Nuove stragi di migranti in mare
Creato un Comitato per difendere il diritto di soccorso in mare

 
Dal febbraio scorso la pandemia da Coronavirus ha egemonizzato ogni dibattito pubblico, ogni testata giornalistica di regime, ogni notizia di punta nei telegiornali, come se tutto il resto non importasse o meglio non esistesse. Nella scorsa estate, quando i contagi e conseguentemente i ricoveri, le terapie intensive e le morti erano ai minimi, i media hanno ripreso ad occuparsi anche dei migranti e delle loro tragiche sorti, ma l'hanno fatto esclusivamente per riavviare quella proposta all'opinione pubblica che li vede come un rischio ed una minaccia, non solo “legale” o criminale, ma anche sanitaria.
Invece in mare si continua a morire quanto prima poiché la povertà, la miseria e la necessità di trovare un futuro che possa dirsi migliore, non conoscono “pandemie”, ed anche perché nei paesi poveri il Coronavirus è una patologia, potenzialmente mortale, come ve ne sono tante che mietono vittime da sempre.
La differenza principale è che adesso nel Mediterraneo si muore sotto silenzio, con stragi degnate di pochi trafiletti che finiscono nelle ultime pagine dei quotidiani, e che non trovano spazio in alcun dibattito pubblico.
 

Fondato il Comitato in difesa del soccorso in mare
Ma il tema non è scomparso dalle agende delle ONG, così come da quelle degli organismi antirazzisti e progressisti che rigettano con forza che sia messo in discussione addirittura il principio di “soccorso in mare”.
Luigi Manconi, presidente del neo costituito “Comitato per il Soccorso in Mare”, ha spiegato ai membri della Commissione Affari Costituzionali che questo principio “per noi costituisce un fondamento di civiltà giuridica e la base costitutiva di tutti gli altri diritti, mentre oggi viene svalutato e sottoposto ad attacchi che lo rendono assimilabile a un comportamento illegale e sanzionato anche penalmente”.
Con questa finalità, otto organizzazioni non governative Sea Watch, Proactiva Open Arms, Medici senza frontiere, Mediterranea, Saving Humans, Sos Mediterranée, Emergency e ResQ, hanno dato vita al Comitato al quale hanno aderito anche le ONG Aita Mari e Sea Eye, così come molte personalità di spicco del fronte costituzionalista, giuristi e docenti universitari. L'obiettivo dichiarato è quello di “tutelare moralmente” l’attività di salvataggio attraverso un’opera di difesa giuridica informata e autorevole, oltre che a contribuire al formarsi, nell’opinione pubblica italiana ed europea, di un costante orientamento di sostegno all’attività di salvataggio in mare, che solleciti gli interventi in questo senso degli Stati.
In sostanza il soccorso in mare dovrebbe essere inteso dall'opinione pubblica come un dovere per chi soccorre, ma anche un diritto a chi è soccorso.
Il tentativo del comitato è anche quello di coinvolgere tutti coloro che svolgono attività nel Mediterraneo, navi mercantili e pescherecci compresi, in collaborazione con la Guardia Costiera e le ONG stesse, affinché siano gli Stati e le loro strutture ad assumere integralmente il compito di soccorso, come vorrebbe il diritto internazionale.
 

La criminalizzazione delle ONG e l'accusa ai governi europei
Il giurista Luigi Ferrajoli, aderente al Comitato, ha tuonato: “Le stragi del mare saranno ricordate come una colpa imperdonabile, perché potevano essere evitate”, ed ha ragione.
L'opera di denigrazione dei primi operatori di soccorso nel Mediterraneo, le ONG, è iniziata nel 2016 quando il governo Renzi ed il suo nero ministro degli Interni Marco Minniti hanno iniziato a mettere l'immigrazione al centro di tutto il dibattito politico, scimmiottando la destra, ed additando il fenomeno degli sbarchi come un rischio e non come la diretta conseguenza di decenni di oppressione, guerre, colonizzazione e sfruttamento – intensificata in quel momento dall'avvio della sedicente guerra all'ISIS – degli imperialismi occidentali, in combinata con i sauditi e con la Russia di Putin.
È così che per favorire i decreti Minniti sull'immigrazione, il governo Renzi a braccetto con l'opposizione fascioleghista non perse l'occasione per additare sospetti sulle attività delle ONG, addossando loro pubblicamente la responsabilità di essere in combutta con i trafficanti di uomini e con la criminale guardia costiera libica, istruita e attrezzata – è bene ricordare - dallo stesso governo italiano, già impegnato inoltre a blindare le frontiere marittime italiane.
Tutt'oggi le ONG si trovano al centro di un’aggressiva campagna di delegittimazione del loro ruolo, ostacolate in ogni modo, sottoposte a continue pressioni e a numerose inchieste giudiziarie, finite tutte senza alcun esito penale, ed oggetto di svariati provvedimenti da parte delle autorità italiane, spesso in collaborazione con altri stati membri UE e con le istituzioni europee.
Nel documento fondativo del Comitato si leggono infatti pesanti denunce ai governi italiani che si sono succeduti, per aver fatto pressioni per richiedere il ritiro della bandiera alle navi di soccorso, per aver introdotto il divieto di accesso alle acque territoriali e ai porti italiani per le navi delle Ong con relative sanzioni economiche ed anche per il ricorso sproporzionato ad attività di controllo ispettivo, incluso il frequente sequestro amministrativo delle navi dopo ogni sbarco.
L'isolamento delle ONG è continuato poi senza sosta, così come l'arretramento progressivo degli Stati dal dovere di soccorrere chi si trova in difficoltà; ma d'altra parte questi erano i contenuti del nuovo quadro normativo dei Decreti sicurezza di Salvini, nati dalle ceneri dei precedenti targati Minniti, e che sono ancora in vigore nonostante il cambio di facciata del governo Conte appoggiato dalla nuova maggioranza 5 Stelle e PD.
Insomma, una offensiva di carattere legale ma anche culturale che ha provocato gravi danni alla reputazione delle ONG e del soccorso marittimo in generale; una campagna bipartisan che ha finito per compromettere irrimediabilmente la percezione positiva che, negli anni precedenti, una parte significativa dell’opinione pubblica aveva mostrato nei loro confronti.
Oggi, per questi motivi, spicca nel “manifesto” del Comitato la critica diretta a tutti gli Stati europei, ma in particolare all'Italia, secondo la quale “La protezione delle frontiere meridionali dell'Europa diventa il valore supremo (…) il soccorso in mare viene assimilato a una attività criminale da interdire, contestare e penalizzare”
Marco Bertotto, responsabile advocacy di Medici senza frontiere, rilancia: “Siamo stupiti come di fronte al ripetersi dei naufragi la risposta delle autorità sia il boicottaggio delle ONG, ma degli obblighi previsti dalle convenzioni internazionali per gli Stati costieri non si fa mai parola. È una dissimmetria che dovrebbe indignare tutti”.
 

Il salto di qualità degli antirazzisti
Noi appoggiamo l'iniziativa, soprattutto per la volontà educativa culturale di massa che essa si propone non tanto nei confronti delle ONG private che pur svolgono un ruolo oggettivamente essenziale e lodevole, quanto verso il concetto di immigrazione e le cause che la scatenano in ogni angolo del mondo; pensiamo perciò che il salto di qualità che sono chiamati a fare gli antirazzisti di tutto il mondo sia quello di identificare nel capitalismo e nell'imperialismo i cancri da estirpare poiché la pratica è lì a dimostrarcelo. Va compreso che solo un radicale cambiamento della società potrà risolvere definitivamente questo enorme problema.
Al contrario, perdurando il capitalismo e la sua fase suprema – come la definiva Lenin – dell'imperialismo, nonostante tutti gli sforzi, si potrà solo mettere toppe, parziali, riducendo solo una piccola parte degli effetti di questi disastri umani, sociali e culturali nei quali pagano come sempre i più poveri ed emarginati del pianeta.

2 dicembre 2020