Battaglia all'interno del governo per il controllo dei servizi segreti
Conte si tiene stretto Vecchione

Nonostante l'emergenza pandemia e nonostante i sempre più forti segnali di crisi nella maggioranza, la guerra nel governo per il controllo dei servizi segreti non conosce soste, e in particolare si sta rafforzando la presa di Giuseppe Conte su questo strumento strategico del potere politico. Sono due infatti le mosse che il presidente del Consiglio ha fatto ultimamente a questo scopo: la prima, stoppata per il momento dai suoi avversari, è il tentativo di creare di soppiatto, inserendolo nelle pieghe della legge di Bilancio, l'Istituto italiano di cybersicurezza (ICC), un nuovo organo posto direttamente sotto il suo controllo per tramite del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza diretto dal fedelissimo Gennaro Vecchione. La seconda è la riconferma per altri due anni dello stesso Vecchione a capo del Dis – organismo che, ricordiamolo, fa capo alla presidenza del Consiglio e coordina le due Agenzie di informazione per la sicurezza in cui sono divisi i servizi segreti, quella esterna (Aise) e quella interna (Aisi) - il cui mandato scadeva il 10 dicembre.
La norma che creava l'Istituto per la cybersicurezza, poi stralciata a causa della forte opposizione dentro e fuori la maggioranza, era stata inserita nella manovra di fine anno senza aver informato preventivamente il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, come la prassi avrebbe richiesto per un passaggio così delicato. Semplicemente Conte aveva scritto al comitato informandolo della decisione già presa; decisione non comunicata, fra l'altro, neanche alle Agenzie di informazione Aise e Aisi.
 

Una Fondazione oscura in mano al premier
Secondo il testo dell'articolo 104 della manovra che la istituiva, la Fondazione ICC nasceva con funzioni, scopi e direzione alquanto vaghi e nebulosi. Si parlava di “pianificare, promuovere e supportare iniziative e progetti” per la protezione dei programmi e delle reti informatiche, “in coerenza con la strategia nazionale di sicurezza cibernetica”. Di “supportare le istituzioni nazionali competenti” in questa materia, nonché di “instaurare rapporti con omologhi enti in Italia e all'estero”, anche stipulando accordi “con soggetti pubblici e privati”, partecipando a società e promuovendone la costituzione di nuove, e così via. Un campo di intervento, quindi, vastissimo e dai contorni piuttosto oscuri e indefiniti, dove oltretutto non è chiaro quando finisce l'interesse pubblico e comincia quello privato.
Altrettanto inquietante risultava la struttura dirigenziale del nuovo organismo, che tra i “membri fondatori” elencava il premier, “che per le attività attuative” si avvale del Dis, i ministri facenti parte del Cisr (il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica composto dai ministri di Esteri, Interno, Difesa, Giustizia, Economia e Sviluppo economico), il ministro dell'Università e ricerca e l'eventuale Autorità per la cybersicurezza, ove istituita. Inoltre, approvato con dpcm su proposta del direttore generale del Dis e sentito il Cisr, sarebbe stato nominato “un commissario unico” con tutti i poteri “dell'organo monocratico” fino all'approvazione dello statuto e degli organi da esso previsti. Alla Fondazione, finanziata da “apporti dei membri fondatori” e da “ulteriori apporti di soggetti pubblici e privati”, la norma inserita nella legge di Bilancio assegnava poi la bellezza di 210 milioni di finanziamenti statali distribuiti dal 2021 al 2024; che in una seconda bozza, dopo le prime proteste, si riducevano a 10 per il solo 2021, senza fare cenno agli anni successivi.
Per tutti questi motivi, a cui si aggiunge quello che una fondazione così delineata attribuisce un ruolo operativo inedito al Dis e si scontra con la legge 124 del 2007 istitutiva dell'attuale assetto dei servizi, nella parte in cui dispone che “le funzioni attribuite al Dis, Aise e Aisi non possono essere svolte da nessun altro ente”, il blitz di Conte ha scatenato proteste sia all'interno della compagine di governo, rinfocolando la guerra sotterranea per il controllo dei servizi segreti, sia all'esterno provocando le proteste del Copasir presieduto dal leghista Volpe, con i testa i tre partiti del “centro-destra, Lega, FdI e FI a soffiare sul fuoco.
 

Forti proteste dentro e fuori il governo
Pur essendo un non meglio precisato organismo governativo per la cybersicurezza previsto da un decreto di tre anni fa di Gentiloni, le ministre renziane Bellanova e Bonetti avevano espresso in cdm la loro contrarietà ad inserire la norma nella manovra, sostenendo che non era quella la sede giusta per discuterne. In questo caso anche il PD faceva muro con IV, con il suo capo delegazione Franceschini che faceva diplomaticamente notare a Conte come, trattandosi di materia delicata, richiedeva “un supplemento di riflessione” per arrivare in parlamento “con una maggioranza compatta”. Il ministro della Difesa Guerini esprimeva a sua volta forti perplessità, chiedendo di “non accelerare e confrontarci”. E anche il capogruppo PD alla Camera, Delrio, osservava seccamente che “sulla cybersicurezza senza il parere positivo del Copasir non si deve procedere”.
Da tempo infatti il PD e Zingaretti lamentano un eccessivo protagonismo del premier, e soprattutto assistono con preoccupazione alla sua occupazione di tutte le caselle di potere, in particolare quelle dei servizi segreti dei quali reclamano anch'essi, tramite Guerini e Minniti, la loro parte. Tra le forze di governo soltanto il M5S, per bocca del sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, esprimeva la sua soddisfazione per l'iniziativa della presidenza del Consiglio.
Alla fine, rimasto praticamente isolato, Conte ha capito l'antifona e ha accettato di stralciare il provvedimento dalla manovra, ma ciò non significa che non possa rifarsi avanti più in là, ripresentandolo nel maxiemendamento di fine anno, o magari nella solita legge milleproroghe. Anche perché non è la prima volta che il dittatore antivirus tenta di far passare surrettiziamente sue “riforme” ad hoc dei servizi segreti inserendole in provvedimenti ordinari di tutt'altro genere. Si pensi alla norma inserita nel decreto legge n. 83 del 30 luglio scorso che prorogava lo stato di emergenza fino al 15 ottobre, con la quale Conte si è attribuito il potere di rinnovare le cariche dei capi del Dis, di Aise e Aisi “con successivi provvedimenti per una durata massima complessiva di ulteriori quattro anni”, norma che infrange la legge 124/2007 concedendogli una totale discrezionalità nel nominare tali dirigenti anche per brevi periodi, limitandone così fortemente l'autonomia nei confronti di Palazzo Chigi.
È proprio in base a questa norma surrettizia che Conte il 24 novembre ha rinnovato per altri due anni l'incarico a Vecchione a capo del Dis, un istituto che aveva avuto in passato poteri limitati, ma che con Conte ha assunto via via un ruolo di sempre maggiore rilevanza, affidato ad un suo uomo di stretta fiducia come il generale di divisione delle fiamme gialle fin dal suo insediamento a palazzo Chigi nel 2018 con il governo Lega-M5S.
 

La proroga di Vecchione e la partita delle altre nomine
Da notare che secondo la prassi le prerogative di Palazzo Chigi sugli apparati di sicurezza venivano normalmente gestite attraverso la delega a un sottosegretario, comprese le nomine dei loro dirigenti. Invece Conte ha preteso e ottenuto di tenersi stretta la delega ai servizi quando ci furono le trattative col PD per la formazione del governo col M5S. Certo ciò era dettato anche dal bisogno di coprirsi le spalle dalle possibili conseguenze dell'affare Mifsud, ma da allora non ha più mollato la presa sui servizi, e anzi ha rafforzato il suo controllo, resistendo alle pressioni e alle manovre per strapparglielo sia da parte di Di Maio che di Zingaretti. Ingaggiando soprattutto con il primo una lotta sorda ma senza esclusione di colpi, come quando lo scorso 2 settembre fu costretto a mettere il voto di fiducia per far passare indenne il decreto di proroga dello stato di emergenza che conteneva la norma sul rinnovo per più volte dei dirigenti dei servizi, minacciata di cancellazione da un emendamento di una cinquantina di deputati M5S dietro il quale si sospettava esserci la mano del ministro degli Esteri.
La proroga di Vecchione al Dis segna un altro punto a suo favore, ma la guerra si sposterà adesso sulle altre cariche da rinnovare, tra cui le due vicedirezioni dell'Aise, una vicedirezione dell'Aisi e la vicedirezione del Dis: ricordiamo a questo proposito che Conte non ha mai rinunciato del tutto al progetto di portare in qualche modo al Dis o in altro posto vacante lo spione, fin dai tempi del Sismi di Pollari e del caso Abu Omar, nonché dello spionaggio illegale Telecom, Marco Mancini, stoppato finora solo dal veto di Mattarella. Inoltre è ancora tutta da decidere la partita della nomina al comando generale dell'arma dei carabinieri, essendo in scadenza il mandato non prorogabile del generale Nistri. E qui Conte dovrà vedersela faccia a faccia con Di Maio, che per quella carica sponsorizza il generale di corpo d'armata dei cc Angelo Agovino, da lui già voluto a vicedirettore dell'Aise dall'estate 2019.
In conclusione è sempre più evidente come Conte si stia blindando a Palazzo Chigi e tenda ad allargare fin che gli è possibile la sua dittatura antivirus anche attraverso il controllo sempre più diretto e sempre più stretto dei servizi segreti, dopo averli già enormemente aumentati con la normativa d'emergenza che ha fortemente ridotto la democrazia borghese e i diritti costituzionali.

9 dicembre 2020