Putin impone all'Armenia la pace in Nagorno-Karabakh
L'opposizione armena denuncia la “capitolazione”. Erdogan canta vittoria

 
Dopo un mese e mezzo di combattimenti, iniziati lo scorso 27 settembre, due tentativi falliti per una tregua umanitaria e uno scambio di prigionieri del 10 e del 17 ottobre e oltre 2 mila vittime delle quali moltissimi civili su entrambi in fronti, il governo armeno di Erevan e quello azero di Baku hanno firmato un accordo per la fine degli scontri lungo la frontiera e in Nagorno-Karabakh, la regione autonoma a maggioranza armena all'interno dell'Azerbaigian. Una intesa raggiunta con la mediazione di Mosca, o meglio imposta dal nuovo zar Putin in seguito a una intesa col presidente turco Erdogan, lo sponsor dell'attacco azero che riesce a riportare sotto il controllo di Baku le aree fra la regione autonoma e l'Armenia occupate nel precedente conflitto armato durato dal gennaio 1992 e al maggio 1994, dopo che la regione autonoma del Nagorno-Karabakh si era autoproclamata Repubblica dell'Artsakh.
L'accordo congela la situazione sul campo militare, nel momento in cui l'offensiva dell'esercito azero nel Nagorno-Karabakh era arrivata a conquistare la città di Shusha, abitata prima degli anni Novanta dall’80% di azeri, e a spingere Erevan a accettare la resa proposta da Mosca. Putin spiegava che Baku e Eravan sono “partner uguali” per il Cremlino e quindi gli armeni non potevano contare sui trattati di cooperazione militare con la Russia per difendersi dall'attacco.
Con l'imperialismo europeo rimasto a guardare e quello americano concentrato sulla parte finale della campagna elettorale, ha avuto vita facile quello russo nell'imporre una soluzione che dovrebbe rimettere le cose a posto e sotto il suo controllo nella provincia dell'impero, nella regione del Caucaso dove tra l'altro era stato l'alleato turco Erdogan a buttare benzina su una situazione rimasta aperta dopo il primo conflitto tra Armenia e Azerbaigian. L'iniziativa di Putin è stata accolta positivamente anche dall'altro alleato regionale, l'Iran, rimasto inizialmente su posizione neutrale mentre recentemente la Guida suprema, Ali Khamenei, dichiarava che l’Azerbaigian ha tutto il diritto di “liberare” i “territori occupati” dall’Armenia.
La dichiarazione firmata il 9 novembre dal presidente della Repubblica dell'Azerbaigian Ilham Aliev, dal Primo ministro della Repubblica d'Armenia Nikol Pashinian e dal Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin annunciava il
cessate il fuoco totale e la fine di tutte le attività militari nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh dalla mezzanotte del 10 novembre. Baku e Erevan si impegnavano a fermare i loro soldati sulle posizioni occupate in quel momento; l'Armenia avrebbe riconsegnato all'Azerbaigian il controllo delle regioni di Kelbajar e Agdam entro il 20 novembre e della regione di Lachin entro l'1 dicembre. La città di Shusha doveva passare sotto il controllo delle forze di pace inviate dalla Federazione Russa, assieme alla striscia di terra del Corridoio Lachin, largo 5 chilometri, che ritornerà a essere il collegamento del Nagorno-Karabakh con l'Armenia. Il contingente di pace della Federazione Russa, circa 2 mila soldati e diverse centinaia di automezzi, avrebbe preso il posto delle forze armate armene ritirate dalle tre regioni; la sua presenza è prevista per i prossimi 5 anni con una proroga automatica di altri 5 se accettata dalle parti. La dichiarazione prevede anche che entro tre anni sia realizzato un piano per la costruzione di una nuova via di comunicazione attraverso il corridoio di Latchin, per consolidare il collegamento tra il Nagorno-Karabakh e l'Armenia.
L'esercito armeno doveva lasciare le zone occupate nella prima guerra tra i due paesi, una decisione “incredibilmente dolorosa per me e per il nostro popolo” ma frutto di “un’attenta analisi militare” per il premier Pashinyan; una capitolazione, un tradimento per l'opposizione armena e una folla di manifestanti a Erevan assaltava il palazzo del governo e chiedeva le dimissioni del premier. Proteste anche a Stepanakert capitale dell'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh.
Un clima opposto, di festa in Azerbaigian per il riconoscimento della sovranità azera sui territori persi nei combattimenti degli anni '90. Anche Erdogan cantava vittoria per il successo dell'iniziativa promossa a favore di Baku dall'imperialismo turco, sempre più protagonista nella regione, confermava il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, ricordando che "continueremo a essere una nazione, un cuore con i nostri fratelli azeri".

25 novembre 2020