Mentre i centri privati si stanno arricchendo sulle spalle delle masse
Via De Luca e De Magistris, responsabili dello sfascio della sanità pubblica in Campania

Redazione di Napoli
L’arroganza e la tracotanza di De Luca e l’indecisione e l’attendismo di De Magistris dinanzi alle manifestazioni che stanno inondando Napoli e Campania da giorni e giorni, in realtà nascondono l’inevitabile fallimento della sanità pubblica campana e napoletana con risultati che si vedono ormai a colpo d’occhio.
Il governatore ha ritenuto vestire la camicia nera con proclami mussoliniani contro le masse popolari come se fossero queste le vere responsabili dello sfascio che già in primavera, alla prima ondata Covid-19, stava emergendo in tutta la sua portata. “La Campania come simbolo di efficienza” e poi una regione messa a nudo con gli ospedali pubblici al collasso, mancanza cronica di infermieri e di medici, nessuna assistenza a centinaia di malati a casa, protocolli che nemmeno i medici di base riescono a decifrare.
L’episodio clou a inizio novembre, con la diffusione di un video-shock filmato da un degente del Pronto soccorso dell’Ospedale Cardarelli di Napoli che inquadrava un paziente senza vita all’interno di un bagno del nosocomio, lasciato solo e senza cure. De Luca si affrettava a dire che non si trattava di coronavirus e che avrebbe querelato il consulente del ministro della Salute, Walter Ricciardi, per le dichiarazioni durissime per cui in Campania ci sono ormai “scene da guerra che hanno reso necessario il lockdown” e, dunque, la scelta inevitabile della “zona rossa”.
Sabato 14 novembre giungeva il comunicato del Movimento DemA di De Magistris che dal proprio sito attaccava frontalmente De Luca e la sua politica sanitaria chiedendo al governo Conte il commissariamento della sanità in Campania, senza però chiedere le dimissioni del governatore. Si giungeva, poco dopo, allo scontro totale tra i due boss della “sinistra” borghese: uno squallido scaricabarile, con De Magistris reo di non aver chiuso il lungomare di Napoli né la zona della movida napoletana vicino al quartiere di Chiaia dove migliaia di giovani il fine settimana si riuniscono per bere e ballare. Tutte misure non adottate e che secondo De Luca avrebbero contribuito alla crescita del numero degli infetti da coronavirus: “ci sono sindaci che sono delle autentiche nullità che per anni hanno abbandonate a se stesse le loro città e non hanno alzato un dito per aiutare a contrastare la movida e la diffusione del virus”. Dall’annuncio di provvedimenti clamorosi, fino ad una ordinanza che ha dovuto ritirare “perché uguale a quella del governo e a quello deciso dal ministro Speranza”, ossia l’avvio della “zona rossa”.
Nessuna decisione dalla prima manifestazione del 23 ottobre da parte dell’ex magistrato che in questo periodo non sa più che pesci prendere per scaricare le sue responsabilità e le “soluzioni” che propone sono una più fallimentare dell’altra: rilanciare l’economia senza pagare il suolo pubblico, con i locali della movida che moltiplicavano sedie e tavolini e così l’assembramento tra giovani; l’avvio dei fantomatici monopattini elettrici per la mobilità, atteso che i trasporti dell’ANM vivono da tempo momenti disastrosi ai danni delle masse, con la conseguenza di scatenare proteste dei lavoratori del settore colpiti dal ridimensionamento e dalle scarse tutelate contro il Covid-19. Così li bollava De Magistris: “il loro è un attacco criminale, premeditato, da parte di addetti al servizio pubblico Anm”. I sindacati di categoria che hanno annunciato lo stato di agitazione.
Nulla sulla sanità, sulla chiusura degli ospedali storici del centro di Napoli, ma solo una nota nella quale De Magistris invita i napoletani “al rispetto delle buone prassi dichiarate dal Ministero della Salute nel suo decalogo” e a continuare a sovraffollare le zone del centro napoletano, quando i protocolli medici dicevano o facevano pensare proprio al contrario.
Una guerra che si sta riflettendo anche sulla questione politica del nuovo sindaco del capoluogo partenopeo che dovrebbe insediarsi fra poco più di 6 mesi. Al punto che vista la situazione sono dovuti intervenire due senatori, Paolo Siani (PD) e Sandro Ruotolo (PD, ma vicino a De Magistris), per dire a entrambi di finirla: “i ritardi e l’attuale situazione della sanità in Campania sono dovuti anche agli insulti reciproci: De Luca e De Magistris devono abbassare i toni. La zona rossa voluta dal ministro Speranza poteva essere seguita da altre restrizioni con ordinanze del governatore o del sindaco, cosa che non è avvenuta”.
La risposta è stata il silenzio per De Luca, richiamato anche dai vertici locali e nazionali a smetterla coi suoi proclami; dall’altra De Magistris ha utilizzato l’assessore ai giovani Alessandra Clemente, nipote di Ruotolo, per dare la sua risposta: “sono dichiarazioni assurde, è inaccettabile, inoltre, mettere sullo stesso piano De Luca con De Magistris”.
Poi, arrivava il ducetto Di Maio che cercava di entrare a gamba tesa nello scontro tra i due boss della Campania e proponeva l’invio dei militari in regione: “non si tratta di militarizzare, ma di usare eccellenze militari per supportare strutture andate oggettivamente sotto stress”. Nonostante la richiesta di militarizzare il perimetro campano fosse stata prerogativa proprio del governatore in camicia nera nei mesi del primo avvento del Covid-19, lo stesso respingeva al mittente la proposta, lasciando al dittatore Conte l’ultima parola.
Nel frattempo la rediviva CGIL partenopea denuncia in un comunicato del 15 novembre scorso che il nuovo “Ospedale del Mare” si è riempito senza limiti tanto da “essere saltata ogni forma di controllo” a causa di “una direzione sanitaria allo sbando, incapace di programmare: a pagare lo scotto è il personale sanitario e l’utenza”.
Sta di fatto che mentre si avvicina la data di conclusione del primo lockdown (3 dicembre) la Campania - dati ufficiali alla mano - ha 100mila positivi, seconda solo alla Lombardia; Caserta ha il 25% di tutta la regione; il piano tamponi ha fatto completamente flop perché non ha funzionato il numero di prenotazione e in molti si sono lamentati di non essere riusciti a fare il tampone. Per non parlare delle enormi speculazioni dei privati sulla questione non solo dei tamponi, ma dei test sierologici. Denunciate peraltro nella lettera del medico di famiglia Pasquale Persico indirizzata a De Luca, sui tamponi privati, in cui lo accusa di “non essersi nemmeno preoccupato di stabilire un prezzo politico per le varie tipologie di tamponi, con il risultato che i centri privati accreditati dettano legge sui prezzi. Il Covid non può essere occasione di indebito arricchimento per qualcuno”.

25 novembre 2020