Nel discorso di insediamento alla Casa Bianca
Biden si propone di riunire il popolo americano per sostenere gli Stati Uniti imperialisti e la loro leadership mondiale
Il nuovo segretario di Stato Blinken sulla stessa linea del suo predecessore Pompeo, riguardo a Cina, Iran, Venezuela, Taiwan e Accordi di Abramo

 
Nel primo discorso tenuto il 20 gennaio sulla scalinata del Campidoglio a Washington, teatro solo due settimane prima dell'assalto al senato dei fascisti istigati da Trump, il nuovo presidente Joseph R. Biden invitava anzitutto all'unità una America spaccata dalla politica del predecessore nei cinque anni alla Casa Bianca e nei prossimi se prenderà corpo il suo progetto di guidare una nuova formazione politica. "Dobbiamo porre fine a questa guerra incivile che mette il rosso contro il blu, il rurale contro l'urbano, il conservatore contro il liberale", sosteneva Biden riferendosi ai colori elettorali usati negli ultimi 20 anni e alle aree dove si trova la maggiore base elettorale rispettivamente dei repubblicani e dei democratici.
I primi atti per dimostrare la presunta rottura dell'amministrazione guidata da Biden e dalla sua vice Kamala Harris con la precedente repubblicana verranno successivamente nei 17 ordini esecutivi firmati dal nuovo presidente nel suo primo giorno di lavoro, dall'obbligo di indossare le mascherine negli edifici del governo e nei luoghi federali al rientro degli Usa nell'Oms e negli accordi sul clima di Parigi, all'eliminazione del bando all'immigrazione da alcuni paesi a maggioranza musulmani. Il discorso dopo la cerimonia del giuramento era centrato sull'unità e sulle rassicurazioni anche a una parte consistente di quella che è la base sociale dei democratici, quando indicava che occorre "ricostruire la classe media", ridotta ai minimi termini dalle ripetute crisi economiche e dal declino dell'imperialismo americano.
Trump racchiudeva nello slogan "America first" la sua iniziativa politica per fermare il declino. Con parole ovviamente diverse, era lo stesso impegno che si è assunto il successore Biden che invocava l'unità del popolo americano per sostenere gli Stati Uniti imperialisti e la loro leadership mondiale. La sinistra borghese socialdemocratica, revisionista e trotzkista ha intonato di nuovo il canto ingannevole della "svolta", lo stesso cantato dopo l'elezione di Barack Obama e del suo vice Biden che pure era rapidamente finito in un rantolo di delusione, spento dalla serie di promesse finite al macero.
La partenza del presidente Biden è la stessa. Nel mezzo di una pletora di messaggi messianici per alimentare illusorie speranze di miglioramento della società americana, tra citazioni di Sant'Agostino e della Bibbia, dichiarava che "possiamo rendere l'America, ancora una volta, la forza trainante del bene nel mondo". Un impegno che nascondeva un'anima imperialista esplicitata in passaggi successivi, "condurremo non solo con l'esempio del nostro potere, ma con il potere del nostro esempio", ossia anzitutto con l'esercizio e non solo l'esempio del potere economico e militare Usa, per poter scrivere che "la nostra America si è assicurata la libertà in patria e si è dimostrata di nuovo un faro per il mondo". Per concludere con un finale bellicista invocante la protezione divina: "possa Dio benedire l'America e possa Dio proteggere le nostre truppe", ossia proteggere il braccio armato dell'imperialismo americano impegnato nelle guerre in tutto il mondo.
La politica estera della nuova amministrazione democratica è stata descritta dal nuovo segretario di Stato Antony Blinken con una serie di dichiarazioni che non lo distinguono dal predecessore repubblicano Mike Pompeo. Blinken in vari interventi ha appoggiato la politica del pugno di ferro di Trump contro la Cina, la sfida più significativa per gli Usa che deve essere affrontata "da una posizione di forza e non di debolezza" e con la continuità nell'appoggio e protezione a Taiwan, delle ingerenze e minacce contro il Venezuela di Maduro, della rinegoziazione dell'accordo sul nucleare firmato da Obama con l'Iran affinché comprenda anche il blocco dello sviluppo dei missili balistici come vogliono i sionisti di Tel Aviv e gli alleati sauditi. Non ha contestato i recenti Accordi di Abramo che calpestano i diritti dei palestinesi a favore dei sionisti e anzi ha garantito che l’ambasciata Usa non tornerà a Tel Aviv, resterà a Gerusalemme come deciso da Trump.
Blinken riprende l'attività a favore delle ingerenze fino agli interventi militari, nella quale era impegnato nelle vesti di consigliere dell'allora vicepresidente Biden nell'amministrazione Obama, nella nuova veste di segretario di Stato. Una conferma della sostanziale continuità della politica estera dell'imperialismo americano indipendentemente da chi, repubblicano o democratico, sieda alla Casa Bianca, da Bush a Obama, a Trump. Adesso tocca a Biden.
Un aiuto al nuovo presidente americano arriverà certamente dal Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg che nel messaggio di felicitazioni al sodale imperialista Biden esultava perché non c'era Trump affermando che "oggi è l'inizio di un nuovo capitolo per l'Alleanza transatlantica". Uno strano "nuovo" capitolo con i vecchi contenuti sulle priorità di intervento della NATO che mettono in fila la pericolosa "ascesa della Cina, la minaccia del terrorismo, anche in Afghanistan e Iraq, e una Russia più risoluta". Una serie di sfide che nessuno di noi può affrontare da solo, ripeteva Stoltenberg, dobbiamo farlo assieme noi della NATO che rappresentiamo "metà della potenza militare ed economica del mondo". A corredo della lettera di felicitazioni il sito della NATO postava una foto del segretario generale e dell'allora vicepresidente degli Stati Uniti Biden alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2015, quella che attaccava la Russia per l'intervento nella guerra in Ucraina dopo che gli Usa avevano acceso la miccia appoggiando la destra fino alla conquista del governo a Kiev. Un segnale a Putin, all'attuale principale concorrente militare imperialista.
D'altra parte non c'è nulla di nuovo rispetto a quello che Biden sosteneva fin dall'inizio della campagna elettorale e che per quanto riguarda la politica estera era riassunto nel suo intervento pubblicato dalla rivista Foreing affairs nel marzo scorso dal titolo "Perché l'America deve essere di nuovo la guida". Scriveva Biden che "il presidente Donald Trump ha sminuito, indebolito e in alcuni casi abbandonato alleati e partner statunitensi. Ha dilapidato la nostra influenza per affrontare le sfide alla sicurezza nazionale dalla Corea del Nord all'Iran, dalla Siria all'Afghanistan al Venezuela, senza praticamente nessun risultato. Ha lanciato guerre commerciali sconsiderate, contro amici e nemici degli Stati Uniti, che stanno danneggiando la classe media americana. Ha abdicato alla leadership americana nel mobilitare l'azione collettiva per affrontare le nuove minacce". Col nuovo presidente si cambia, non più l'America contro tutti, ma si ritorna alla vecchia tattica che privilegia la leadership dell'imperialismo americano condivisa con gli alleati nel guidare un'azione collettiva. Che nelle questioni principali è in continuità con le iniziative imperialiste che Trump conduceva da solo.

27 gennaio 2021