Da tendenzialmente progressivo e rinnovatore il materialismo diventa grazie a Marx e Engels rivoluzionario perché pretende che la realtà circostante per poter essere compresa e non semplicemente percepita debba essere abbracciata e non semplicemente osservata dall’esterno, modificata e trasformata incessantemente e non semplicemente posta una volta per tutte a fondamento della conoscenza. Padroni della dialettica materialista, i due grandi Maestri del proletariato internazionale, seppero applicarla in modo coerente a ogni campo d’indagine e a ogni aspetto della loro intensa attività teorica e pratica. Applicata alla vita sociale e alla storia della società con l’obiettivo di ricercare e scoprire i fattori decisivi e secondari che le condizionano e le leggi che ne regolano l’andamento, la dialettica materialista prende il nome di materialismo storico. Engels spiega sinteticamente (prefazione all’edizione inglese de “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza” - 20 aprile 1892 -) che esso sta a “indicare quella concezione dello sviluppo della storia che cerca le cause prime e la forza motrice decisive di tutti gli avvenimenti storici importanti nello sviluppo economico della società, nella trasformazione dei modi di produzione e di scambio, nella divisione della società in classi che ne deriva e nella lotta di queste classi tra loro”.
Engels ha dato un enorme contributo a definire gli elementi costitutivi del materialismo storico. A partire dal “Manifesto del Partito comunista”, un’opera fondamentale che esprime in maniera sistematica e integrale lo stesso materialismo storico e la concezione proletaria del mondo, dove si legge che “la storia di ogni società finora esistita è storia di lotta di classe” , Engels preciserà in seguito “ad eccezione della storia delle comunità primitive”. Un’opera rivolta al proletariato, per fornirgli, spiegherà Lenin nel suo “Karl Marx” (1914), “con chiarezza e vivacità geniali la nuova concezione del mondo, il materialismo conseguente, esteso al campo della vita sociale, la dialettica, come la più completa e profonda dottrina dell’evoluzione, e la teoria della lotta di classe e della funzione storica del proletariato, creatore di una nuova società, della società comunista”.
La struttura economica è la base di ogni società sulla quale si edifica la sovrastruttura statale, cioè l’ordinamento istituzionale, militare, giuridico e amministrativo, la cultura, la morale, le idee sociali. Questo significa che ogni tipo di società, del passato e del presente “si modella – come dice Engels – su ciò che si produce, sul modo come si produce e sul modo come si scambia ciò che si produce”. Ossia lo sviluppo della storia umana avviene per i diversi mutamenti dei vari sistemi economici e dei vari modi di produzione e di scambio.
Ed ancora, come affermato da Marx “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere sociale, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Per cui le condizioni della vita materiale e non la sovrastruttura sono l’origine delle idee e delle teorie sociali, della vita spirituale della società, delle concezioni politiche e delle istituzioni politiche.
L’origine dello sfruttamento capitalistico sta nel plusvalore, cioè nell’“appropriazione di lavoro non pagato”. Questa illuminante scoperta di Marx ha svelato il carattere più nascosto del capitale, togliendo ai revisionisti e ai riformisti ogni argomentazione seria per fare accettare agli operai la collaborazione con i capitalisti. Infine, le forze produttive, a un certo punto del loro sviluppo, entrano inevitabilmente in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, e ciò genera una serie di conflitti sociali che, prima o poi, sboccano nella rivoluzione socialista. Come rileva Marx “I rapporti di produzione borghesi sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale” .
Accogliamo e facciamo nostra l’esortazione di Engels, scritta nella prefazione a “La guerra contadina in Germania” (1° luglio 1874), ai militanti e dirigenti del partito tedesco, a liberarsi dall’influenza dell’ideologia e delle concezioni borghesi e a impadronirsi e a propagandare la nuova concezione del mondo: “Sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente dall’influsso delle frasi fatte proprie dalla vecchia concezione del mondo, e tenere sempre presente che il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato. Ma l’importante sarà poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione che così si è acquisita e che sempre più si è chiarita, e rinsaldare sempre più fermamente l’organizzazione del partito e dei sindacati”.
 

2) Lo Stato
Fu dopo gli avvenimenti rivoluzionari del 1848-49 che Marx e Engels cominciarono ad avanzare la questione della distruzione della macchina statale borghese e della sua sostituzione con uno Stato radicalmente nuovo che definiscono dittatura del proletariato. Il pomeriggio del 24 febbraio 1848 quando a Parigi la monarchia di Luigi Filippo cadde sotto i colpi popolari Engels scriveva: “La nostra epoca, l’epoca della democrazia, sta andando in frantumi. Le fiamme delle Tuileries e di Palais Royal rappresentano l’alba del proletariato”.
Tuttavia l’esperienza della Comune del 1871 fece compiere un salto di qualità alla dottrina dello Stato elaborata dai due fondatori del socialismo scientifico, perché non c’era mai stato prima un movimento proletario tanto grandioso e tanto avanzato da porre concretamente all’ordine del giorno la questione della dittatura del proletariato. Essa permise loro di vedere realizzata spontaneamente dagli eroici insorti parigini la nuova macchina statale del proletariato, sia pure in forme appena abbozzate.
Il 12 aprile 1871, cioè durante la Comune, Marx scriveva a Kugelmann: “Se tu rileggi l’ultimo capitolo del mio 18 Brumaio troverai che io affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano ad un’altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla, e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini”. “Distruggere la macchina burocratica e militare dello stato”: in queste parole è espresso in modo incisivo l’insegnamento fondamentale del marxismo sui compiti del proletariato rivoluzionario nei riguardi dello Stato.
Nella sua “Questione delle abitazioni” (1872) Engels parla di “Necessità dell’azione politica del proletariato e sua dittatura, come fase di transizione verso l’abolizione delle classi e, con esse, dello Stato”. Addirittura nella prefazione alla nuova edizione tedesca del “Manifesto” datata 24 giugno 1872 Marx e Engels esposero un emendamento al loro storico programma “oggi qua e là invecchiato”. “La Comune ha fornito la prova che la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente della macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini”.
Mentre nella prefazione alla ventesima edizione de “La guerra civile in Francia” di Marx, il 18 marzo 1891 ancora Engels sottolineava, riprendeva e approfondiva numerose questioni già toccate da Marx, mettendo in guardia i lavoratori dal non lasciarsi ingannare dalle apparenze: “Lo Stato non è che una macchina per l’oppressione di una classe da parte di un’altra, e ciò nella repubblica democratica non meno che nella monarchia”. Spiegando poi dettagliatamente che i limiti e gli errori della Comune che avevano finito per condurla alla sconfitta furono quelli dei blanquisti e dei proudhoniani che non osarono spezzare e distruggere lo Stato borghese, frenati com’erano dal “sacro rispetto” e dalla “devota soggezione” verso le sue istituzioni politiche ed economiche. Fino a soffermarsi sui compiti della rivoluzione socialista e i nuovi tratti dello Stato del proletariato tramite le misure adottate dalla Comune di Parigi: abolizione dell’esercito permanente e armamento generale del popolo, eleggibilità assoluta e revocabilità in ogni momento dei dirigenti statali amministrativi, giudiziari ed educativi da parte del popolo, l’eliminazione di ogni forma di carrierismo e di privilegio attraverso il pagamento di un salario medio operaio a tali dirigenti dai livelli più alti ai livelli più bassi, separazione della chiesa dallo Stato. “Il filisteo tedesco – aggiungeva Engels – recentemente si è sentito preso ancora una volta da un salutare terrore sentendo l’espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa fu la dittatura del proletariato”. E in polemica con gli anarchici proudhoniani ribadiva: “Non hanno mai visto una rivoluzione questi signori? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che ci sia; è l’atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all’altra parte per mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuol avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi inspirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?”
Insieme a quelli di Marx, gli scritti di Engels sullo Stato dei tempi della Comune e successivi, diventeranno la struttura portante dell’immortale opera di Lenin, “Stato e rivoluzione”, la più completa, penetrante, aggiornata e insuperata esposizione della dottrina marxista-leninista sulla questione dello Stato e dei compiti della rivoluzione socialista, scritta dall’artefice della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre alla sua immediata vigilia per lottare “contro i pregiudizi opportunistici sullo ‘Stato’”.
A partire proprio da “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” di Engels, tema di una sua lezione agli studenti sullo Stato tenuta all’Università Sverdlov di Mosca l’11 luglio 1919. Qui è espressa, in modo perfettamente chiaro, l’idea fondamentale del marxismo sulla funzione storica e sul significato dello Stato. “Lo Stato – scrive Engels - non è affatto una potenza imposta alla società dall'esterno e nemmeno 'la realtà dell'idea etica', 'l'immagine e la realtà della ragione', come sostiene Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta ad un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, nasce la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell' ordine; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato. Nei confronti dell'antica organizzazione gentilizia il primo segno distintivo dello Stato è la divisione dei cittadini secondo il territorio. (...) Il secondo punto è l'istituzione di una forza pubblica che non coincide più direttamente con la popolazione che organizza se stessa come potere armato. (...) Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. (...) Lo Stato non esiste dunque dall'eternità. (...) In un determinato grado dello sviluppo economico, necessariamente legato alla divisione della società in classi, proprio a causa di questa divisione, lo Stato è diventato una necessità. Ci avviciniamo ora, a rapidi passi, ad uno stadio di sviluppo della produzione in cui l'esistenza di queste classi non solo ha cessato di essere una necessità, ma diviene un ostacolo effettivo alla produzione. Perciò esse cadranno così ineluttabilmente come sono sorte. Con esse cadrà ineluttabilmente lo Stato. La società che riorganizza la produzione in base ad una libera ed uguale associazione di produttori, relega l'intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all'ascia di bronzo”.
 

3) La violenza rivoluzionaria
Nei suoi scritti Engels ha sempre e chiaramente considerata necessaria e storicamente necessitata la violenza rivoluzionaria, senza la quale mai si potrebbe scardinare e vincere il sistema capitalista borghese. Ne “L’ideologia tedesca” afferma chiaramente: “Nella misura in cui il proletariato accoglierà elementi socialisti e comunisti, le stragi, le vendette e il furore della rivoluzione diminuiranno. Per i suoi principi, il comunismo è al di sopra del conflitto tra borghesia e proletariato, giustificandolo storicamente nel presente, non per il futuro; esso sopprime tale conflitto ma riconosce, finché permane il conflitto di classe, che l’ostilità del proletariato verso i suoi oppressori è una necessità e rappresenta la leva più importante del movimento operaio al suo inizio; ma va oltre tale ostilità, perché il comunismo è la causa di tutta l’umanità, non solo della classe operaia”.
Mentre i tre capitoli dell'“Antidühring” e “Violenza ed economia nella formazione del nuovo Impero tedesco”, costituiscono un tutto inscindibile, una trattazione organica del problema della violenza nella storia, la cui conoscenza è basilare per una vera formazione marxista-leninista. Verso la fine del 1886 Engels progettò di pubblicare a parte i tre capitoli sulla “Teoria della violenza” e di aggiungere un nuovo capitolo, il quarto, che doveva esemplificare le tesi dei primi tre capitoli sulla base della storia della Germania dal 1848 al 1888 analizzata dal punto di vista della critica dell'“intera politica bismarckiana” . Titolo dell'opuscolo doveva essere: “Il ruolo della violenza nella storia”. Ma il progettato opuscolo non fu più pubblicato. Il testo del capitolo, rimasto incompiuto, insieme a vario materiale preparatorio fu ritrovato fra le carte di Engels dopo la sua morte.
“Per Dühring – scrive Engels - la violenza è il male assoluto, il primo atto di violenza è per lui il peccato originale, tutta la sua esposizione è una geremiade sul fatto che la violenza, questa potenza diabolica, ha infettato tutta la storia fino ad ora con la tabe del peccato originale, ed ha vergognosamente falsificato tutte le leggi naturali e sociali. Ma che la violenza abbia nella società ancora un'altra funzione, una funzione rivoluzionaria, che essa, seguendo le parole di Marx, sia la levatrice della vecchia società gravida di una nuova, che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della società, e che infrange forme politiche irrigidite e morte, di tutto questo in Dühring non si trova neanche una parola. Solo con sospiri e con gemiti egli ammette la possibilità che per abbattere l'economia dello sfruttamento sarà forse necessaria la violenza... purtroppo! Infatti ogni uso di violenza avvilisce colui che la usa. E questo di fronte all'elevato slancio morale e intellettuale che è stato il risultato di ogni rivoluzione vittoriosa! E questo in Germania, dove la violenta collisione, che potrebbe anche essere imposta al popolo, avrebbe almeno il vantaggio di estirpare lo spirito servile che, a causa dell'avvilimento conseguente alla guerra dei trent'anni, ha permeato la coscienza nazionale. E questa mentalità da predicatore, fiacca, insipida e impotente, ha la pretesa di imporsi al partito più rivoluzionario che la storia conosca?”
I revisionisti antichi e moderni sostengono che Engels negli ultimi mesi prima della sua morte abbia rinunciato alla lotta armata. Barano spudoratamente. Per sostenere le loro tesi, infatti, citano il testo (1895) del grande Maestro del proletariato internazionale sull’“Introduzione alla lotta di classe in Francia dal 1848 al 1850” di Marx, in cui erano stati artatamente soppressi o modificati dei brani, che furono trovati e pubblicati per la prima volta nel 1924 in URSS a cura dell’Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca. Leggendoli si capisce che per Engels la tattica per la presa del potere da parte del proletariato per via pacifica poteva andare bene in determinate condizioni e, comunque, non poteva avere un carattere universale.
Seppur nel periodo di massima espansione del partito socialdemocratico tedesco tra le masse, dei suoi successi elettorali, alle elezioni del febbraio 1890 si affermò come il partito più forte del Reichstag, Engels non rinnegò mai la violenza rivoluzionaria quale via maestra per la conquista del potere politico del proletariato. L’8 marzo 1895 rispondendo al dirigente del partito tedesco Richard Fischer che lo aveva implorato di togliere, nel succitato testo, il riferimento al ricorso alla lotta armata contro la borghesia, scriveva: “Io non posso supporre che voi abbiate intenzione di darvi anima e corpo alla assoluta legalità, alla legalità in ogni circostanza, alla legalità anche nei confronti delle leggi infrante da chi le ha fatte, in breve alla politica del porger la guancia sinistra a chi abbia colpito la destra… Io sono del parere che non ci guadagnate niente predicando la rinuncia assoluta a menar le mani. Crederlo, non lo crede nessuno: nessun partito in qualsiasi paese arriva a rinunciare al diritto di opporsi, armi alla mano, all’illegalità… Legalità fin quando e nella misura in cui ci conviene, ma nessuna legalità ad ogni costo, neanche a parole!”
Ma ancor prima che uscisse l’edizione in opuscolo della “Lotta di classe in Francia”, il 30 marzo 1895, apparve sul “Vorwaerts”, l’organo centrale della socialdemocrazia tedesca, un articolo di fondo titolato “Come si fanno oggi le rivoluzioni”, in cui, all’insaputa di Engels, venivano citati diversi brani della sua “Introduzione”, scelti in modo tale da farlo apparire, come egli si lamentò in una lettera a Karl Kautsky del 1° aprile “un pacifico sostenitore della legalità ad ogni costo”. Tanto che due giorni dopo ritornava sulla questione in una lettera a Paul Lafargue: “Liebknecht mi ha appena fatto un bello scherzo. Ha preso dalla mia introduzione agli articoli di Marx sulla Francia dal 1848 al 1850 tutto quanto poteva servirgli a sostegno della tattica ad ogni costo pacifica e contraria alla violenza che gli piace predicare da qualche tempo, e soprattutto in questo momento in cui a Berlino si preparano delle leggi repressive. Ma questa tattica io la raccomando solo per la Germania d’oggi e, anche qui, con considerevoli riserve. Alla Francia, al Belgio, all’Italia, all’Austria questa tattica non si adatta nella sua interezza e, per la Germania, può divenire inapplicabile domani”.
 

4) La famiglia
Grazie all’opera “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” scritta da Engels nel 1884, la più completa e fondamentale per capire la concezione marxista-leninista della famiglia e che conserva ancora oggi a 126 anni dalla sua stesura una straordinaria attualità e capacità di penetrare e svelare l’odierna realtà, noi marxisti-leninisti possiamo opporci ideologicamente al governo del trasformista liberale Conte, all’Unione europea e al papa che perorano la, restaurata ormai da anni, triade mussoliniana “dio-patria-famiglia”. Essa sintetizza e sistematizza ben quarant’anni di ricerche e analisi, di riflessione ed elaborazione attorno al problema della famiglia e a tutto ciò che gli è strettamente connesso, in primo luogo l’oppressione della donna e la questione della sua emancipazione.
Si tratta di uno dei più grandi contributi dati da Engels alla elaborazione del materialismo storico e alla concezione materialistica della famiglia, arricchita scientificamente delle ricerche dell’etnologo americano Lewis H. Morgan. Uno degli insegnamenti fondamentali che ci vengono qui da Engels è che la famiglia non è un’istituzione assoluta, sacra, eterna e immutabile, non è il frutto della naturale vocazione dell’essere umano, né tanto meno è ispirata e ordinata da un disegno divino. Essa non è sempre esistita, ma nasce, si sviluppa e si trasforma storicamente in base agli sviluppi e alle trasformazioni sociali e, in ultima istanza, è il riflesso della base economica di una determinata epoca storica. E la famiglia borghese è un caposaldo del sistema capitalistico.
Engels ci insegna che nel capitalismo la famiglia è uno strumento di oppressione delle masse femminili e chiarisce come la schiavitù e l’oppressione della donna nella famiglia e nella società non sono sempre esistite, ma che esse coincidono con l’avvento della famiglia monogamica: "La monogamia non appare in nessun modo, nella storia, come la riconciliazione di uomo e donna, e tanto meno come la forma più elevata di questa riconciliazione. Al contrario, essa appare come soggiogamento di un sesso da parte dell'altro, come proclamazione di un conflitto tra i sessi sin qui sconosciuto in tutta la preistoria. In un vecchio manoscritto inedito, elaborato da Marx e da me nel 1846, trovo scritto: 'La prima divisione del lavoro è quella tra l'uomo e la donna per la procreazione dei figli'. Ed oggi posso aggiungere: il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell'antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte di quello maschile".
L'aver svelato l'origine e le cause storiche, sociali ed economiche dell'oppressione femminile è uno dei più grandi meriti di Marx ed Engels. Solo così infatti essi poterono gettare le basi della concezione proletaria rivoluzionaria dell'emancipazione della donna che verrà poi ripresa e sviluppata da Lenin, e successivamente da Stalin e da Mao che l'applicarono per la prima volta nella società socialista.
Essi hanno chiarito che non la mancanza di parità formale fra uomo e donna è la causa dell'oppressione femminile, bensì la collocazione economica e sociale della donna entro il sistema capitalistico.
Secondo Engels, in una lettera del 1885, “la vera uguaglianza tra uomo e donna potrà diventare una realtà, ne sono convinto, solo quando lo sfruttamento di entrambi da parte del capitale sarà abolito e il lavoro privato in casa sarà trasformato in un’attività pubblica”.
"La moderna famiglia singola - chiarisce ancora Engels nell’“Origine della famiglia”- è fondata sulla schiavitù domestica della donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole. Al giorno d'oggi l'uomo, nella grande maggioranza dei casi, deve essere colui che guadagna, che alimenta la famiglia, per lo meno nelle classi abbienti; il che gli dà una posizione di comando che non ha bisogno di alcun privilegio giuridico straordinario. Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario. Nel mondo dell'industria lo specifico carattere dell'oppressione economica gravante sul proletariato, spicca in tutta la sua acutezza soltanto dopo che tutti i privilegi legali particolari della classe capitalistica sono stati eliminati, e dopo che la piena eguaglianza di diritti delle due classi è stata stabilita in sede giuridica. La repubblica democratica non elimina l'antagonismo tra le due classi: offre al contrario per prima il suo terreno di lotta. E così anche il carattere peculiare del dominio dell'uomo sulla donna nella famiglia moderna, e la necessità, nonché la maniera, di instaurare un'effettiva eguaglianza sociale dei due sessi, appariranno nella luce più cruda solo allorché entrambi saranno provvisti di diritti perfettamente eguali in sede giuridica. Apparirà allora che l'emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell'intero sesso femminile nella pubblica industria, e che ciò richiede a sua volta l'eliminazione della famiglia monogamica in quanto unità economica della società".
 

5) La situazione in Italia
Insieme a Marx, Engels ebbe sempre a cuore le sorti del proletariato italiano e un legame speciale lo univa al nostro Paese. Da giovanissimo aveva studiato l’italiano e si era impadronito della lingua durante un viaggio in Lombardia, dove apprese anche il dialetto, compiuto all’età di 21 anni. In tutta la sua vita fece tre viaggi in Italia visitando quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia.
Numerosi furono gli articoli scritti tra il 1848 e il 1860 sui quotidiani “Neue Rheinische Zeitung” e “New York Daily Tribune” relativi alla guerra d’indipendenza italiana e alla grande statura militare e eroismo di Garibaldi, a cui Marx e Engels non mancarono mai di far sentire la loro vicinanza rivoluzionaria.
In particolare Engels esortava il proletariato italiano a non farsi illusioni sull’alleanza con la borghesia, una volta che quest’ultima avesse ottenuto lo scopo della cacciata degli austriaci e della conquista dello Stato unitario. Per tutti citiamo quello apparso il 1° aprile 1849 sul quotidiano rivoluzionario di Colonia, che dirigeva insieme a Marx, sulla sconfitta dei piemontesi contro gli austriaci a Novara e dove espresse un concetto di fondamentale importanza sulla lotta dei popoli ripreso oltre un secolo dopo da Mao: “I piemontesi commisero fin dall’inizio un gravissimo errore contrapponendo agli austriaci soltanto un esercito regolare e volendo condurre una delle solite, oneste guerre borghesi. Un popolo che vuole conquistare la sua indipendenza non deve limitarsi ai soliti mezzi di guerra. Sollevazione di massa, guerra rivoluzionaria, guerriglia dappertutto, ecco l’unico mezzo con cui un piccolo popolo può vincere uno grande, e un esercito meno forte resistere contro un esercito più forte e meglio organizzato”.
Dal 1871, come Segretario corrispondente per l’Italia nel Consiglio generale della I Internazionale, Engels si dedicò con particolare sollecitudine alla situazione italiana, facendo ogni sforzo teorico, politico e organizzativo per favorire la nascita del Partito Operaio. A questo scopo dovette battersi strenuamente contro l’opportunismo di destra dei mazziniani e di “sinistra” degli anarchici bakuniniani. Fu una lotta lunga e tenace, resa particolarmente difficile dall’arretratezza della situazione italiana, con una classe operaia piccola e concentrata solo in alcune aree del Nord, un paese in larga parte ancora semifeudale e contadino, e con una borghesia pusillanime e opportunista, pronta al compromesso con le classi nobiliari e il papato.
E anche dopo la nascita del Partito Operaio italiano, nel 1882, che fu comunque un grande merito storico di Engels e della classe operaia italiana, il grande Maestro del proletariato internazionale era ben conscio dei pericoli rappresentati dalle tendenze borghesi presenti in seno al partito, tanto forte era l’ipoteca pacifista, riformista e revisionista posta sul futuro partito socialista italiano da opportunisti come Turati, Kuliscioff e Antonio Labriola. Engels rispose con infinita pazienza ai loro quesiti chiarendo ogni loro dubbio ed esprimendo preziose valutazioni sulla situazione politica italiana, indicando per grandi linee la strategia della rivoluzione socialista e i compiti del partito del proletariato. Era ormai diventato un faro per l’Italia.
Nella celebre “lettera” a Turati del 26 gennaio 1894, in realtà si trattò di uno scritto di Engels in risposta all’invito, rivolto da Anna Kuliscioff e Filippo Turati nella lettera del 19 gennaio 1894, a pronunciarsi sulla tattica del partito in relazione alla crisi rivoluzionaria che allora stava maturando nel paese, articolo che fu tradotto da Turati e pubblicato su “Critica Sociale” N.3 del 1° febbraio 1894 sotto il titolo redazionale “La futura rivoluzione italiana e il partito socialista”, il cofondatore del socialismo scientifico sembrava temere la sorte ingloriosa del partito socialista italiano e il futuro tradimento del suo gruppo dirigente. Egli, infatti si preoccupava che nel fronte unito con gli altri partiti democratici finalizzato a completare la rivoluzione democratico-borghese lasciata incompiuta dalla classe dominante dopo l’unificazione nazionale, il partito socialista si accontentasse dei vantaggi politici o sociali come il suffragio universale e le libertà di movimento e finisse per perdere la sua identità di classe e per smarrire la meta della “conquista del potere politico da parte del proletariato”. “Dopo la vittoria comune – scrive Engels a riguardo – potrebbe esserci offerto qualche seggio nel nuovo governo, ma sempre nella minoranza. QUESTO È IL PERICOLO PIÙ GRANDE. Dopo febbraio 1848 i democratici socialisti francesi (della Riforma, Ledru-Rollin, Luis Blanc, Flocon, ecc.) commisero l’errore di accettare cosiffatte cariche. Minoranza nel governo essi condivisero volontariamente la responsabilità di tutte le infamie e i tradimenti, di fronte alla classe operaia, commessi dalla maggioranza di repubblicani puri; mentre la presenza loro nel governo penalizzava completamente l’azione rivoluzionaria della classe lavoratrice che essi pretendevano rappresentare”.
Ora sappiamo che i suoi timori erano più che fondati, tanto che il PSI di Turati divenne un partito riformista e tradì la causa del socialismo, così come accadrà al PCI revisionista di Gramsci e Togliatti. C’è voluta la nascita del PMLI nel 1977, affinché si realizzasse finalmente in Italia l’obiettivo per cui si era battuto così tenacemente Engels, raccogliendo e tenendo ancora alta la rossa bandiera dei grandi Maestri del proletariato internazionale e del socialismo, accogliendo l’invito direttamente da Engels, che in una lettera a G. Trier del 18 dicembre 1889, affermava: “Il proletariato non può conquistare il potere politico, l’unica porta per entrare nella nuova società, senza una rivoluzione violenta. Perché il giorno decisivo il proletariato sia abbastanza forte per vincere è necessario – e questo Marx ed io l’abbiamo sostenuto fin dal 1847 – che si formi un partito specifico, separato da tutti gli altri ed a loro contrapposto, un partito di classe, cosciente di sé”.
 

6) Il socialismo
Il passaggio decisivo verso l'elaborazione di una concezione veramente scientifica della futura società socialista Engels lo compì nel suo scritto "Abbozzi per una critica dell'economia politica", scritto, con tutta probabilità, non più tardi del novembre 1843. Gli "Abbozzi" sono la prima specifica ricerca economica di Engels. E al tempo stesso, è questa la prima esperienza di analisi scientifica dell'economia politica borghese dalle posizioni della classe operaia rivoluzionaria. Tanto che "Negli ‘Abbozzi’ - secondo le parole di Marx, - erano già formulati alcuni principi generali del socialismo scientifico". Le acquisizioni scientifiche di questo lavoro furono condizionate dal fatto che ai problemi dell'economia politica Engels si accostò da un punto di vista conseguentemente dialettico e comunista. Qui figura la tesi fondamentale della necessità di distruggere la proprietà privata. E, con la distruzione della proprietà privata, scompaiono la contrapposizione degli interessi e la concorrenza. Al posto della concorrenza, come lotta di interessi contrapposti, si avrà la concorrenza più autentica, vale a dire l'emulazione. Per la prima volta in Engels appare qui il principio dell'infinito sviluppo in avvenire delle forze produttive: "La forza produttiva che si trova a disposizione dell’umanità è illimitata”.
Ma è con l’opera fondamentale “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza” che Engels ci prende per mano e ci fa rivivere in modo coinvolgente e vivace l’avvincente avventura che impegnò Marx e lui per strappare il socialismo dal limbo dell’utopismo e per radicarlo sulla base granitica della scienza. Si trattò di una gestazione e di un travaglio lunghi e difficili ma solo con essi poterono dar vita a quella meravigliosa creatura che chiamarono socialismo scientifico, sviluppatasi ininterrottamente nel tempo e nello spazio fino a noi e ai nostri giorni.
“Conseguentemente il socialismo appariva adesso – scrive Engels - non più come scoperta accidentale di questa o di quella testa geniale, ma come il risultato necessario della lotta tra due classi formatesi storicamente: il proletariato e la borghesia. Il suo compito non era più quello di approntare un sistema quanto più possibile perfetto della società, ma quello di indagare il processo storico economico da cui necessariamente erano sorte queste classi e il loro conflitto, e scoprire nella situazione economica così creata, il mezzo per la soluzione del conflitto. Ma con questa concezione materialistica era altrettanto incompatibile il socialismo che era esistito sino allora, quanto la concezione della natura del materialismo francese era incompatibile con la dialettica e con le moderne scienze naturali. Il socialismo precedente criticava, è vero, il vigente modo di produzione capitalistico e le sue conseguenze, ma non poteva darne una spiegazione né quindi venirne a capo: non poteva che respingerlo semplicemente come un male. Quanto più violentemente esso inveiva contro lo sfruttamento della classe operaia, inseparabile dal modo di produzione capitalistico, tanto meno era in grado di spiegare chiaramente in che cosa consista e come sorga questo sfruttamento. Si trattava invece da una parte di presentare questo modo di produzione capitalistico nel suo nesso storico e nella sua necessità nell'ambito di un determinato periodo storico, e quindi anche la necessità del suo tramonto, dall'altra, invece, di svelare anche il suo carattere interno, che ancora era rimasto celato. Questo si ebbe con la scoperta del plusvalore. Fu dimostrato che l'appropriazione di lavoro non pagato è la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico e dello sfruttamento dell'operaio che con esso viene compiuto; che il capitalista, anche se compra la forza lavoro del suo operaio secondo il pieno valore che essa, come merce, ha sul mercato, ne trae tuttavia un valore maggiore di quello che per essa ha pagato; e che in ultima analisi questo plusvalore costituisce la somma di valore per cui la massa di capitale continuamente crescente si accumula tra le mani delle classi possidenti. Il processo tanto della produzione capitalistica che della produzione del capitale era spiegato. Entrambe queste grandi scoperte: la concezione materialistica della storia e la rivelazione del segreto della produzione capitalistica mediante il plusvalore, le dobbiamo a Marx. Con queste due grandi scoperte il socialismo è diventato una scienza che ora occorre anzitutto elaborare ulteriormente in tutti i suoi particolari e nessi.”
Ed aggiungeva: “Compiere quest'azione di liberazione universale è la missione storica del proletariato moderno. Studiarne a fondo le condizioni storiche e conseguentemente la natura stessa e dare così alla classe, oggi oppressa e chiamata all'azione, la coscienza delle condizioni e della natura della sua propria azione è il compito del socialismo scientifico, espressione teorica del movimento proletario”.
Per trasformare il socialismo in una scienza era stato dunque necessario situarlo su di un terreno reale. Engels mostra qui in che modo si vennero a creare le oggettive premesse per fare ciò: sviluppo della grande industria, della lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, e della concezione materialistico-dialettica.
Ma in che cosa risiede la specifica distinzione del socialismo scientifico da quello utopistico? In primo luogo, la base teorica del socialismo scientifico sono: 1) il metodo dialettico, 2) la concezione materialistica della storia, e 3) la teoria del plusvalore. In secondo luogo, il socialismo scientifico è l'espressione teorica del movimento proletario , cioè esso esprime gli interessi del moderno proletariato industriale.
In terzo luogo, il socialismo scientifico è il prodotto specifico dell'epoca della grande industria, dato che in ogni altra epoca in cui non fossero ancora maturate le oggettive premesse materiali della trasformazione socialista della società esso sarebbe stato impossibile.
Un importante rilievo ha pure il II capitolo della terza sezione dell"'Antiduhring", nel quale Engels viene a chiarire la contraddizione fondamentale del capitalismo. Con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico tra il carattere sociale della produzione e la forma privata dell'appropriazione, di conseguenza, tra le nuove forze produttive e gli invecchiati rapporti di produzione, l'invecchiata forma di proprietà, che è propriamente quella privata, è sorta una contraddizione. E “in questa contraddizione, che conferisce al nuovo modo di produzione il suo carattere capitalistico, già si contengono in germe tutte le collisioni del presente”.
Ma in che cosa risiede la soluzione di questa contraddizione?
Lasciamo parlare sempre Engels: "Questa soluzione può consistere solo nel fatto che si riconosca in effetti la natura sociale delle moderne forze produttive e che quindi il modo di produzione, di appropriazione e di scambio sia messo in armonia con il carattere sociale dei mezzi di produzione. E questo può accadere solo a condizione che, apertamente e senza tergiversazioni, la società si impadronisca delle forze produttive le quali si sottraggono ad ogni altra direzione che non sia quella sua...
Quando le odierne forze produttive saranno considerate in questo modo, conformemente alla loro natura finalmente conosciuta, all'anarchia sociale della produzione subentrerà una regolamentazione socialmente pianificata della produzione, conforme ai bisogni sia della comunità che di ogni singolo. Così il modo di appropriazione capitalistico...verrà sostituito da un nuovo modo di appropriazione dei prodotti...: da una parte da un'appropriazione direttamente sociale come mezzo per mantenere ed allargare la produzione, e dall'altra da un'appropriazione direttamente individuale come mezzo di sussistenza e di godimento.
Trasformando in misura sempre crescente la grande maggioranza della popolazione in proletari, il modo di produzione capitalistico crea la forza che, pena la morte, è costretta a compiere questo rivolgimento...Il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. Ma con ciò stesso esso sopprime se stesso come proletariato, sopprime ogni differenza di classe e sopprime anche lo Stato come Stato... Quando lo Stato, infine, diventerà realmente il rappresentante dell'intera società, allora esso si renderà superfluo. Non appena non ci saranno più le classi sociali da mantenere nell'oppressione, non appena con l'eliminazione del dominio di classe e della lotta per l'esistenza individuale fondata sull'anarchia della produzione sinora esistente saranno eliminati anche le collisioni e gli eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà da reprimere più niente di ciò che rendeva necessaria una forza repressiva particolare, uno Stato”.
Due anni prima della morte, l'11 maggio 1893, egli così si espresse in una intervista concessa al giornale francese "Figaro", rispondendo alla domanda di quale fosse stato lo scopo finale dei socialisti tedeschi: "In noi non c'è alcuno scopo finale. Noi siamo sostenitori di uno sviluppo continuo e ininterrotto, e non ci siamo mai proposti di dettare all'umanità una qualsivoglia legge definitiva. Idee già pronte riguardo ai dettagli dell'organizzazione della futura società? In noi non ne troverete traccia. Noi saremo già soddisfatti quando ci riuscirà di trasferire i mezzi di produzione nelle mani dell'intera società".
Poi, agli inizi del 1894, il socialista italiano Giuseppe Canepa si rivolse a Engels con la richiesta di formulare in due parole l'idea principale della futura nuova era. E, nella sua lettera di risposta del 9 gennaio 1894, Engels scrive: "Formulare in poche parole l'idea della futura nuova era senza cadere nell'utopismo e in una vuota fraseologia è compito quasi irrealizzabile... Io non ho trovato niente di più adatto che la seguente frase del 'Manifesto comunista'...: 'Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e contrapposizioni di classe si avrà una associazione in cui il libero sviluppo di ognuno sarà condizione del libero sviluppo di tutti'".
 

Applichiamo gli insegnamenti di Engels
Marxisti-leninisti non si nasce ma si diventa, e non una volta per tutte, come se ricevessimo un battesimo, ma quotidianamente dando il massimo contributo personale alla vita e allo sviluppo del Partito, partecipando attivamente alla lotta di classe nelle sue tre principali manifestazioni, ossia in campo ideologico, politico ed economico, e infine rivoluzionarizzando in modo permanente la propria concezione del mondo per renderla sempre più consapevole e aderente alla concezione proletaria del mondo.
È grazie alla vita e all’opera di Engels, ai suoi insegnamenti, che i marxisti-leninisti possono apprendere le basi del materialismo dialettico e del materialismo storico, le nuove generazioni cominceranno a capovolgere le idee e le concezioni che la borghesia ha inoculato loro fin dai primi anni di vita attraverso la società, la famiglia, la scuola e l’intera sovrastruttura borghese, mentre le generazioni più anziane fortificheranno le loro convinzioni e si libereranno delle incrostazioni che inevitabilmente il tempo deposita nei loro cervelli e che devono periodicamente rimuovere attraverso lo studio.
Ciò avrà un effetto benefico e decisivo proprio nel curare lo studio accurato e approfondito dei problemi che trattiamo come Partito o come “il bolscevico” nei campi in cui siamo attualmente maggiormente impegnati, a partire dalla lotta al governo del dittatore antivirus Conte e a quelli locali, al fronte unito con le sinistre di opposizione e alle riunioni sindacali o assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti e di quelli che anelano la lotta di classe.
Il PMLI, anche sulla base della propria esperienza e della storia del proletariato italiano, è perfettamente consapevole, avendolo imparato da Engels e dagli altri Maestri, che non è sufficiente avere un partito con un marcato carattere di classe e rivoluzionario e dei militanti completamente votati alla causa, ma che è anche necessario che esso e i suoi membri posseggano una teoria rivoluzionaria che illumini il loro cammino. Per questo abbiamo lanciato tramite “Il Bolscevico” una campagna di studio sul materialismo dialettico e sul materialismo storico, convinti che se non ci ripuliremo la mente da ogni influenza della concezione del mondo borghese e non acquisiremo stabilmente la concezione del mondo proletaria, non è possibile pensare, vedere e valutare le cose, le contraddizioni e gli avvenimenti del mondo che ci circonda e agire in maniera scientifica, di classe e rivoluzionaria.
Anche gli insegnamenti di Engels sulla distruzione dello Stato borghese e la dittatura del proletariato, sulla violenza rivoluzionaria, sulla famiglia e sul socialismo sono più attuali che mai.
Prendiamo esempio da Engels e dai suoi insegnamenti per portare fino in fondo i nostri compiti rivoluzionari, dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso e aprire la strada per l’avvento dell’Italia unita, rossa e socialista. Essi hanno illuminato nel tempo le indicazioni politiche, ideologiche e organizzative del compagno Scuderi nel XXI secolo, a partire dalla prima delle tre cose fondamentali da tenere sempre a mente del dicembre 2000, per cui la cosa più importante per un marxista-leninista è avere una concezione proletaria del mondo, che si acquisisce solo studiando il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e applicandolo nella pratica, tenendo presente la realtà concreta in cui si opera. Senza di che è impossibile fare bene la lotta di classe e riportare delle vittorie per il proletariato, il Partito e il socialismo.
Concetto ribadito l’11 settembre 2016 nello storico discorso “Da Marx a Mao” per il 40° della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale, dove ci richiama al “dovere rivoluzionario di acquisire la concezione proletaria del mondo per liberarci completamente e totalmente dalla ideologia, dalla cultura, dalla morale, dalla politica e dalla pratica sociale borghesi; per rivoluzionarizzare integralmente la propria mentalità, coscienza, modo di pensare, di vivere e di agire conformemente al materialismo dialettico e al materialismo storico e mettendo al bando ogni forma di idealismo, di metafisica, di revisionismo e di riformismo; per dare dei contributi rivoluzionari e marxisti-leninisti qualificati alla costruzione del Partito e alla trasformazione dell’Italia in senso socialista”. Passando dall’indicazione condivisa e appoggiata dalla Sesta Sessione plenaria del 5° CC del PMLI del gennaio 2018, ancora non completamente attuata, di sedersi attorno a un tavolo per riflettere e mettere in pratica i tre elementi che costituiscono la parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi” e per ciascuno di essi stabilire cosa fare, tenendo presente la situazione concreta in cui si opera, le forze che disponiamo e il principio “più qualità e meno quantità”; per arrivare al magistrale Editoriale “Coronavirus e l’Italia del futuro” dell’aprile scorso per il 43° Anniversario della fondazione del PMLI, in cui invita le masse operaie e popolari nonché gli altri partiti con la bandiera rossa e la falce e il martello ad acquisire la cultura, la strategia, la tattica e l’esperienza che hanno consentito la vittoria del socialismo nella Russia di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao, armandosi della concezione proletaria e rivoluzionaria del mondo.
Nella prefazione all’edizione italiana del “Manifesto del Partito comunista” del 1893 Engels concludeva con queste parole: “Oggi come nel 1300, una nuova era storica si affaccia. L’Italia ci darà essa il nuovo Dante, che segni l’ora della nascita di questa era proletaria?” Il “nuovo Dante” c’è già dal 1977, esso è il PMLI che è orgoglioso di essere fedele a Engels, grande esempio di dedizione assoluta alla causa del proletariato, e si ispira a lui riconoscendosi nella sua grande fiducia verso la classe operaia italiana e nel futuro della rivoluzione socialista nel nostro Paese.
Per noi Engels è vivo, perché vivi e attuali sono i suoi insegnamenti. In Italia continuano a vivere nel Partito marxista-leninista italiano.
Come ebbe a scrivere nella “Circolare del Comitato centrale della Lega dei comunisti” del 9 giugno 1847, “Noi rappresentiamo una causa grande, splendida. Noi proclamiamo il più grande rivolgimento che sia mai stato proclamato nel mondo: un rivolgimento tanto più profondo, ricco di conseguenze, da non avere l’eguale in tutta la storia”.
Gloria eterna a Engels!
Teniamo alta la rossa bandiera di Engels!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
 
L’Ufficio politico del PMLI
 
Firenze, 7 Novembre 2020