Atto di accusa del procuratore di Roma
Regeni sequestrato, torturato e ucciso dai servizi segreti egiziani
Ma il governo Conte continua a fare affari d'oro anche militari col boia Al Sisi
Richiamare l'ambasciatore italiano al Cairo

 
Lo scorso 10 dicembre la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha svolto l'audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta, e del sostituto procuratore, Sergio Colaiocco, i quali hanno esposto i contenuti dell'atto conclusivo delle indagini preliminari a carico di quattro ufficiali egiziani accusati dell'omicidio del giovane ricercatore italiano, catturato e torturato a morte dalla National Security egiziana dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016.
Sono infatti quattro gli appartenenti ai servizi segreti del Cairo nei confronti dei quali la Procura di Roma ritiene comprovate le responsabilità in merito alla morte di Regeni, mentre per un quinto indagato è stata chiesta l’archiviazione, con accuse, a seconda delle posizioni, che vanno dal sequestro di persona pluriaggravato, al concorso in omicidio aggravato fino al concorso in lesioni personali aggravate.
“Per l’omicidio di Giulio Regeni - ha affermato Prestipino durante l'audizione - si svolgerà un solo processo e si svolgerà in Italia con le garanzie procedurali dei nostri codici”
Dalla ricostruzione del procuratore e del suo sostituto emergono terribili torture e sevizie inferte a Regeni con oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni che gli provocarono, come si legge nell'atto di conclusione delle indagini, “acute sofferenze fisiche” che lo portarono lentamente alla morte. I magistrati romani scrivono nell'atto conclusivo delle indagini di violenze perpetrate per “motivi abietti e futili e con crudeltà” che hanno provocato “la perdita permanente di più organi”: il giovane, scrivono, è stato seviziato “con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni attraverso strumenti affilati e taglienti”, un trattamento che gli ha provocato “numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori”.
A rischiare di finire a processo dinanzi alla Corte di Assise di Roma sono il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Uhsam Helmi, e infine il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, mentre è stata chiesta l’archiviazione per l'ufficiale Mahmoud Najem, nei cui confronti non sono stati raccolti elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio.
Il maggiore Abdelal Sharif è ritenuto il carceriere nonché l'esecutore materiale delle torture che avrebbero poi condotto alla morte il giovane Regeni, e ciò in base alle deposizioni di cinque testimoni acquisite dalla procura di Roma nei mesi scorsi durante le indagini. Uno di loro ha dichiarato agli inquirenti romani: “ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso...Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati anni ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo dalle foto sui giornali e ho capito che era lui”. Un altro teste ha dichiarato: “il 25 gennaio, mentre ero nella stazione di polizia di Dokki, potevano essere le 20 o al massimo le 21, è arrivata una persona...Sono sicuro che si trattasse di Giulio Regeni. Nelle foto che ho visto in internet aveva la barba più lunga”, aggiungendo che “uno dei poliziotti che si trovavano lì veniva chiamato Sharif, un altro si chiamava Mohamed”, un chiaro riferimento al maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif e al colonnello Athar Kamel Mohamed Ibrahim.
Nonostante la magistratura italiana abbia raccolto elementi fondamentali per accertare le precise responsabilità sulla morte di Regeni, il procuratore generale d’Egitto, Hamada al-Sawi, ha affermato in una conferenza stampa alla fine di novembre che sulla base delle indagini svolte dalle autorità egiziane le prove a carico dei quattro accusati sarebbero insufficienti e che gli esecutori materiali del barbaro assassinio del giovane ricercatore risulterebbero ignoti.
Nell'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta, infatti, il sostituto procuratore Colaiocco ha chiaramente messo in evidenza la mancata collaborazione da parte della controparte egiziana: “sono altri 13 i soggetti nel circuito degli indagati”, ha affermato il magistrato romano, per i quali la mancata collaborazione dell’autorità egiziana ha impedito di accertare le posizioni.
È chiaro che il regime del boia Al Sisi, lungi dal collaborare con le autorità italiane per l'accertamento dei fatti, ha tentato e tuttora tenta di impedire tale accertamento coprendo responsabilità che possono, evidentemente, arrivare molto più in alto rispetto a quanto accertato dai magistrati romani, ma questo non ha scoraggiato il governo Conte dal continuare a fare affari d'oro col dittatore fascista al-Sisi, perché anno dopo anno l'Italia segna nuovi record nella vendita di armi al regime egiziano.
L'Italia sta costruendo, per conto del regime egiziano, 32 elicotteri prodotti da Leonardo spa per un valore di 871,7 milioni di euro e due fregate Fremm per 450 milioni di euro, e altri contratti stanno per essere stipulati tra i due governi, come scriveva il giornalista egiziano Amr Emam in un articolo pubblicato il 16 febbraio 2020 nel settimanale panarabo The Arab Weekl: nell'articolo Amr Emam scriveva che già quasi un anno fa l’Italia era in una fase avanzata di trattative per vendere all’Egitto altre 4 fregate Fremm, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, oltre a 24 caccia Eurofighter Typhoon e numerosi velivoli da addestramento M-346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore complessivo di oltre 9 miliardi di euro.
Unendo la nostra voce a quanto hanno ripetutamente richiesto i genitori di Regeni, da ultimo in conferenza stampa alla Camera lo scorso 10 dicembre, chiediamo al governo italiano di richiamare immediatamente il suo ambasciatore al Cairo, di interrompere drasticamente ogni fornitura di armi al regime del boia al-Sisi, e di arrivare a rompere ogni relazione diplomatica con l'Egitto se le sue autorità si rifiuteranno di consegnare i responsabili alla giustizia italiana.

23 dicembre 2020