Ultimatum di Renzi a Conte. O fai come ti dico io o è crisi di governo
I Galli del pollaio del capitalismo si beccano per la supremazia
Il proletariato e le masse sfruttate e oppresse devono spazzar via questo pollaio

 

Giovedì 17 dicembre si è svolto a Palazzo Chigi l'atteso incontro tra Giuseppe Conte e la delegazione di Italia Viva guidata da Matteo Renzi, nel quadro della cosiddetta verifica di governo per provare a sventare il pericolo di una crisi, pericolo innescato dallo stesso Renzi col suo durissimo intervento del 9 dicembre in Senato contro il premier.

Più che un incontro, durato infatti solo 40 minuti, si è trattato della consegna di un ultimatum, quasi un preavviso di sfratto all'inquilino di Palazzo Chigi da parte del leader di IV, che gli ha consegnato una lunga lettera contenente tutta una serie di condizioni e richieste “ineludibili” per non staccare la spina al governo, dandogli tempo fino all'Epifania per la risposta. A Conte, che aveva provato ad invocare debolmente e senza ricevere risposta un accomodamento, perché “la maggioranza non può cadere così, in una fase così delicata”, non è restato altro da fare che prenderne atto, facendo annunciare in un comunicato che l'incontro era stato “franco e cordiale” e che avrebbe fatto un altro giro di incontri con i partiti della maggioranza (attualmente in corso) per poi arrivare ad una sintesi in un vertice coi loro leader prima della scadenza fissata da Renzi.
Come siamo arrivati a questa situazione quasi da capolinea per il governo trasformista e liberale Conte per mano del suo stesso ideatore, qual è il piano politico di quest'ultimo e quali le posizioni delle altre forze in campo? La crisi era esplosa nel vertice di governo del 5 dicembre, con i ministri Gualtieri e Patuanelli e i capigruppo parlamentari della maggioranza, quando Conte aveva presentato loro, per l'approvazione, una bozza del Recovery plan , ossia del piano di gestione dei 209 miliardi europei destinati all'Italia, provocando l'uscita per protesta dei due rappresentati di IV, Rosato e Boschi.
 

L'attacco di Renzi sul Recovery plan e sui servizi segreti
Il piano, anticipato da Conte in un'intervista al direttore de La Repubblica , prevedeva una gestione piramidale dei fondi, con al vertice una “cabina di regia” formata dallo stesso Conte e dai ministri dell'Economia e dello Sviluppo economico, a cui rispondeva direttamente una struttura “tecnica” diretta da 6 grandi manager, uno per ogni “missione” o macro area di destinazione dei fondi, che potevano avere a loro volta alle dipendenze fino a 50 tecnici, per un totale di ben 300 elementi.
Una struttura elefantiaca, ma soprattutto una sorta di governo parallelo nelle mani del premier per controllare personalmente la gestione dei fondi e la realizzazione del piano, esautorando i ministeri competenti e le altre istituzioni a partire dal parlamento, regioni e comuni. Anche perché i sei super manager avrebbero avuto poteri in deroga amplissimi, liberi da qualsiasi vincolo eccetto il codice penale e le regole antimafia, e in caso di ritardi e inadempienze anche con poteri sostitutivi rispetto a ministeri, regioni e comuni: sul modello del super commissario per il ponte di Genova, insomma.
Era l'occasione attesa da Renzi per sferrare l'attacco a Conte prendendolo in fallo: “Il futuro dell’Italia dei prossimi vent’anni non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino di Palazzo Chigi”, andava ripetendo ad ogni intervista e dichiarazione Renzi, per raccogliere anche i malumori che da tempo serpeggiavano nei partiti della coalizione. In particolare quelli del PD per l'atteggiamento del premier da “uomo solo al comando” e il suo continuo rinvio dei dossier più scottanti, anche per non urtare il M5S in piena crisi di identità e di leadership, come l'utilizzo del Mes sanitario e la legge elettorale.
Perciò non soltanto Renzi contestava duramente al premier in Senato un accentramento eccessivo di potere, facendosi paladino (proprio lui!) dei diritti dei ministri, del parlamento, delle regioni, dei comuni e perfino dei sindacati estromessi dalla gestione del Recovery plan , e denunciando anche l'esiguità delle risorse destinate alla sanità e al turismo (rispettivamente solo 9 e 3 miliardi); ma puntava anche il dito sul progetto di Conte di rafforzare il suo controllo sui servizi segreti tramite una Fondazione per la cybersicurezza da lui presieduta, avvertendolo che se fosse stata inserita nella legge di Bilancio, magari insieme alla bozza di Recovery , come il premier aveva ventilato, IV non avrebbe votato la legge, staccando la spina al governo.
 

Il gioco al rialzo di Renzi con Conte
Un attacco senza precedenti, non a caso applaudito ripetutamente dai banchi della destra, e con i complimenti personali di Salvini, che delegittimava Conte proprio alla vigilia del Summit europeo dei capi di Stato e di governo del 10 e 11 dicembre. E, come se non bastasse, il giorno stesso che Conte si recava a Bruxelles col cappello in mano per ricevere il via libera ai 209 miliardi capestro della UE, Renzi lo delegittimava ulteriormente con un'intervista di risonanza internazionale al quotidiano spagnolo El Pais , in cui si dichiarava pronto a far cadere il governo: “Se vuole i pieni poteri come li chiese Salvini io dico no. In quel caso ritireremo l'appoggio al governo”, mandava a dire al premier, che pure era partito promettendogli che appena tornato avrebbe avviato una verifica di governo, dicendosi disposto a ridiscutere la bozza di Recovery e a rimandare la Fondazione per la Cybersicurezza ad un apposito decreto.
Nei giorni successivi Renzi continuava a tenere alta la tensione con ripetute interviste e dichiarazioni, rimarcando che stavolta sarebbe “andato fino in fondo”, e minacciando di ritirare le due ministre di IV, Elena Bonetti e Teresa Bellanova dal governo, provocandone perciò la caduta; e arrivando perfino a disertare l'incontro già fissato con Conte per il 15, con la scusa di un impegno della ministra dell'Agricoltura a Bruxelles. Nei suoi calcoli il PD avrebbe dovuto spalleggiarlo, ed in effetti stavolta Zingaretti non aveva fatto quadrato come sempre attorno a Conte, ma aveva chiesto anch'esso che il governo non cercasse di “tirare a campare”. Tuttavia nell'incontro della verifica di governo non si era avventurato oltre a chiedere al premier un “rilancio dell'azione di governo”.
Ciononostante Renzi alzava ulteriormente la posta, e la mattina stessa della nuova convocazione a Palazzo Chigi, con l'ennesimo sberleffo istituzionale a Conte, pubblicava sulla sua pagina Facebook (lui che accusa sempre il premier di fare troppi annunci sui social) la lettera-ultimatum ancor prima di consegnarla nelle sue mani. Una lettera in cui non si chiedeva solo lo stop alla Fondazione e alla struttura di comando del Recovery , ma zeppa anche di accuse - come per la fallimentare gestione dei trasporti e della scuola - e di altre richieste ultimative, come l'utilizzo dei soldi del Mes per la sanità (ben sapendo che su di esso c'è il veto dei 5 Stelle), lo sblocco dei cantieri e altre misure economiche prese di peso dal catalogo del falco confindustriale Bonomi, una riforma della giustizia “garantista” di stampo berlusconiano, il suo vecchio cavallo di battaglia del monocameralismo, e così via.
 

I troppi galli del pollaio
Fino alla verifica il gioco di Conte era abbastanza chiaro: restare in sella per tutta la legislatura, approfittando dell'emergenza covid e del Recovery plan che rendono pressoché impossibile il voto anticipato, continuando a rafforzare la sua dittatura antivirus e a rimandare tutte le richieste del PD invise al M5S, galleggiando come un equilibrista sopra le loro contraddizioni. Intanto si sarebbe costruito la sua lista elettorale per le prossime politiche, o magari sarebbe stato il M5S a chiamarlo alla sua testa. Ora però Renzi lo ha messo con le spalle al muro e qualcosa dovrà cedere, quantomeno sulla gestione dei soldi europei.
Anche la posizione di Zingaretti è abbastanza chiara. Non vuole le elezioni anticipate ma non sopporta più la strategia accentratrice e dilatoria di Conte, e per questo fino ad un certo punto ha lasciato campo libero all'offensiva di Renzi. Facendo sapere al premier che è l'ora di cedere la delega ai servizi segreti, che il PD rivendica per sé, così come non tollera più altri rinvii sulla legge elettorale ed altri dossier ancora aperti. Neanche Di Maio si è scomposto più di tanto per l'attacco di Renzi a Conte, anche se a parole ha difeso il premier e definito “surreale” l'idea di una crisi di governo in questo momento. In realtà anche lui vede in questa verifica l'opportunità di un riequilibrio delle forze a suo vantaggio nei confronti di chi considera pur sempre un suo rivale nella competizione per l'egemonia politica su un M5S ormai frantumato in correnti. Quanto a LeU la sua unica preoccupazione è di salvare questo governo a prescindere.
Ma Renzi? Dove vuole arrivare con simili richieste impossibili da accettare in blocco per Conte? Stando alle sue mosse e dichiarazioni sembrerebbe puntare dritto alla crisi di governo, nella convinzione che Mattarella non voglia sciogliere le Camere e che si possa trovare un'altra maggioranza per un governo di “unità nazionale” o simile, magari guidato da Mario Draghi, che non a caso ha citato all'inizio della sua lettera-ultimatum. E ancora non a caso Renzi ha intensificato il gioco di sponda con Berlusconi e Salvini per esplorare questo scenario alternativo. Anche Salvini, convinto che ormai il voto anticipato è pressoché impossibile, e spinto soprattutto da Giorgetti impegnato a riaccreditare la Lega in Europa con la sua recente visita al governo della Baviera, sarebbe infatti interessato a questo gioco; tanto che più volte, con il compiacimento di Berlusconi, si è spinto a vagheggiare un governo “tecnico” o “ponte” per traghettare il Paese fino alle elezioni, guidato da Draghi o perfino dallo stesso Giorgetti. Salvo poi, dopo le energiche tirate d'orecchi della ducetta Meloni, aggiustare il tiro e ripiegare su un governo del “centro-destra” sorretto dai voti di IV e di fuoriusciti dal M5S, guidato da Giulio Tremonti, da Giulio Sapelli o sempre da Giorgetti.
 

Un nauseante spettacolo da pollaio capitalista
Ma Renzi ha dimostrato di essere anche un incallito bluffatore, e non potendo ignorare che Mattarella ben difficilmente potrebbe accettare un governo con forze antieuropeiste mentre è in corso la delicata partita del Recovery plan con la Ue, potrebbe fermarsi sull'orlo del burrone accontentandosi di incassare un maggior potere, come minimo sulla gestione e i soldi del Recovery , e forse anche qualche posto in più nella coalizione di governo, attribuendosi inoltre la vittoria politica di aver ridimensionato a nome di tutti lo strapotere di Conte. Di certo da par suo, in una coalizione di governo sempre più litigiosa e barcollante, si è attribuito il ruolo ricattatorio del Ghino di Tacco di craxiana memoria e intende esercitarlo senza il minimo scrupolo, cercando di trarne il massimo vantaggio politico e mediatico senza preoccuparsi troppo delle conseguenze.
Resta il fatto che questo spettacolo di galli del pollaio del capitalismo che si beccano per la supremazia politica e per la gestione clientelare degli ingenti fondi europei a beneficio delle rispettive consorterie capitaliste di riferimento, è quanto di più nauseante da vedere, mentre il Paese sta soffrendo la peggiore crisi del dopoguerra, con la sanità pubblica al collasso e centinaia di morti ogni giorno, e mentre oltre mezzo milione di persone hanno già perso il lavoro e le masse lavoratrici e popolari si stanno impoverendo paurosamente.
Ciò conferma che nel sistema capitalista, quale che sia il partito o la coalizione di partiti che lo compongono, il governo è sempre al servizio della classe dominante borghese e delle ambizioni personali dei suoi leader politici. Che i lavoratori e le masse popolari non possono perciò contare che sulla lotta di classe, restando fermamente all'opposizione dei governi della destra e della “sinistra” borghesi per farli cadere, compreso l'attuale governo del dittatore antivirus Conte, se vogliono conquistare più diritti e migliori condizioni di vita, di lavoro e di salute. E che solo spazzando via il pollaio del capitalismo, per conquistare il socialismo e il potere politico del proletariato, possono liberarsi dallo sfruttamento capitalista, dalla miseria e dal fascismo.


23 dicembre 2020