Alle urne solo il 31% dell'elettorato venezuelano
Maduro, sempre più spostato a destra, conquista la maggioranza dei voti. Usa e Ue non riconoscono le elezioni

 
La coalizione di partiti che sosteneva il presidente Nicolás Maduro, il Grande Polo Patriottico Bolivariano, con oltre due terzi dei voti validi ha ottenuto la maggioranza nella nuova Assemblea Nazionale del Venezuela che torna sotto il controllo dei partiti governativi per i prossimi cinque anni. Non è però una vittoria piena per il governo di Caracas perché la tornata elettorale del 6 dicembre è stata segnata anche da una forte diserzione dalle urne, ha partecipato solo il 31% dell'elettorato, e da un costante calo di consensi popolari al presidente Maduro.
Secondo i dati comunicati dal Consiglio elettorale nazionale di Caracas l’alleanza del Grande Polo Patriottico ha ottenuto 3.558.320 voti, il 67,6% dei voti validi, e avrà la maggioranza tra i 227 deputati dell'Assemblea nazionale per i prossimi cinque anni; al secondo posto l’alleanza tra Azione Democratica, Copei, El Cambio, Avanzata Progressista, la coalizione di alcuni partiti dell''opposizione che non aveva aderito al boicottaggio del voto delle formazioni maggiori, ha ottenuto 944.665 voti, il 17,95%. Seguono l’alleanza Venezuela Unita che ha ottenuto 220.502 voti, il 4,19%; il Partito Comunista del Venezuela (PCV) 143.917 voti, pari al 2,73% e altre formazioni minori. La somma dei consensi riportati dalle varie formazioni arriva a un totale di circa 5,5 milioni di voti rispetto ai quasi 20 milioni di aventi diritto, con una percentuale stimata attorno al 31% dalla presidente della Commissione elettorale.
Maduro ha sottolineato che “il popolo ha eletto i suoi nuovi deputati, abbiamo avuto una gigantesca vittoria elettorale”, e ha annunciato che la nuova Assemblea nazionale eletta il 6 dicembre sarà insediata il prossimo 5 gennaio. Se non altro può mettere in soffitta la vecchia assemblea che per cinque anni è stata dominata dall'opposizione e manovrata dall'imperialismo americano.
Ma deve scontare una perdita di consensi che va dai 7,6 milioni di voti che gli permisero nelle elezioni presidenziali del 14 aprile 2013, dopo la morte di Chavez, di battere il candidato della destra Henrique Capriles, arrivato comunque a oltre 7,3 milioni di voti, e dare il via al suo primo mandato, ai 6,2 milioni di voti che lo confermarono alla presidenza nel 2018 nelle elezioni boicottate dalla destra. Il punto più basso raggiunto finora dalla coalizione a sostegno di Maduro era stato raggiunto coi 5,6 milioni di voti ottenuti nelle elezioni politiche del 2015, che consegnarono l'assemblea nelle mani dell'opposizione coi suoi 7,7 milioni di voti. L'ultimo dato del 6 dicembre scorso si ferma a 3,5 milioni di voti, meno della metà del 2013.
L’opposizione guidata dall'ex presidente del parlamento, il golpista Juan Guaidó, ha cercato di prendersi il merito del successo del boicottaggio delle urne, che ha solo in minima parte, e ha gioito quando Usa e Ue non hanno riconosciuto le elezioni, continuando a seguire quella inaccettabile linea imperialista che tra sanzioni economiche, appoggio ai tentativi golpisti e minacce di intervento diretto vorrebbe un Venezuela in ginocchio di fronte ai propri diktat.
Il presidente Maduro resiste ma con una politica del suo governo sempre più spostata a destra deve registrare una sempre più consistente e politicamente pesante perdita di consensi delle masse popolari. Una politica sempre più a vantaggio della borghesia che ha appoggiato la rivoluzione bolivariana che ha sollevato significative critiche delle formazioni alla sinistra del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), il partito di Maduro, anche di quelle che appoggiano il governo di Caracas, come nel caso del varo lo scorso 8 ottobre della Legge antiblocco, definita una pericolosa apertura sulla strada della liquidazione delle risorse del paese, della privatizzazione delle imprese statali, della cessione dell’industria petrolifera al capitale transnazionale e per la concentrazione del potere nell’esecutivo.

23 dicembre 2020