La proposta dell'Anpi è in grado di cambiare l'Italia?
In ogni caso come si fa a escludere il PMLI dalle alleanze e dal confronto per il cambiamento?

 
Secondo i vertici dell'ANPI, quella lanciata dal neopresidente dell'Associazione stessa, Gianfranco Pagliarulo in carica dopo la scomparsa di Carla Nespolo, sarebbe una “scossa” all'attività di promozione dell'antifascismo, un passaggio giusto e fondamentale per creare un nuovo e largo fronte democratico nel nostro Paese.
Già il 20 novembre il Comitato nazionale dell'ANPI aveva appoggiato la proposta di creare “Una grande alleanza basata sulla persona, il lavoro e la socialità” in discontinuità col passato, capace di allargare il tavolo già esistente da anni nel quale l'ANPI assieme ad altri partiti e associazioni discute e intraprende attività antifasciste e antirazziste su scala nazionale.
 

Il Comitato nazionale del 20 novembre
In quel Comitato la relazione di Pagliarulo toccò molti temi importanti, la maggioranza dei quali ampiamente condivisibili, definendo ad esempio “insensata” la risoluzione anticomunista del parlamento europeo che equipara nazismo e fascismo al comunismo, e denunciando le “troppe similitudini di oggi con quanto accaduto prima della presa mussoliniana del potere”.
Relativamente alla pandemia, pur senza muovere alcuna critica all'operato del governo Conte, Pagliarulo affermava un concetto vero e importante: “se la pandemia sta demolendo un mondo cieco e già fragile, bisogna fin d'ora costruire una visione nuova, non permettere che un ritorno alla “normalità” si traduca nella restaurazione dei modelli economici e valoriali del passato”.
Oltre al ribadire la centralità della Costituzione borghese del '48, caposaldo dell'ANPI (“La Costituzione italiana, tuttavia, se attuata pienamente, ha già in seno la soluzione”) e chiamare totalmente fuori contesto il cosiddetto “Patto della Montagna” di Biella dove per Pagliarulo il tutto si limitò ad “imprenditori, partigiani e operai che si accordarono per salvare gli stabilimenti produttivi dalla furia degli occupanti”, è in un paio di passaggi del dibattito che è seguito la conferma che questa proposta ha un obiettivo più articolato di quello che si vorrebbe far credere di semplice quanto importante ampliamento del fronte antifascista.
Significativa la precisazione, ad esempio, del vice-presidente nazionale, Emilio Ricci, che plaudendo alla relazione di Pagliarulo, sente la necessità di sottolineare come “L'ANPI non è e non vuol essere un partito, si colloca però tra i soggetti di primo piano della Res Pubblica”, così come non passa inosservata – per lo meno da noi – la nota della presidente provinciale di Torino, Maria Grazia Sestero, che ha trovato piena condivisione nei vertici dell'associazione, secondo la quale “L'ANPI deve essere messa al riparo dai rischi di penetrazione e dal risorgere di estremismi di sinistra, fenomeno che punta a frantumare l'idea stessa di rappresentanza”.
 

Il documento dell'ANPI
Il Comitato nazionale di novembre ha approvato un “manifesto” che ha trovato molto spazio sui media, dal titolo “Una alleanza per salvare l'Italia, cioè per cambiarla ”. Al centro, alcuni temi fra i quali la necessità di unire le forze democratiche che al momento sarebbero spaesate, il rischio di vederci riproposto “il cosiddetto modello di sviluppo presentatoci da trent'anni come unico e immarcescibile che si rivela, gratta gratta, una trappola mortale”, e il rischio di una diffusione dell'odio e del rancore, declinati in maniera interclassista e generalizzata, ma anche il calo della credibilità istituzionale.
“Che fare? - si chiede il documento – Rompere gli schemi. Attrezzarci per quella che abbiamo definito una nuova fase della lotta democratica e antifascista”, eppure si precisa che l'obiettivo non è dar vita a un cartello di sigle, e nemmeno definire piattaforme rivendicative; ma allora cos'è in realtà questa proposta sulla quale l'ANPI invita fortemente tutte le sue sezione a partecipare in via prioritaria?
Il battesimo ufficiale di questo progetto si è avuto il 4 dicembre in un incontro che ha visto al tavolo con l'ANPI i tre sindacati confederali, Libera, Acli, le Sardine, le associazioni di difesa della Costituzione, PRC, PD, Articolo 1 e anche il Movimento 5 Stelle, nel quale è stata condivisa l'unità d'intenti, “a partire da diverse posizioni di Papa Bergoglio”, come rileva anche il comunicato stesso.
 

La proposta dell'ANPI è in grado di cambiare l'Italia?
Analizzando a fondo la proposta dell'ANPI, non riusciamo a trovare sufficienti spunti positivi, e non si tratta delle solite questioni di linea che rispettiamo ma non condividiamo, prima su tutte quelle di rimanere ancorate alla “bussola” della Costituzione anche se quest'ultima è stata svilita e demolita nella sua sostanza, inapplicata da sempre nei suoi passaggi fondamentali quali ad esempio il diritto al lavoro e alla casa per tutti, così come nella sua XXII disposizione transitoria che assieme alle leggi Mancino e Scelba, sarebbe sufficiente a spazzare via il sudiciume neofascista dal nostro Paese.
Possibile non voler capire che oggi il regime neofascista prospera sulle ceneri della Costituzione borghese del '48 e ci convive serenamente? Purtroppo quello che fu un compromesso, tra diverse componenti politiche, che superò il fascismo, ma che tradì anche quella corrente più avanzata della Resistenza che non solo voleva cacciare l'invasore, ma anche costruire un'Italia emancipata dal capitalismo e fondata sul socialismo, oggi non può fare altro che stare a guardare i governi che l'hanno riformata da destra e che la ridicolizzano e la ignorano proprio nei suoi tratti migliori.
Inoltre il documento è pieno di questioni non chiare, a partire dalle sue parole d'ordine: cosa significa “persona” indistintamente senza accezione di classe, e quindi al centro i ricchi come i poveri anche se i loro interessi sono diametralmente opposti, ma ancor più cosa significa “lavoro” senza specificare che tipo di lavoro, se stabile e a salario pieno oppure precario e sfruttato come quello che il padronato oggi propone ai giovani e ai disoccupati?
Certo, con obiettivi così ampi e generici, tutto il mondo istituzionale coinvolto ha colto l'occasione al volo, e in particolare i partiti che sono ben consapevoli che l'antifascismo ancora fortunatamente presente in larga scala nel nostro Paese rappresenta un ottimo bacino elettorale. Come però si possa definire “molto positiva” la partecipazione dei 5 Stelle dopo quanto essi hanno fatto e detto assieme alla Lega di Salvini macchiandosi le mani di sangue coi Decreti Sicurezza che nemmeno il PD e LEU cancellano dal momento che li hanno sostanzialmente lasciati in vigore, è un concetto che ci sfugge.
Ci scapperebbe da ridere, se l'antifascismo non fosse una cosa così seria, apprendere che Vito Crimi nel suo discorso di adesione, ha parlato di necessità di far “rinascere il Paese e promuovere una democrazia più ampia e più forte”. Forse l'ANPI ha dimenticato con la stessa fretta del PD e della sinistra borghese, qual è il concetto di “democrazia” che ha sempre promosso il M5S, sostenendo un superamento del parlamento in chiave di fatto presidenzialista. Non ci pare poco.
Nutriamo non pochi dubbi anche sul concetto stesso di Rete poiché se da un lato si ricorda spesso che essa “Non sarà mai un pentapartito”, dall'altro si afferma con altrettanta specificità che essa sarà “parallela” alla politica, e che intende avere tanti interlocutori dei quali il primo è il Governo, e il secondo il Parlamento. Ma, ci chiediamo noi, come si può essere interlocutori esterni di un governo se al suo interno ci sono già i partiti che compongono quello stesso governo? A che cosa è utile allora questo nuovo contenitore comune?
Nutriamo poi dubbi sulla questione del “modello di sviluppo”. Abbiamo apprezzato che, pur senza nominarlo, il documento dell'ANPI critica il capitalismo degli ultimi trent'anni, anche se non ne propone una alternativa. Ma, anche con questo limite, come può sperare che un cartello del genere, con le forze che hanno contribuito al rafforzamento di questo regime neofascista (basti pensare al Jobs Act del PD di Renzi e a tutte le politiche neoliberiste proposte da PD e 5 Stelle), possano svoltare e cambiare sostanzialmente le fondamenta marce della società nella quale viviamo? Impossibile. È la pratica che lo sta dimostrando.
Altro ancora si potrebbe dire rispetto al “sano europeismo”, oppure al rilancio della “legalità democratica”, che ci paiono la prima una omologazione al pensiero unico della sinistra parlamentare e governativa, assorbito oggi anche dalla destra, la seconda l'ennesima espressione che fa del rispetto della legge – di qualsiasi legge senza distinzione – un caposaldo. Eppure i partigiani furono i primi a non rispettare le leggi del regime, perché ingiuste, razziste e antidemocratiche.
Non pensiamo però che gli esperti e attenti dirigenti nazionali dell'ANPI, casa di tutti gli antifascisti e organismo nel quale anche i nostri militanti e simpatizzanti danno da sempre il loro generoso contributo, siano così ingenui; siamo per questo certi che anche loro sanno bene che questo progetto non è in grado di cambiare niente, tutt'al più potrà nella migliore delle ipotesi spuntare qualche conquista marginale e parziale della quale poi l'ANPI dovrà per forza accontentarsi.
Serve, è vero, un modello economico diverso, sensibilità diverse, rapporti sociali diversi, ma come farlo in questo modo, soprattutto se i compagni di viaggio scelti da Pagliarulo sono essi stessi promotori di un sistema economico ingiusto e di rapporti di lavoro basati sullo sfruttamento?
Per noi, come abbiano detto da sempre e diremo per sempre, solo il socialismo potrà cambiare l'Italia, ma non è senz'altro questa la proposta della quale stiamo discutendo, e nemmeno nulla che vi si avvicini appena.
 

Il rischio di “normalizzazione” dell'ANPI
Sinceramente in questa operazione, per l'antifascismo noi vediamo molti più rischi che opportunità, su tutti quello di far inglobare l'ANPI in una ottica esclusivamente istituzionale e di sistema, aprendo addirittura ai vertici dei 5 Stelle che si sono sempre dichiarati – salvo alcuni loro esponenti e al netto del pensiero variegato della loro base - al di sopra della distinzione “di destra o sinistra”.
La vicinanza dei vertici dell'ANPI alla sinistra parlamentare e alle istituzioni stesse è sempre stata ben nota, ma le posizioni giuste, indipendenti e talvolta molto coraggiose come ad esempio la grande battaglia per il NO al referendum sulla Controriforma Costituzionale di Renzi, quando l'ANPI è stata per la prima volta nella sua storia in chiara e netta opposizione al suo stesso partito di riferimento, sono state possibili anche grazie alla eterogeneità dei suoi attivisti di base e nelle posizioni che essi esprimevano arricchendo il dibattito dell'ANPI stessa.
La proposta attuale del Comitato centrale invece indirizza chiaramente l'attività dell'ANPI non solo in forma prevalente, ma totale, all'interno dei partiti, dei sindacati e delle associazioni prettamente istituzionali, lasciando incredibilmente fuori tutti coloro che forse più di tutti gli altri, hanno contribuito alla lotta antifascista pratica e non solo da salotto; parliamo dei centri sociali, dei comitati antifascisti locali, dei sindacati di base, ma anche degli altri partiti a sinistra del PRC, in particolare quelli con la falce e il martello, a cominciare dal PMLI.
Se davvero nell'intento del Comitato Nazionale dell'ANPI c'era l'obiettivo di rilanciare e allargare l'antifascismo, com'è possibile che questo dibattito non sia stato presentato anche a tutti coloro che hanno fatto dell'antifascismo una vera ragione di vita e di attività politica e che sono sempre stati disposti a lottare non solo sui social e attraverso petizioni, ma soprattutto in piazza, in prima linea, spesso a fianco all'ANPI stessa, le battaglie più difficili? Era un atto sostanzialmente dovuto, e ne sarebbe emerso un confronto franco e leale nel quale ognuno avrebbe espresso la propria opinione in merito, inclusa la propria idea di “cambiamento”.
Noi pensiamo che questo atteggiamento, che non può essere una semplice dimenticanza, denota purtroppo che l'unico risultato certo che l'ANPI potrà raggiungere con questa operazione sia la progressiva “normalizzazione” dell'associazione stessa, in una ottica sempre meno indipendente e più legalitaria e con battaglie sempre meno d'avanguardia ma più conformi alle posizioni liberiste e liberali dei maggiori “azionisti” del nuovo cartello.
Forse i vertici dell'ANPI si accontenteranno di un nuovo quadro più istituzionale dove alcune battaglie di principio saranno sacrificate per un piatto di lenticchie; tuttavia la base più progressista e conseguentemente antifascista formata da gran parte delle iscritte e degli iscritti attivi in tutte le sezioni locali dell'ANPI continueranno a lavorare con la stessa lena di sempre all'interno dell'associazione, o al di fuori se essa in futuro non li rappresenterà più.
Il pericolo da scongiurare infatti è quello di impedire che l'ANPI diventi una semplice appendice acritica dell'universo istituzionale che si definisce – anche solo in parte – antifascista. L'ANPI deve rimanere indipendente e pronunciarsi nel merito delle questioni, indipendentemente dalle forze di governo, aprendo a tutte le forze conseguentemente e autenticamente antifasciste presenti in Italia senza distinzioni e non divenire “spalla” di governi più o meno graditi.

6 gennaio 2021