Scostamento di bilancio
Destra e sinistra borghesi unite per aiutare il capitalismo a uscire dalla crisi

A stragrande maggioranza, con 552 sì alla Camera e 287 al Senato, il 26 novembre il parlamento ha votato lo scostamento di bilancio da 8 miliardi chiesto dal governo per coprire i nuovi ristori resi necessari dalle ultime misure anticovid. Si tratta del quarto scostamento dall'inizio della pandemia, che porta il totale dell'extra debito a 108 miliardi, l'equivalente di cinque leggi finanziarie in 10 mesi, come alcuni hanno sottolineato. Quest'ultimo scostamento si era reso necessario per coprire i costi del decreto Ristori quater che è stato varato dal Consiglio dei ministri il 29 novembre, il quarto decreto ristori dopo i tre già approvati uno dietro l'altro in questa seconda ondata Covid, e destinato interamente ad aziende, partite Iva e lavoratori autonomi, con circa 5-6 miliardi per coprire il rinvio di 3-4 mesi di tutte le scadenze fiscali di novembre e dicembre, e il resto per sostenere alcune categorie di lavoratori autonomi rimasti esclusi dai tre precedenti decreti.
Il decreto Ristori quater prevede una proroga al 10 dicembre dei versamenti di Irpef, Ires e Irap in scadenza 30 novembre, per un totale di 1,7 miliardi. Ciò serve a dare il tempo a imprese, partite iva e professionisti fino a 50 milioni di fatturato annuo di valutare se nel 1° semestre 2020 hanno avuto un calo dei ricavi uguale o superiore al 33% rispetto allo stesso periodo del 2019, nel qual caso potranno beneficiare di un ulteriore rinvio di tutte le tasse, compresi 1,4 miliardi di contributi, al 30 aprile 2021. Dello stesso rinvio potranno usufruire tutte le attività che hanno subito chiusure nelle zone rosse, e i bar e ristoranti delle zone arancione, in questo caso a prescindere dal calo di fatturato.
Il provvedimento prevede inoltre il rinvio dal 10 dicembre 2020 al 1° marzo 2021 del pagamento delle 4 rate della rottamazione ter e delle 2 rate del saldo e stralcio, proroga che interessa 1,2 milioni di contribuenti per un totale di 950 milioni di euro. Sono sospesi anche tutti i provvedimenti esecutivi ai contribuenti che chiedono la rateizzazione del debito col fisco, e si potranno saltare fino a 10 rate senza decadere dal piano, anche retroattivamente. Nel decreto ci sono poi tutta una serie di ristori a sostegno di settori in difficoltà, come associazioni sportive, fiere e congressi, cultura e spettacoli, bus turistici, e un'indennità di 1.000 euro una tantum per addetti di turismo, terme e spettacolo, stagionali non del turismo, somministrati, a chiamata, venditori a domicilio, ecc. Il decreto verrà accorpato agli altri tre precedenti, e ne è stato annunciato un quinto a gennaio, con un altro scostamento di bilancio più corposo, che dovrebbe riguardare anche gli agenti di commercio.

L'appello di Mattarella a “operare nella stessa direzione”
Il voto sullo scostamento di bilancio, in casi di calamità o impreviste crisi emergenziali, è previsto dalla legge sull'obbligo di pareggio di bilancio introdotta con l'art. 81 della Costituzione, e richiede la maggioranza assoluta dei membri delle Camere. La differenza con le tre precedenti votazioni, che pure avevano visto i partiti del “centro-destra” votare a favore o astenersi in nome dell'emergenza, è prettamente politica perché stavolta c'è stata una vera e propria trattativa con la maggioranza di governo, trainata da Forza Italia di Berlusconi e conclusa con l'accoglimento nella risoluzione del governo delle condizioni poste dall'opposizione, fino ad arrivare al voto plebiscitario delle Camere, con espliciti richiami all'unità nazionale fortemente auspicata anche da Mattarella.
Alla vigilia del voto, parlando all'assemblea nazionale dell'Anci, l'associazione dei Comuni, il capo dello Stato, che da tempo non lesinava gli appelli alle istituzioni (governo, parlamento, Regioni) e alle forze politiche (maggioranza e opposizione) a collaborare per far fronte comune contro la pandemia, aveva lanciato infatti un ancor più accorato ammonimento a non cercare “illusori vantaggi di parte” ma creare al contrario “convergenze e collaborazione tra le forze di cui disponiamo perché operino nella stessa direzione”: un chiaro invito ad utilizzare il voto sullo scostamento di bilancio per dargli un significato di unità nazionale nel senso da lui auspicato, e così è stato.
In realtà le manovre che hanno portato a questo risultato erano cominciate da tempo, almeno da quando cioè la maggioranza aveva voluto inserire nel decreto Covid una clausola “salva Mediaset”, che contraddicendo il parere della stessa Corte europea e facendo l'ennesimo sfacciato regalo a Berlusconi, creava una barriera protettiva alle scalate alle sue aziende (contro la francese Vivendi, nella fattispecie), elevandole al rango di beni nazionali meritevoli di tutela. Provvedimento, fra l'altro, per nulla inviso al M5S, dato che il ministro per lo Sviluppo economico Patuanelli ne rivendicava la paternità e lo stesso Di Maio lo difendeva pubblicamente in quanto rispondente all'interesse nazionale.
 

Braccio di ferro tra Salvini e Berlusconi
Niente di più adatto a favorire il dialogo sotterraneo tra FI e il governo in vista del voto del 26, che al Senato si presentava assai problematico per la maggioranza, e difatti così veniva interpretato da Salvini e Meloni, che fino all'ultimo hanno cercato di impedire l'inciucio tra il loro alleato e il governo, fortemente perorato invece da Zingaretti. Salvini è arrivato perfino ad ostentare una prova di forza con Berlusconi per richiamarlo all'ordine: prima facendo votare ai suoi una pregiudiziale di costituzionalità contro l'emendamento “salva Mediaset”, cosa che ha indispettito non poco il suo alleato; poi sfilandogli tre deputati di FI che sono passati alla Lega (tra cui l'ex fedelissima Ravetto); infine lanciando la proposta di una federazione dei gruppi parlamentari della destra, Lega, Fi e FdI, ovviamente sotto la sua cappella.
Proposta quest'ultima rifiutata però seccamente da Berlusconi e che veniva accolta freddamente anche dalla Meloni. Alla fine, mentre gli emissari di Berlusconi continuavano a trattare col governo (in particolare Renato Brunetta col ministro Gualtieri e Gianni Letta con Di Maio, sulla base che tutti gli aiuti del “ristori quater” andassero ad autonomi, professionisti e partite iva), i tre leader dell'opposizione si accordavano faticosamente per l'astensione sullo scostamento di bilancio. Ma a poche ore dal voto, Gualtieri emetteva una nota del ministero dell'Economia in cui si riconosceva che “le proposte avanzate da alcune forze di opposizione, in particolare da Forza Italia, per incrementare il sostegno a lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, professionisti, sono da considerare favorevolmente, perché incrociano esigenze reali del Paese e riflettono anche la volontà politica espressa dalle forze della maggioranza e dal governo”. E in quest'ottica il governo si impegnava a rinviare le scadenze di fine anno per tutte le attività sottoposte a chiusura e a tutte quelle che hanno subito rilevanti cali di fatturato, nonché a confrontarsi per rivedere i criteri per la concessione dei ristori e per estenderli anche ai liberi professionisti.
Tanto bastava a Berlusconi per sfilarsi dalla stretta di Salvini e fargli sapere che FI avrebbe votato senz'altro sì allo scostamento, tanto più che Gualtieri aveva accolto anche la richiesta cara alla Lega di rinviare la scadenza della rottamazione ter e il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali, e quella di FdI di considerare i ristori alle attività sulla base del calo di fatturato e non delle chiusure. A quel punto a Salvini e Meloni, non potendo fare la figura di chi si mette contro un decreto ristori da 8 miliardi destinato al loro elettorato di riferimento, non restava che fare buon viso a cattivo gioco e presentarsi insieme a Berlusconi in conferenza stampa per annunciare il sì del “centro-destra unito”.
 

Il rientro in gioco del pregiudicato Berlusconi
La differenziazione tra FI e gli altri due alleati è continuata comunque anche nel dibattito in aula. Infatti gli interventi di Lega e FdI non facevano altro che insistere sulla presunta contrapposizione tra i “garantiti” (i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato e i pensionati) e i “non garantiti” (autonomi, partite iva, professionisti, ovviamente per ergersi ad unici difensori di questi ultimi, dimenticati e trascurati invece dal governo); sull'alzare la posta chiedendo non il rinvio ma la cancellazione di tutte le tasse fino al 2022; e sul presentare il loro sì non come un'apertura al governo ma come una capitolazione di quest'ultimo alle giuste istanze unitarie del “centro-destra”.
Invece l'intervento di Brunetta, pur partendo sempre dalla contrapposizione demagogica “garantiti-non garantiti”, ha dato atto a Gualtieri e al governo di aver risposto all'appello di Berlusconi e lavorato per “rimediare a questa frattura”. E ha concluso con un appello ai suoi alleati affinché questo voto segni addirittura l'inizio di una collaborazione anche per il futuro, nel segno auspicato da Mattarella: “Questo è il tema! Io sogno, auspico, oggi che tutto il centrodestra unito dica di sì a questa apertura, segnando non tanto una fase nuova per questi otto miliardi, ma segnando una fase nuova per il futuro, una fase nuova per il futuro... presidente Mattarella, presidente Berlusconi, oggi viene questa risposta, potrebbe venire questa risposta!”, ha esclamato infatti l'economista craxiano ed ex ministro della Funzione pubblica nell'annunciare il voto a favore di FI.
L'intervento di Brunetta, oltre a distinguere Forza Italia dai suoi alleati come forza “antipopulista”, più “responsabile” e democraticamente “affidabile” di essi, è servito anche a rimarcare pubblicamente il rientro in gioco di Berlusconi, dopo che con la sua consunzione elettorale, l'egemonia nella destra dell'aspirante duce Salvini e persino l'ascesa recente della ducetta Meloni, sembrava politicamente finito. Ha capito che in mancanza di meglio Mattarella conta anche su di lui, un pregiudicato e un impresentabile, per tenere in piedi questo traballante governo fino alla fine della legislatura, e forse anche per mettere in sicurezza l'elezione del suo successore dalle grinfie di Salvini e Meloni.
 

“Un segnale anche per i prossimi delicati passaggi”
Messaggio più che ricevuto dalla maggioranza, che non ha mancato di salutare il voto plebiscitario come una “svolta” e rimarcare il contributo di Berlusconi. A cominciare dallo stesso Conte, che in un comunicato della presidenza del Consiglio
lo definisce “un ottimo segnale” che fa prevalere nell'opposizione “la via del dialogo e di un approccio costruttivo”, ringraziando il pregiudicato di Arcore che l'ha “voluta perseguire sin dall'inizio, con determinazione ma sempre nella chiarezza dei ruoli”: “Auspico che questo clima di confronto e di dialogo possa accompagnare anche i prossimi, delicati passaggi che dovremo affrontare per uscire da questo periodo di emergenza”, ha concluso il premier raccogliendo l'offerta di Brunetta.
Anche per il segretario PD Zingaretti quella del 26 novembre è stata “una giornata importante per l'Italia”: un'Italia “che si unisce”, ha sottolineato compiaciuto. E persino Di Maio, pur affrettandosi a precisare che ciò non significa ipotizzare nuove maggioranze (cosa smentita frettolosamente anche da Conte, Zingaretti e dallo stesso Berlusconi), ha esaltato il voto come un “grande segnale di unità e lealtà costituzionale”.
Staremo a vedere se questo sarà un caso isolato o aprirà a ulteriori e più organici inciuci tra destra e sinistra borghesi. Intanto però si può senz'altro dire che questo voto dimostra la comune volontà della destra e della sinistra borghesi ad unirsi per aiutare il capitalismo ad uscire dalla crisi, a dimostrazione che entrambe sono al suo superiore servizio, al di là delle differenze tattiche ed elettoralistiche che sfoggiano per procacciarsi i voti per governare.

2 dicembre 2020