Riflessioni di Federico Giusti
La dea flessibilità in materia di lavoro e occupazione

Pubblichiamo in ampi estratti un intervento di Federico Giusti, delegato Rsu e Rls al Comune di Pisa e attivo nel collettivo de “La città futura” oltre che nella redazione di “Lotta Continua”.
 
In nome della flessibilità del lavoro hanno aumentato lo sfruttamento portando a compimento anche una operazione ideologica atta a esigere prestazioni sempre maggiori. Bisogna essere flessibili, basta con i mansionari e i profili professionali: queste le massime degli ultimi 40 anni diventate ormai un luogo comune..
Negli ultimi 40 anni, con il tramonto del neokeynesismo, la flessibilità ha riguardato i salari sempre più differenziati e spinti verso il basso, i contratti di lavoro (il loro numero è aumentato esponenzialmente per dare legittimità alla rappresentanza dei sindacati firmatari ma soprattutto per introdurre Ccnl con paghe orarie basse e ridotte tutele). Si è detto che la flessibilità era funzionale alla occupazione ma stando ai numeri è invece vero l'esatto contrario, anzi la strada percorsa è quella della precarietà occupazionale e salariale.
La flessibilizzazione dei contratti e dei salari ha ridotto il costo del lavoro, il potere di acquisto e di contrattazione, delocalizzato interi siti produttivi dove la manodopera è meno pagata e gli Stati offrono tappeti damascati alle imprese straniere che ricevono ogni genere di agevolazioni fiscali se non addirittura incentivi, senza dimenticare lo sfruttamento intensivo, e senza controllo, delle risorse locali loro accordato con produzioni spesso inquinanti, liberate da ogni vincolo e controllo.
Il costo del lavoro si è ridotto sotto ogni punto di vista, in termini reali e nominali ma delocalizzando produzioni e precarizzando il lavoro le imprese hanno guadagnato profitti senza accrescere la loro competitività.
Urge quindi sfatare alcuni luoghi comuni.
Ridurre il costo del lavoro e abbattere i salari non ha accresciuto l'occupazione che risulta invece indebolita e precarizzata, la forza lavoro diventa sempre più ricattabile. Diminuiti i salari invece risulta indebolita la stessa domanda e con consumi al ribasso anche la stessa economia non ne trae beneficio alcuno.
Ridotti i salari e il numero degli occupati non è quindi cresciuta la domanda di beni e servizi, anzi il welfare è stato ferocemente attaccato e sanità e pensioni integrative sono state rafforzate anche attraverso i contratti di secondo livello e il welfare aziendale. Al contempo i fondi destinati a sanità e istruzione pubblica sono diminuiti con le conseguenze ormai note derivante dalla pandemia.
- La flessibilità occupazionale e salariale non ha accresciuto la competitività delle imprese, siamo invece in presenza di una vera e propria deflazione salariale, il contenimento dei costi del lavoro e dei prezzi favorisce solo i paesi con grande surplus commerciale coma la Germania ma non le altre nazioni.
- La maggiore flessibilità\precarietà del lavoro non ha comportato l'incremento della produttività delle imprese, anzi la flessibilità si è presto trasformata in libero arbitrio, in licenziamenti imponendo regole ferree alla forza lavoro (peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita).
- La produttività delle imprese non viene prodotta dall'abbattimento del costo del lavoro ma dalla capacità innovativa e tecnologica: In Italia, in 40 anni, di investimenti in tale senso ce ne sono stati veramente pochi.
- Aumentando invece i salari si migliora la qualità della vita con effetti benefici sulla domanda interna, le imprese sarebbero costrette a investire in tecnologia per mantenere la loro quota di profitti riducendo i costi con processi innovativi in materia di lavoro.
- Abbattendo le tutele collettive ed individuali non si favorisce l'occupazione è vero invece l'esatto contrario come dimostra la composizione dei senza lavoro.
- Quando si parla di rigidità del mercato del lavoro dimentichiamo che la flessibilità non è sinonimo di produttività e di crescita derivante invece dai processi innovativi d\nelle imprese. Negli ultimi 25 anni Pil e produttività in Italia sono cresciuti in misura inferiore agli altri paesi europei, da quando le politiche economiche si sono indirizzate all'abbattimento del potere di acquisto e all'insegna della flessibilità e della riduzione delle aliquote fiscali. Se fosse vero che riducendo le rigidità ne trarrebbe vantaggi l'economia, oggi con l'innalzamento dell'età pensionabile e il Jobs Act i dati economici italiani sarebbero decisamente migliori. Ci hanno raccontato solo bugie ma peggio ancora è che le bugie sono diventate luoghi comuni inconfutabili anche per la parte sindacale.
- Parlare ancora oggi di riforma e di superamento delle rigidità del mercato del lavoro dovrebbe indurre a riflettere sulla grande menzogna costruita dal liberismo.

27 gennaio 2021