Oltre 70 associazioni e comitati criticano e decidono di non sottoscrivere il documento varato dalla giunta regionale dell’Emilia-Romagna
Respingiamo il “Nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima”
Legare la battaglia per la difesa dell'ambiente a quella contro il capitalismo per il socialismo

Dal corrispondente dell'Emilia-Romagna
Il 14 dicembre la giunta regionale dell’Emilia-Romagna, guidata dal PD Stefano Bonaccini, che è anche il presidente della Conferenza delle Regioni, ha varato il “Nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima”: “Per noi un'occasione storica, abbiamo la possibilità inedita di poter decidere cosa fare, quanto investire, dove, in un'azione condivisa... per sostenere la ripartenza dell’Emilia-Romagna e porre basi forti e concrete a uno sviluppo sostenibile, equo, veloce, semplificato”.
Così lo ha presentato pomposamente Bonaccini, “un’occasione storica sprecata” così la giudichiamo noi, ma non solo viste le critiche che ha suscitato fin dalla sua presentazione ad agosto durante il “confronto con tutte le forze economiche, sociali, associazioni d’impresa, professioni, enti locali, organizzazioni sindacali e di categoria”. “Un Patto che sottolinea un nuovo e maggiore ruolo delle città e dei territori nella ricostruzione di un nuovo sviluppo, basato su buona sanità, pubblica e per tutti, con un forte rilievo dei saperi e delle competenze, stili di vita e consumi più sostenibili, centralità della scuola, digitalizzazione. Uno sviluppo equo, attento al contrasto delle diseguaglianze, una transizione ecologica che punti sul capitale umano e metta al centro il lavoro e il clima”. Così Bonaccini assieme all’assessore allo Sviluppo e lavoro Vincenzo Colla, già firmatario nel 2015 di un “Patto per il lavoro” ma in qualità di Segretario regionale della Cgil sempre con Bonaccini anche allora presidente della Regione, il cui “obiettivo strategico è tornare agli indicatori economici pre covid entro il 2022”, a Elly Shlein eletta nelle file di “Emilia-Romagna Coraggiosa” (Sinistra italiana, Articolo 1-MDP, ecc.) e assessore al contrasto alle diseguaglianze e transizione ecologica, che parla di “lavoro di qualità” in una regione dove il lavoro precario (dai lavoratori della logistica a quelli dell’agricoltura, da quelli delle consegne agli Steward negli ospedali, ecc.), è un lavoro sottopagato, precario e con sempre meno diritti, e all’assessore al bilancio Paolo Calvano che punta a “rendere più celere la Pubblica amministrazione e trasformarla in un alleato di cittadini e imprese, e non una controparte”.
L’obiettivo dichiarato è quello di dotarsi degli strumenti necessari a garantire la ripresa economica il più velocemente possibile (“potremmo rimontare prima di altre aree”) appena sarà sconfitto il Covid-19, evidentemente liberandosi di lacci e lacciuoli costituiti dai diritti dei lavoratori e dal rispetto del patrimonio ambientale in ogni suo aspetto, ad di là delle enunciazioni, vuote e fuorvianti, con i quali il capitalismo usa imbellettare i suoi provvedimenti antipopolari.
A pensarla diversamente le oltre 70 associazioni e comitati dell’Emilia-Romagna che affrontano le stringenti tematiche dell’emergenza climatica e del rapido esaurimento delle risorse naturali e i cui obiettivi principali sono quelli di trasformare l’Emilia-Romagna in una regione il cui fabbisogno energetico sia totalmente fondato su energie rinnovabili entro il 2030 e di arrivare a portarne le emissioni a zero entro il 2050 di un territorio che attualmente consuma già il +330% delle risorse disponibili.
La Rete ha partecipato agli incontri con gli esponenti della giunta regionale nel confronto partito dopo la presentazione della bozza e, in seguito ad esso, ha deciso di non sottoscriverlo denunciando come, in particolare, i principi in essa enunciati siano contraddetti nella sostanza sia dai provvedimenti sinora intrapresi dalla giunta e da quelli da essa annunciati, come ad esempio il progetto di Eni, sostenuto da governo e regione, di “stoccaggio” di CO2 a Ravenna che va a prolungare l’utilizzo dei combustibili fossili.
La Rete, che ha anche incontrato Cgil, Cisl e Uil (che invece il Patto lo hanno sottoscritto) per esporre le proprie posizioni e rivendicazioni alla ricerca di un fronte comune per il lavoro eco-sostenibile, ha “apprezzato che la Regione abbia ritenuto di coinvolgere una rete nuova che cerca di dar voce alle istanze della società, ma non è disponibile ad accettare compromessi che non siano coerenti con gli obiettivi”. Obiettivi che “non sono supportati da interventi concreti e programmati per cui risultano del tutto insufficienti a garantire un futuro vivibile, e prestano ancora il fianco al ricatto occupazionale il quale contrapponendo lavoro e ambiente ha prodotto un’economia orientata unicamente al profitto e responsabile della più grave crisi climatica e ambientale mai vista”. “Occorre abbandonare i piani estrattivi che favoriscono l’utilizzo di fonti energetiche climalteranti (carbone, petrolio e gas, biomasse, termovalorizzatori, idrogeno da fossili) e incentivare le comunità energetiche, la microproduzione e microdistribuzione di rinnovabili. Dobbiamo rivedere i modelli di produzione alimentare (agroindustriale e allevamenti), che sono la seconda causa di cambiamenti climatici. Servono forti investimenti su mobilità pubblica e dolce, una rete ciclistica regionale efficiente su modello delle più evolute città europee, incentivi alla mobilità elettrica, e abbandonare progressivamente la motorizzazione a scoppio. Dobbiamo salvaguardare il patrimonio naturale, le risorse idriche e la loro gestione, che deve tornare ad essere pubblica. Per tutto questo occorrono tempi certi e obiettivi intermedi, con l’applicazione di indicatori differenti dal PIL, che non sempre racconta la verità sul benessere e la vivibilità di un territorio”, denunciando anche come “Una Regione Emilia Romagna che propone l’autonomia differenziata o si candida a ospitare le Olimpiadi non può portare avanti un’azione credibile verso i suoi cittadini che attendono azioni concrete a partire da subito e non l’ennesima operazione di marketing politico senza un corredo solido e coerente di attuazioni”.
Per i marxisti-leninisti è evidente che la battaglia per l’ambiente non può rimanere imprigionata in questo modello economico che mette in secondo piano l'ambiente stesso, il clima, l’inquinamento e la salute pubblica, rispetto agli interessi privati dei colossi multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti poiché, perdurando il capitalismo, si ripeteranno nella sostanza e magari con tendenze alterne in base allo sviluppo delle mobilitazioni e delle lotte che le popolazioni saranno in grado di imbastire, gli accordi di Parigi o poco più, pomposi ma di facciata, poiché inutili e inapplicati, e mai risolutivi.
È illusorio continuare a sperare che i governi regionali, nazionali e continentali, che non sono altro che organi di emanazione legislativa di coloro che in realtà detengono il potere (grandi banche d’affari e multinazionali dell’energia), si scaglino veramente contro i propri finanziatori.
Occorre battersi con forza per una riconversione energetica reale a partire dalla non più rimandabile riduzione drastica delle fonti fossili e del gas e, soprattutto, dalla eliminazione delle multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti che si appropriano, con la complicità dei governi, di risorse di tutti, riducendole a merce quale esclusivo mezzo di profitto, al contempo però occorre battersi contro il capitalismo perché perdurando questo sistema sarà impossibile sradicare la radice del problema, ossia la proprietà privata dei mezzi di produzione, solo col socialismo sarà possibile pianificare realmente l’economia in base alle esigenze delle masse lavoratrici e popolari e nel rispetto dell’ecosistema.

23 dicembre 2020