Scuderi: L'astensionismo marxista-leninista è il voto dell'opposizione proletaria rivoluzionaria al regime neofascista, per il socialismo
(Discorso introduttivo molto importante al "Botta e risposta" sulle elezioni del 5-6 aprile tenutosi a Firenze il 28 marzo 1992)

 
Compagne e compagni, amiche e amici,
benvenuti a questo incontro elettorale organizzato magnificamente dal Comitato provinciale di Firenze al quale rivolgo un caloroso saluto e ringraziamento. Siamo ansiosi di conoscere le vostre opinioni sulle elezioni politiche del 5-6 aprile e le vostre domande sulla linea del PMLI di cui esporrò i suoi elementi fondamentali.
Probabilmente non tutti voi sarete d'accordo con la nostra posizione elettorale astensionista o più semplicemente c'è qualcuno che è stato assalito da qualche dubbio e incertezza in merito. È del tutto naturale poiché attualmente la corrente principale della storia va in senso opposto alla nostra e l'ideologia e la politica della classe dominante borghese dominano sul Paese.
Ma dal momento che siete qui vuol dire che non avete messo il cervello all'ammasso e che ritenete utile confrontarvi anche con i marxisti-leninisti senza pregiudizi e nello spirito di ricercare la verità, che non è mai astratta ma di classe, mai completa e definitiva ma parziale e provvisoria. Non si finisce mai infatti di scoprire interamente la verità attraverso una serie di passaggi di conoscenza da una verità inferiore a una verità superiore.
La verità scaturisce dalla sperimentazione scientifica, dalla ricerca, dalla conoscenza, dall'inchiesta, dalla pratica, dai fatti, ed è comprovata dall'esperienza e dai benefici concreti che arreca agli esseri umani, alla natura e alla società.
"Nella lotta sociale, - rileva Mao nell'opera "Da dove provengono le idee giuste?", del maggio 1963 - le forze che rappresentano la classe avanzata subiscono a volte delle sconfitte, non perché abbiano idee sbagliate, ma perché, nel rapporto delle forze in lotta, esse sono temporaneamente meno potenti delle forze della reazione; possono essere temporaneamente sconfitte, ma finiranno sempre per trionfare" .
Oggi noi marxisti-leninisti siamo in questa situazione. Non per colpa nostra, ma per il tradimento dei revisionisti che hanno distrutto i paesi socialisti e i partiti comunisti. Un colpo gravissimo ma non irreparabile. Le nostre idee sono giuste e remando controcorrente gradualmente riusciremo senz'altro a rimontare le posizioni. Ne parleremo.
Prima però consentitemi di rivolgere un affettuoso e riconoscente ringraziamento a tutti i militanti e simpatizzanti del PMLI che sono impegnati nella campagna elettorale astensionista in ben 53 comuni del Nord, Centro e Sud d'Italia. Un avvenimento politico-elettorale storico che non ha precedenti nella vita del nostro amato Partito.
Il nostro cuore è pieno di gratitudine verso questi nostri compagne e compagni, nonché verso quelli della seconda linea che non lesinano sacrifici per aiutarli. Essi sopportano uno sforzo straordinario, non solo sul piano fisico e organizzativo ma anche sul piano economico, che pesa interamente sulle loro spalle, e non si fanno intimidire dalle infami provocazioni da parte dei carabinieri e della Digos, come è accaduto in questi giorni a Verbania e Napoli.
Noi dirigenti del Partito impariamo e prendiamo esempio da loro, specie da quelli isolati e più lontani geograficamente dal Centro, in alcuni casi semplici simpatizzanti, e in particolare dal compagno operaio Ferruccio Panico di Milano che, nonostante abbia avuto recentemente un delicato trapianto di cuore, ha voluto essere impegnato in prima fila nelle diffusioni e nelle affissioni prima di essere di nuovo ricoverato in ospedale per un virus. Egli è un esempio di marxista-leninista che dimostra come non ci sono limiti per chi voglia veramente servire la causa del proletariato, del socialismo e del PMLI.
Il proletariato italiano non può che essere fiero di questi suoi figli che fanno rivivere nella pratica lo spirito, l'abnegazione, l'eroismo e le gesta dei gloriosi partigiani che liberarono l'Italia dal mostro nazi-fascista e dei giovani rivoluzionari del Sessanta, del Sessantotto e del Settantasette che misero a soqquadro il sistema capitalistico e le sue istituzioni.
 

Il regime neofascista
Le elezioni del 5-6 aprile sono le prime elezioni politiche che si svolgono in pieno regime neofascista e presidenzialista instaurato gradualmente e surrettiziamente senza che un solo partito parlamentare si sia opposto e lo abbia denunciato. Prima attraverso i governi del neoduce Craxi e successivamente sotto i colpi del capo dei gladiatori Cossiga sono stati fatti a pezzi la prima Repubblica e la vigente Costituzione. Non senza dimenticare i due ultimi governi Andreotti e quelli precedenti dell'VIII legislatura, inaugurata guarda caso dal governo Cossiga, della IX e della X, che hanno fatto la loro brava parte per attuare l'infame disegno golpista del cosiddetto "piano di rinascita democratica" di Licio Gelli e della P2.
Non è rimasto in piedi più niente della repubblica borghese uscita dalla Resistenza. Approfittando della capitolazione dei revisionisti a livello internazionale e nazionale, la parte più reazionaria della classe dominante borghese si è praticamente disfatta degli orpelli parlamentari e costituzionali e delle vecchie regole democratiche borghesi e ha ripreso il discorso là dove era stato costretto a lasciarlo Mussolini.
Non siamo quindi di fronte a un nuovo '48 ma a un nuovo '22. Cioè alla restaurazione del fascismo sotto nuove forme con le sembianze di Craxi-Cossiga-Gelli. In molte cose il fascismo di ieri e quello di oggi si assomigliano come due gocce d'acqua. Per esempio nel trinomio "Dio, patria e famiglia", nel presidenzialismo, nell'accentramento dei poteri negli esecutivi, nel nazionalismo, nell'espansionismo dell'imperialismo italiano, nella militarizzazione e fascistizzazione del Paese e delle istituzioni, nell'assoggettamento della magistratura e dei mezzi di comunicazione di massa e dei sindacati, nel corporativismo.
Una differenza sta nel fatto che ieri il fascismo si faceva largo attraverso gli assalti e le distruzioni delle sedi dei partiti di origine operaia, dei sindacati e delle cooperative, le spedizioni punitive, le bastonature e l'omicidio degli operai e degli antifascisti, coronati con la marcia su Roma, mentre oggi ha raggiunto i suoi scopi con il terrorismo, lo stragismo, le leggi liberticide e anticostituzionali, l'abbattimento delle pregiudiziali costituzionali antifasciste e antimonarchiche, la riabilitazione del fascismo storico e del MSI, nonché con l'uso del piccone dall'interno stesso del palazzo e per opera del massimo vertice delle istituzioni.
Tutto questo senza nessuna seria, convinta e conseguente reazione da parte di una qualsiasi forza parlamentare, governativa e istituzionale. Un po' come avvenne nel '22 quando si sottovalutò il fascismo e Mussolini il quale conquistò il potere senza colpo ferire con la connivenza della monarchia, dei liberali e dei popolari - gli odierni democristiani-, e grazie all'opportunismo e l'arrendevolezza dei socialisti e dei sedicenti comunisti alla Bordiga e alla Gramsci e Togliatti.
Allora si sottovalutò da parte dei socialisti e dei revisionisti di destra e di "sinistra" il pericolo fascista fin quasi a negarlo e a prenderlo in considerazione quando ormai si era chiaramente manifestato con l'aperta dittatura.
Basti pensare che dopo le elezioni del '19, in cui i fascisti non riuscirono a mandare un solo deputato in parlamento, l'“Avanti!” in cronaca di Milano scriveva ironicamente: "Un cadavere in stato di putrefazione è stato ripescato stamani nelle acque del Naviglio. Pare si tratti di Benito Mussolini" . Oggi addirittura il socialista Craxi è divenuto l'emulo di Mussolini, già del PSI, e il neoliberale Occhetto e i neorevisionisti e trotzkisti Garavini e Cossutta svolgono un'azione di copertura al neofascismo e si muovono sul suo terreno. Non a caso proprio su "la Repubblica" di oggi Occhetto afferma "Non sta arrivando Mussolini" . La lunga pratica del parlamentarismo l'ha talmente rincretiniti che non sanno più distinguere un fascista da un democratico borghese, e non sanno fare altro che gareggiare con i neofascisti nel "rifondare lo Stato" e la repubblica, o nel migliore dei casi condurre una battaglia di retroguardia in difesa di una Repubblica che non c'è più.
Solo il PMLI ha avuto il coraggio di denunciare per tempo e da solo il pericolo e l'avanzare del regime neofascista e della repubblica presidenziale. Fin da quando Craxi nel settembre del '79 lanciò dalle colonne dell'“Avanti!” la "grande riforma", e da allora puntualmente ogni volta che il disegno piduista, fascista e golpista compiva un ulteriore passo.
Il Documento strategico del Comitato centrale del PMLI del 20 febbraio 1988 lanciava un forte allarme antifascista mettendo in guardia che eravamo di fronte "a un passaggio cruciale della storia della Repubblica italiana" poiché si voleva legalizzare la seconda repubblica. Mentre nel Grande documento del 25 marzo del 1990 si affermava che "ora ci troviamo in pieno regime piduista, alle porte dell'instaurazione della repubblica presidenziale tanto agognata da Craxi e Gelli". Purtroppo però la nostra voce - boicottata vergognosamente dai mass media ormai asserviti al regime - non ha potuto giungere in tempo in tutte le contrade d'Italia e risvegliare le coscienze e mobilitare le masse contro il risorgente fascismo.
Cosicché il neofascismo ha potuto avere partita vinta e il suo disegno è quasi del tutto realizzato. Come rileva il Documento elettorale del Comitato centrale del PMLI del 22 febbraio scorso, "rimane solo l'elezione diretta del presidente della Repubblica per completarlo. Obiettivo che potrebbe essere raggiunto anche attraverso l'instaurazione del cancellierato". In ogni caso siamo costretti a dare per scontato che "il prossimo parlamento metterà la camicia nera all'Italia".
In un primo momento e per lungo tempo l'uomo di punta del partito trasversale neofascista e piduista è stato Craxi. A lui si debbono infatti i primi e più gravi atti della restaurazione del neofascismo. Vedi il decreto del febbraio '84 col quale tagliò ben quattro punti della scala mobile; vedi la politica estera di grande potenza che arrivò a un passo dallo scatenare una guerra con la Libia nell'86, da noi prontamente e risolutamente denunciata e che ci è costata un grave processo giudiziario.
A lui si debbono pure i due golpe istituzionali con i quali è stato sostanzialmente soppresso il voto segreto in parlamento e decretato la partecipazione dell'Italia alla guerra del Golfo, la cui denuncia ci è costata un ulteriore processo, questa volta esteso anche alla base del Partito.
In questo ultimo periodo però il principale referente istituzionale dei piduisti e dei vecchi e nuovi fascisti è divenuto l'attuale capo dello Stato Francesco Cossiga, il cui pericolo è stato da noi tempestivamente individuato e denunciato dalle colonne de "Il Bolscevico" attraverso gli articoli "Fare piena luce sui rapporti tra Cossiga e la P2" e "Attenti a Cossiga" pubblicati rispettivamente il 19 ottobre 1990 e il 29 marzo 1991. Per questo fatto pendono ancora sulle teste dei massimi dirigenti del PMLI e de "Il Bolscevico" due inchieste giudiziarie, nel silenzio agghiacciante degli antifascisti e dei mass media. Segno evidente che il fattore rosso da parte di tutte le forze parlamentari è ritenuto più pericoloso del regime neofascista e presidenzialista.
Ma non per questo noi arretreremo di un millimetro nello smascheramento del capo dello Stato e del suo piano golpista di "fuoriuscita dallo Stato di diritto". Poiché sono in gioco la libertà del proletariato e delle masse popolari e giovanili e la loro stessa vita a causa del cosiddetto "nuovo modello di difesa" che proietta le Forze armate italiane fuori dai confini nazionali con i rischi di avventure militari imperialiste e colonialiste in particolare nel Mediterraneo e in Africa.
Il capo dei gladiatori - che proprio in questi giorni Gelli lo ha riconosciuto pubblicamente come "l'unico che avrebbe la forza per tentare un golpe, sia pure nella legittimità, cioè solo assumendo poteri speciali" ("L'Espresso" del 29 marzo) - nasconde il suo piano e i suoi obiettivi reali invocando a ogni pie' sospinto che bisogna rimettersi alla "sovranità popolare".
Ma egli dimentica un piccolo particolare che gli operai coscienti non possono ignorare, e cioè che la sovranità del popolo non si avrà mai finché il popolo non avrà nelle sue mani la totalità del potere statale, come insegna Lenin . Ed è questa in ultima analisi la questione decisiva che deve orientare anche elettoralmente il proletariato e chiunque aspiri al socialismo.
 

Le cosche parlamentari
Se si fa una seria e corretta analisi politica e di classe si può facilmente constatare che in parlamento non c'è alcun partito che voglia veramente che il popolo sia sovrano. Né la DC, da sempre architrave del sistema capitalistico; né i socialfascisti di via del Corso che aspirano a sostituirla o comunque a egemonizzare il governo; né i socialdemocratici preoccupati unicamente di confermare le proprie poltrone governative e di sottogoverno; né i liberali lanciati nel presidenzialismo; né il PRI che scalpita solo per avere più spazio nel governo, nelle istituzioni e nel sottogoverno; né il MSI erede diretto del partito fascista di Mussolini; né i neoliberali delle Botteghe Oscure in balia della DC e del PSI; né il PRC appendice del PDS. Ma nemmeno le nuove o relativamente nuove formazioni, come la "Lega Nord" fascista, separatista e razzista; la Rete e le Liste referendarie e di Pannella che si propongono di riportare nel palazzo chi ne é uscito sdegnato e nauseato; né i Verdi ormai logori e imbolsiti che si ripromettono di ottenere un posto nel governo postelettorale.
Queste formazioni per certi aspetti sono meno affidabili di quelle tradizionali poiché sono in mano a vecchi volponi e imbroglioni riciclati provenienti dai partiti governativi o dall'area ultrasinistra e sedicente rivoluzionaria.
Certo è che tutti quanti, - vecchie e nuove formazioni parlamentari - ne inventano di tutte pur di turlupinare il popolo e spingerlo in vicoli ciechi e senza sbocco. Nel passato almeno questi partiti si dividevano in sinistra e destra borghese, in fascisti e antifascisti, in riformisti e conservatori, tra chi voleva l'applicazione di questa Costituzione e chi l'osteggiava.
Ma con l'andar del tempo, bacati dalla mollezza della vita parlamentare, dagli stipendi e dalle pensioni d'oro ai parlamentari, dal profumato finanziamento pubblico, ricattati dalla corruzione e dai finanziamenti occulti e sotto l'influenza delle rispettive lobby economiche e finanziarie, essi si sono omologati a destra sul terreno dell'imperialismo e del neofascismo.
Mentre con l'incarognimento e l'imbarbarimento dello Stato e della lotta politica interborghese, e finanche per qualcuno la necessità di mascherarsi da partito socialista o comunista, hanno gradualmente perso i caratteri dei partiti tradizionali borghesi e hanno assunto quelli propri delle cosche mafiose.
In alcuni di essi tali caratteri sono piuttosto evidenti, in altri meno e in certi appena percepibili. Ciò nonostante il carattere di cosca è un dato di fatto presente in ciascuno, ed è tanto più marcato quanto più grande è l'esposizione mafiosa in riferimento al grado e al livello di potere esercitato, all'anzianità di esistenza e ai fatti di mafia e di corruzione che vengono via via alla luce.
Per almeno quattro motivi fondamentali si può tranquillamente generalizzare la definizione di cosca mafia agli attuali partiti parlamentari e a quelli in lizza per entrare nel parlamento.
Primo perché tutti quanti sono elementi costitutivi di questo Stato neofascista, mafioso e piduista; secondo perché la loro linea politica è funzionale, in un modo o nell'altro, in maggiore o minore misura, a tale Stato; terzo perché in essi militano, al di là della quantità e del peso specifico, dei mafiosi, dei camorristi e dei membri della 'ndrangheta o degli amici o amici degli amici di costoro; quarto perché nella lotta politica e nei rapporti con le rispettive basi e con l'elettorato e le masse usano metodi tipicamente mafiosi e camorristici.
Riguardo al primo punto è evidente che un partito non mafioso non potrebbe sopravvivere dentro uno Stato mafioso.
Riguardo al secondo punto i vari progetti di "riforma" istituzionale ed elettorale, stringi stringi, tutti quanti si riconducono alla repubblica presidenziale o accentuando i poteri del presidente della Repubblica, anche se non eletto direttamente dal popolo, o nel capo del governo attraverso il cancellierato. E questo non è altro che mafia e neofascismo a 24 carati.
In particolare va osservato che l'attacco quasi corale alla proporzionale attraverso la proposta del sistema uninominale e maggioritario salda il cerchio tra il nuovo e il vecchio fascismo. La proporzionale infatti, introdotta nel '19, è stata attaccata e abbattuta da Mussolini con la legge Acerbo del '23 con la quale instaura il sistema maggioritario. Reintrodotta nel dopoguerra viene di nuovo attaccata, ma senza successo, dalla DC nel '53 con la "legge truffa" che mirava a ottenere un premio di maggioranza a favore della coalizione vincente per continuare a governare.
Riguardo al terzo punto basta citare che un parlamentare su cinque ha avuto problemi con la giustizia nel corso della legislatura uscente: in valore assoluto è in testa la DC, poi PCI (PDS e Rifondazione), indi PSI MSI; mentre percentualmente il primato è del PSI. Riguardo al quarto punto ciascuno può fare mente locale e sulla base della propria esperienza testimoniare sui metodi che vengono usati per la compilazione delle liste elettorali, su come vengono estorti e convogliati i voti di lista e di preferenza, sul clientelismo, il correntismo, l'arrivismo e il personalismo che regnano nei partiti parlamentari, sul distacco del vertice dalla base, sui ricatti e le umiliazioni cui è sottoposto chi ha bisogno di lavoro, casa e una qualunque prestazione assistenziale, sanitaria e sociale.
Senza parlare dei colpi di lupara che le cosche parlamentari si sparano letteralmente addosso, come è accaduto a Lima per colpire Andreotti, per l'egemonia della seconda repubblica e per la corsa al Quirinale.
Per salvarsi la faccia e ridarsi una verginità democratica, ora le cosche parlamentari si scagliano contro la "partitocrazia", come se questa non ci fosse sempre stata, come se non fossero stati essi stessi a instaurarla, come se rimescolando le carte e riciclandosi si potesse realmente abolirla. In realtà quando il mazzo di carte è sempre quello, i giocatori, anche se cambiano di posto, sono sempre gli stessi e le regole continuano ad essere quelle del capitalismo il gioco non può mutare, darà sempre gli stessi risultati sfavorevoli ai lavoratori e soprattutto continuerà a mantenere fuori dal potere politico la classe operaia e le masse popolari.
 

Il socialismo
La scelta di un elettore cosciente e ben informato non può quindi essere a favore di questo o quel progetto neofascista e presidenzialista, ma a favore del Partito che si oppone con tutte le sue forze nei fatti al regime neofascista e alla repubblica presidenziale e propone il socialismo come via di uscita.
È proprio questa situazione che di colpo ha riattualizzato la necessità del socialismo in Italia. Non solo perché ideologicamente, culturalmente e politicamente non può tornare indietro rispetto all'elaborazione di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, che rappresenta uno sviluppo qualitativo della conoscenza umana, e rispetto alla grande esperienza storica della dittatura del proletariato, che rappresenta il più grande sviluppo sociale che la storia conosca.
Ma anche perché costituirebbe un arretramento, un regresso storico tornare alla prima Repubblica. I fatti impongono la scelta del socialismo, altrimenti si rimane alla coda degli avvenimenti e si rischia di essere coinvolti, in un modo o nell'altro, nel regime neofascista.
In altri paesi, come quelli del Centro e dell'Est europeo, indubbiamente la prospettiva del socialismo si è allontanata per colpa dello scempio e dei crimini commessi dai rinnegati revisionisti, ma nel nostro Paese non c'è un altro progetto diverso dal socialismo in grado di capovolgere radicalmente la situazione e condurre la classe operaia al potere.
Non è quindi affatto vero quello con cui si gongola il neoduce Craxi, e cioè: "Di certo non c'è, ed in primo luogo non c'è in Italia ed in Europa, una prospettiva comunista credibile di nessuna natura e di nessun genere. In questo senso 'il Dio è fallito'. Tutti lo vedono, lo sanno o dovrebbero saperlo" (Intervista a "Il Giorno" dell'8.9.91). A smentirlo è l'esistenza del PMLI del suo disegno del socialismo. Anche se l'uno e l'altro sono attualmente conosciuti da poche decine di migliaia di persone in un numero ristrettissimo di città. Ma non è il numero che fa la verità, che determina l'attualità o meno di un progetto politico. Sono i fatti che stabiliscono se una cosa è giusta o sbagliata, se è attuale oppure no. Il numero è solo uno degli elementi fondamentali che determina la fattibilità concreta di una cosa non la necessità della cosa.
La contraddizione tra il proletariato e la borghesia è un dato di fatto, e questa contraddizione oggettivamente si è acuita con l'instaurazione del regime neofascista. Essa va risolta. Stalin ci indica la via: "Come deve agire il proletariato, su quale strada si deve porre per attuare coscientemente il suo programma, abbattere il capitalismo e costruire il socialismo?
La risposta è chiara: il proletariato non potrà giungere al socialismo attraverso la conciliazione con la borghesia: esso deve porsi necessariamente sulla via della lotta, e questa lotta deve essere la lotta di classe, la lotta di tutto il proletariato contro tutta la borghesia. O la borghesia col suo capitalismo, o il proletariato col suo socialismo! Ecco su che cosa deve fondarsi l'azione del proletariato, la sua lotta di classe" . (Da "Anarchia o socialismo", dicembre 1906-aprile 1907, Opere complete, vol. 1, p. 387). Bisogna allora sviluppare la lotta di classe per abbattere il capitalismo e conquistare il socialismo. Il socialismo bisogna volerlo, conquistarlo e difenderlo. Se non lo vogliamo rimarremo in eterno schiavi del capitale. Se non lo conquisteremo con la lotta di classe e la rivoluzione socialista nessuno ce lo regalerà. Se non lo difenderemo quando l'avremo conquistato avverrà sicuramente la restaurazione capitalista, come è successo nei paesi già socialisti.
In tutti i casi occorre lottare, lottare e lottare per avere il socialismo, anche se all'inizio siamo in pochi. Se la linea politica è giusta e facciamo del nostro meglio per applicarla, le forze necessarie alla vittoria arriveranno man mano che maturano le coscienze e le condizioni oggettive.
 

L'astensionismo marxista-leninista
Sul piano elettorale l'astensionismo (non votare, votare nullo o bianco) è la scelta tattica conforme alla nostra strategia anticapitalista, antifascista e per il socialismo. Attraverso questa tattica elettorale, e non presentando liste, noi riteniamo di ottenere i maggiori risultati sia nel danneggiare e delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi, sia nella demistificazione dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghesi, sia infine nell'abbattimento delle illusioni elettorali e parlamentari, nell'elevazione della coscienza politica e della combattività delle masse e nel lavoro di accumulazione e difesa delle forze necessarie per la rivoluzione socialista.
La nostra posizione astensionista potrebbe sembrare a prima vista in contraddizione con Lenin secondo cui è necessario utilizzare in senso rivoluzionario il parlamento. Ma se si guarda bene non è così, poiché noi proprio basandoci sul criterio adottato da Lenin, cioè di fare "l'analisi concreta della situazione concreta" , siamo arrivati alla scelta dell'astensionismo.
Infatti il punto centrale per Lenin era costituito dal fatto che allora, siamo nel 1920, le masse, specie le più arretrate, erano fortemente influenzate dalle illusioni elettorali e parlamentari per cui era assolutamente necessario entrare nei parlamenti borghesi per dimostrare alle masse la natura vera dei parlamenti e convincerle a distruggerli con la rivoluzione socialista. Ma dal momento che le masse italiane, e non solo, a milioni, e non da ora, hanno perso ogni fiducia nelle elezioni e nel parlamento tale motivo è decaduto, e tenerlo artificialmente in piedi significherebbe soltanto fare arretrare la coscienza delle masse e dare nuovo insperato ossigeno all'agonizzante e squalificatissimo parlamento.
Paradossalmente oggi si tratta di convincere all'antipartecipazionismo non tanto le masse arretrate e intermedie, quanto quelle che seguono ancora il PDS, il PRC e in parte la Rete e i Verdi. Il discorso perciò si sposta su un altro piano: sono gli elementi più avanzati e combattivi delle masse, in particolare del proletariato e dei giovani, che devono capire l'astensionismo marxista-leninista, adottarlo e far leva su di esso per attrarre alla lotta rivoluzionaria gli astensionisti meno politicizzati e l'elettorato genericamente di sinistra.
L'elettorato cosciente che fino a ieri ha votato PCI e DP, e che oggi si trova con un pugno di mosche in mano, non può andare avanti meccanicamente rinnovando il voto al PDS e al PRC che l'hanno tradito e senza domandarsi come mai sono accadute certe cose che non avrebbe mai potuto pensare che accadessero. Soprattutto deve fare un bilancio dei 70 anni della storia del PCI e del rapporto di questo partito, ma anche del PSI e di DP, col parlamento. E allora forse arriverebbe alle nostre stesse conclusioni, e cioè che sul terreno elettorale la borghesia è più forte e che la lunga pratica parlamentare finisce immancabilmente col corrompere e integrare il Partito del proletariato.
A un certo punto non è più questo Partito che utilizza il parlamento per smascherarlo e disgregarlo anche dall'interno, ma è la borghesia che lo utilizza per avere la legittimazione e il sostegno del proletariato. Questo in sintesi è l'amaro bilancio generale che si può trarre dall'esperienza parlamentare del PSI, del PCI e di DP ma anche di tutti i Partiti comunisti che hanno utilizzato il parlamento dei paesi capitalisti e imperialisti. Inoltre c'è da considerare che il caso Gladio ha dimostrato una volta per tutte che al proletariato e ai marxisti-leninisti è preclusa la conquista del potere politico per via parlamentare, anche se ottenessero la maggioranza assoluta dei voti.
Da tutto ciò deriva che il parlamentarismo non è più una forma di lotta, anche se secondaria e subordinata alla rivoluzione socialista, utile ai fini dell'avanzamento della strategia proletaria rivoluzionaria dei marxisti-leninisti.
La storia elettorale italiana conosce diversi tipi di astensionismo.
Quello di settori di repubblicani storici che per principio e per un certo tempo non votavano perché non riconoscevano l'Unità d'Italia sotto la monarchia.
Quello dei cattolici, che è durato dall'Unità d'Italia fino al primo decennio di questo secolo, come protesta verso il nuovo Stato che aveva spogliato il papa dal potere temporale.
Quello anarchico adottato da sempre per principio, indipendentemente dal sistema economico e sociale, sia nel capitalismo che nel socialismo.
Quello di Bordiga del '19 che predicava l'astensionismo sulla base di un'analisi scorretta della situazione e della tesi schematica e non dialettica “o preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale”.
Quello radicale che aveva solo lo scopo di liberare dei voti per convogliarli nel PSI in un momento in cui Craxi e Pannella erano grandi alleati. Non a caso proprio allora Pannella querelò “Il Bolscevico” che aveva accusato il Partito radicale di aver ricevuto dei voti dalla mafia in Sicilia e in Calabria.
Infine il nostro astensionismo, l'astensionismo marxista-leninista. L'abbiamo adottato la prima volta nel Sessantotto, all'epoca del più grande avvenimento della storia della lotta di classe del dopoguerra in Italia, quando le masse, specie giovanili, spingevano alla rivoluzione socialista che fu sabotata dai revisionisti, che oggi si trovano anche al vertice del PRC, e dai trotzkisti e dagli operaisti come Toni Negri e Oreste Scalzone.
L'abbiamo rilanciato, in maniera sempre più chiara e approfondita, nelle prime elezioni regionali del '70 e in quelle politiche del '72, riportando non a caso tutte e due le volte delle pesanti condanne giudiziarie. Successivamente è divenuta una tattica consolidata, la cui giustezza è stata convalidata dalla pratica elettorale.
Non siamo però degli astensionisti per principio e aprioristici, ogni tornata elettorale analizziamo la situazione concreta e ci orientiamo conseguentemente. In situazioni particolari o eccezionali, oppure per raggiungere determinati ed espliciti obiettivi tattici, potremmo anche decidere di utilizzare il parlamento su scala nazionale o locale, in certi casi potrebbe essere utile avere uno o più parlamentari “civetta”.
Senza dubbio però per questa tornata elettorale, e chissà per quante altre, la nostra espressione di voto è l'astensionismo. In questa situazione politica l'astensionismo è il voto dell'opposizione proletaria rivoluzionaria al regime neofascista, per il socialismo.
Ai marxisti-leninisti, ai sinceri rivoluzionari, alle ragazze e ai ragazzi che aspirano a un avvenire rosso e luminoso, a chi crede veramente nel socialismo, agli antifascisti coerenti e conseguenti, a tutti gli sfruttati e oppressi coscienti, noi chiediamo non solo di astenersi “ma di creare, via via che matureranno le condizioni, un circuito politico democratico di massa alternativo al palazzo e alle istituzioni rappresentative borghesi in cui il popolo attraverso la democrazia diretta sia sovrano nelle sue decisioni e nelle sue lotte.
Questo circuito politico va costruito sulla base dei Comitati popolari, organismi esecutivi composti pariteticamente da donne e uomini eletti direttamente con voto palese e su mandato revocabile in qualsiasi momento dalle Assemblee popolari territoriali.
I Comitati popolari devono dirigere le masse nella lotta per strappare al potere centrale e locale opere e misure che vadano a vantaggio della popolazione e dei lavoratori e per rivendicare l'autogestione dei servizi sanitari e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi di carattere pubblico, e l'elezione dei funzionari pubblici. Inoltre spetta ad essi organizzare e dirigere i movimenti rivendicativi di massa territoriali, nonché la vita politica, sociale e culturale del proprio territorio'' (Dal Documento del CC del PMLI del 22 febbraio 1992).
C'è tanto lavoro da fare per chi vuole concorrere a rovesciare il vecchio mondo capitalistico e costruire il nuovo mondo socialista. Noi per ormai un quarto di secolo stiamo facendo del nostro meglio per aprire in Italia la strada verso il socialismo. E continueremo a farlo fino all'ultimo respiro, sicuri che altri pionieri proletari rivoluzionari, man mano che ci conosceranno e apprezzeranno la nostra proposta, si uniranno a noi per accelerare i tempi della resa dei conti con la classe dominante borghese e i suoi lacchè.
Diamo tempo al tempo. Intanto da parte nostra indossiamo la camicia rossa di combattimento, dispieghiamo al vento le fiammanti bandiere del PMLI, alziamo bene in alto i ritratti dei 5 invincibili grandi Maestri del proletariato internazionale e slanciamoci con ardore nella battaglia contro la repubblica presidenziale, il regime neofascista e le cosche parlamentari, per il socialismo.

10 gennaio 2021