Sostenute dall' USB
Lavoratrici Venchi lottano contro i licenziamenti mascherati da trasferimenti

Dieci dipendenti, tutte donne, della Venchi sono state di fatto licenziate. Venchi è una storica azienda (fondata 142 anni fa) nota in tutto il mondo per la cioccolata (gianduiotti, cremini, gelati) che nel 2019 ha fatturato circa 100 milioni di euro. Ha 115 punti vendita nel mondo, spesso collocati in stazioni, e aeroporti delle principali metropoli di 70 paesi: da Londra a New York, da Berlino a Dubai, da Pechino a Shangai. Il suo centro rimane comunque Roma e solo nello scalo di Fiumicino ha tre punti vendita, uno per ogni terminal.
Con il calo dei voli aerei a causa del Covid sono andate in crisi anche le attività collaterali e la Venchi ha deciso di chiudere uno dei suoi punti vendita “a fronte del perdurare della crisi sanitaria e la totale assenza di traffico passeggeri per un periodo non più sostenibile”. L'azienda ha detto di aver fatto tutto il possibile, ma “non essendo purtroppo prevista alcuna forma di cassa integrazione a fronte della chiusura dell’attività, l'unica soluzione è stata quella di proporre ai dipendenti il trasferimento presso altri negozi del Gruppo in Italia”.
Praticamente ha trasferito le dipendenti a 600 chilometri di distanza, in punti vendita del Nord Italia; da Piacenza a Torino, da Padova a Vicenza. Un licenziamento mascherato perché a questo equivale la proposta di spostarsi da Roma in queste città a chi guadagna mille euro al mese, quasi tutte mamme lavoratrici con forti carichi familiari. “Un modo per aggirare il blocco che il governo ha prorogato fino al 21 marzo”, denuncia Elena Casagrande, combattiva delegata Usb.
Lo stesso sindacato denuncia che “Venchi potrebbe continuare a usufruire della cassa integrazione in deroga, come per gli altri negozi, ma non ha cercato alcuna soluzione alternativa”, e fa notare che le lavoratrici al centro del braccio di ferro sono le uniche sindacalizzate e con una vertenza aperta: già da due anni portavano avanti assieme a USB una battaglia contro la Venchi per dei ricorsi sull’utilizzo illegittimo del part-time, tanto che il 3 novembre l’azienda le aveva chiamate per una “proposta conciliativa”.
La Casagrande mette in luce la malafede dell'azienda perché “hanno gli ammortizzatori per scavallare la fase di crisi, inoltre hanno altre 8 attività tra Roma e Fiumicino, quindi poteva essere facile ricollocarle sul territorio”. Un ulteriore colpo all'occupazione femminile che in questa ultima crisi legata al Covid-19 ha coinvolto, come evidenziano i dati statistici, sopratutto le donne.
Ma quella di Fiumicino è un’area commerciale già colpita da anni di sfruttamento, da condizioni salariali minime con part-time obbligatori e incertezza costante del mantenimento dell’occupazione. Il contratto di lavoro a tempo indeterminato di lavoratrici e lavoratori dell’area commerciale è infatti legato alle concessioni dell’attività da parte del gestore Aeroporti di Roma. Ogni volta che uno spazio va in gara i lavoratori non sanno quindi se verranno licenziati per cambio concessione oppure potranno continuare a lavorare.
Un sistema agghiacciante a cui cercano di opporsi le lavoratrici e i lavoratori, organizzati e sostenuti da alcuni sindacati di base, tra cui USB, che da 20 anni portano avanti la battaglia per una clausola di salvaguardia dell’occupazione che preveda che il cambio gestione garantisca la continuità lavorativa per i dipendenti.
Intanto le lavoratrici Venchi non si danno per vinte, hanno scritto anche una lettera a Mattarella e sono riuscite a far smuovere alcuni deputati e il comune di Fiumicino che hanno chiamato in causa la ministra del lavoro Nunzia Catalfo. Venerdì 27 novembre invece al grido di “trasferimento è uguale a licenziamento” hanno organizzato un presidio di protesta davanti al terminal tre dell'aeroporto della capitale.

2 dicembre 2020