Dopo il fallimento dell'esplorazione di Fico
Mattarella dà l'incarico a Draghi per formare un governo di "alto profilo"
Lottiamo per il socialismo e il potere politico del proletariato e per risolvere i problemi del popolo

Il 26 gennaio, di fronte al fallimento evidente del tentativo di costruire un gruppo di “responsabili” al Senato in grado di sostituire i voti di Italia Viva, Giuseppe Conte ha annunciato le sue dimissioni ed è salito al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani di Mattarella. Una decisione obbligata, visto che dopo la fiducia risicata ottenuta al Senato la frenetica campagna acquisti dei giorni successivi per mettere al sicuro la sua maggioranza senza i renziani non aveva dato i risultati che si aspettava, e il 27 gennaio il governo sarebbe stato certamente sconfitto nel voto sulla relazione del ministro della Giustizia Bonafede, sulla quale Renzi aveva già annunciato il no di IV. E in tal caso come presidente del Consiglio sfiduciato dal parlamento avrebbe perso anche la possibilità di un reincarico da parte di Mattarella, ultima carta da giocare per cercare di restare a Palazzo Chigi con un nuovo governo Conte 3, per quanto ancora del tutto ipotetico.
Con ciò Renzi non solo intascava il primo risultato che si era prefisso uscendo dalla maggioranza e aprendo la crisi, cioè le dimissioni di Conte, ma rientrava pienamente in gioco tornando ad essere decisivo per tenere in piedi anche un governo Conte 3 o qualsiasi altra ipotesi di governo. Conte, PD e M5S si sarebbero dovuti infatti rimangiare il “mai più con Renzi” che avevano giurato dopo il ritiro delle sue ministre e accettare di trattare alle sue condizioni, anche perché le loro speranze di ridimensionare le sue pretese appoggiandosi a nuovi arrivi di “responsabili” dopo le dimissioni di Conte sono andate rapidamente deluse. La “quarta gamba” invocata da Conte al Senato per attirarli si è infatti costituita lo stesso giorno delle sue dimissioni, mettendo insieme una decina di cani sciolti del Centro democratico di Tabacci, del MAIE e transfughi del M5S e FI, con l'aggiunta di una senatrice del PD per raggiungere il minimo per formare un gruppo autonomo, ma ben lontana da garantire quella maggioranza certa chiesta da Mattarella per ridargli l'incarico.
 

L'indecente trasferta a Riyad del leader di IV
Nei giorni precedenti l'apertura delle consultazioni al Quirinale, Renzi, come rivelato dal quotidiano “Domani”, era volato in gran segreto in Arabia Saudita, per partecipare ad una conferenza del Future Investiment Initiative , un fondo creato dal principe saudita Mohammed Bin Salman, del cui board Renzi è membro con stipendio annuo di 80 mila euro e benefit vari, tra cui il jet privato che lo ha riportato in tutta fretta a Roma per le consultazioni. In quell'occasione, come appare in un video, si era mostrato perfettamente a suo agio, sorridente e ossequioso davanti al mandante dell'assassinio del giornalista del “Washington Post” e suo oppositore politico Jamal Khashoggi, strangolato e tagliato a pezzi nell'ambasciata saudita a Istanbul, arrivando a lodare indecentemente come l'artefice di un “nuovo rinascimento” il capo di uno Stato che ha il primato di condanne a morte per decapitazione, nega i diritti più elementari alle donne e usa i lavoratori immigrati come schiavi, proclamandosi anche “invidioso del vostro costo del lavoro”.
E mentre lui si faceva i suoi misteriosi quanto loschi affari a Riyad, coltivati evidentemente fin da quando era premier, e che spaziano dalle compagnie aeree all'esportazione di armi, dai giacimenti di gas alla cybersecurity (vedi Carrai), i suoi fedelissimi si incaricavano di tenere alta la tensione con provocazioni indirizzate a Conte, PD e M5S, ribadendo con la Bellanova che “per noi non c'è solo Conte”, suggerendo con la Boschi il nome di Gentiloni come nuovo premier, con Draghi all'Economia al posto di Gualtieri, chiedendo la testa di Buonafede e una svolta “garantista” sulla giustizia, e così via. Dal canto loro PD, M5S e LeU confermavano il loro appoggio a Conte e ribadivano che non c'erano alternative ad un Conte ter se non il voto, anche se avevano dovuto per forza rimuovere i veti pronunciati fino al giorno prima su IV. Conte infatti rappresentava il garante degli equilibri del M5S e di conseguenza anche dell'alleanza M5S-PD, su cui Zingaretti e il suo consigliere Bettini puntavano come asse strategico per affrontare le prossime scadenze elettorali.
 

Il gioco di Renzi per arrivare al governo Draghi
Uscendo con la sua delegazione dal colloquio con Mattarella, Renzi ha inscenato un comizio di quasi mezz'ora, con tanto di botta e risposta coi giornalisti come se il Quirinale fosse il suo cortile di casa, in cui da consumato giocatore di poker ha cominciato a scoprire il suo gioco, ma lasciando ancora coperta la carta finale, quella del sì o no a Conte. Dopo aver ancora una volta sparato a zero su quest'ultimo, sbeffeggiato il fallimento dell'”indecorosa caccia ai responsabili” e perfino, come estremo sgarbo politico, rivelato la telefonata conciliatoria che Conte gli aveva fatto prima che salisse al Colle, il leader di IV ha detto di non mettere veti su nessuno, ma prima di parlare di chi deve fare il presidente del Consiglio occorreva chiarire il programma, da mettere per iscritto, del nuovo governo, e solo alla fine del percorso decidere chi lo deve guidare. Mentre parlava i suoi facevano filtrare alle agenzie che a Mattarella aveva detto “per ora Conte no, meglio un mandato esplorativo”, da affidare al presidente della Camera Fico (e anche su questo l'ha avuta vinta) per valutare se era possibile un governo con la stessa maggioranza e su quali programmi. Governo che, ribadiva Renzi, noi preferiamo come prima soluzione, altrimenti saremmo favorevoli anche ad un governo istituzionale.
Cominciava quindi a delinearsi abbastanza chiaramente il suo piano: non scoprirsi ancora su Conte, rosolarlo a fuoco lento intavolando una trattativa inconcludente sul programma e sulla composizione del nuovo governo, rialzare continuamente la posta per costringere il PD e il M5S ad arroccarsi ed avere infine il pretesto per far saltare il banco con la scusa di essersi visto negare ogni sua richiesta di cambiamento. E in questo modo sgombrare la strada da Conte per ottenere il suo vero obiettivo: un governo istituzionale presieduto da Draghi, con dentro IV, PD e Forza Italia e con l'appoggio esterno della Lega.
E magari con dentro anche un pezzo del M5S, come già si intuiva dalla tempestiva uscita dal M5S del deputato filo renziano Carelli, che vuol costituire in parlamento una “casa di centro” per altri transfughi da destra del Movimento. Infatti l'altro obiettivo di Renzi, perseguito fin dall'inizio della crisi al buio da lui provocata, è quello di spaccare sia il M5S che il PD per distruggere la loro alleanza; che considera, insieme a Conte che ne è il garante, il principale ostacolo al suo disegno di costituire un polo di centro alla Macron.
 

Le forze dietro Renzi e per il governo istituzionale
Una soluzione, questa del governo istituzionale, che avrebbe ridato a Renzi il centro della scena politica, e che trovava sempre più appoggi tra le forze dentro e fuori il parlamento. A cominciare da Berlusconi, con la sua proposta di “governo dei migliori”; ma anche Salvini, che si tiene sempre in stretto contatto con Renzi, pur proclamando come la Meloni la “via maestra delle urne”, spinto da Giorgetti aveva lanciato più di un segnale di apertura. C'era stata poi la Confindustria, con le dichiarazioni a “La Stampa” del presidente degli industriali lombardi, Bonometti (“Conte si cerchi una nuova occupazione” e “Renzi ha posto il problema del Recovery , dovevano ascoltarlo prima”). E c'è poi il gruppo mediatico Gedi della Fca-Fiat (“Repubblica” e “Stampa”), che da tempo sta facendo una campagna di stampa per Renzi e per un governo Draghi, tanto da aver “spifferato” su “La Stampa” che Mattarella aveva telefonato all'ex presidente della Bce per “allertarlo” in caso di fallimento dell'esplorazione di Fico. Costringendo il Quirinale a intervenire per smentire ufficialmente quanto pochi giorni dopo si dimostrerà vero.
Tutte queste forze vedevano con interesse l'offensiva di Renzi per mettere le mani su alcuni ministeri chiave (Economia, infrastrutture e trasporti, sviluppo economico) per indirizzare il più possibile verso le imprese le risorse del Recovery plan , cancellare i reddito di cittadinanza ed i sussidi in generale e foraggiare invece le grandi opere, ridimensionare il potere della magistratura, ridurre le tasse e così via. Ancor meglio se a farlo fosse stato un governo capeggiato da un esponente della grande finanza europea e internazionale come Draghi.
 

La farsa della trattativa sul programma per far fuori Conte
E così è andata. Renzi ha alzato continuamente la posta nella due giorni di trattative, quella ufficiale sul programma sotto l'egida di Fico e quella sottobanco tra i leader dei partiti per la spartizione dei ministeri, in cui infatti ha chiesto di tutto: le teste degli uomini più fedeli a Conte e al M5S, come Bonafede, il commissario unico Arcuri, il presidente dell'Inps Tridico, quello dell'Anpal, Parisi, il nuovo titolare della delega ai servizi segreti, e almeno tre ministeri di peso, con dentro la Boschi alle infrastrutture e Rosato agli interni, più lo Sviluppo economico o il Lavoro o l'agricoltura per la Bellanova. Ha rimesso sul tavolo il Mes e il depotenziamento del reddito di cittadinanza, indigeribili per il M5S. Ha riproposto una riforma fiscale con meno aliquote e più basse, che il PD ha definito “quasi una flat tax”. Ha chiesto di cambiare in senso “garantista” la legge sulla prescrizione e riproposto la separazione delle carriere per i magistrati. E ha perfino riesumato la Bicamerale, per le riforme istituzionali, la legge elettorale e il Recovery plan , da far presiedere a rappresentanti dell'opposizione. Riuscendo alla fine a far saltare il banco facendola sembrare una rottura “sui contenuti” per colpa dell'arroccamento dei Cinquestelle.
Fallita l'esplorazione di Fico, Mattarella non ha perso tempo: ha tirato fuori l'opzione governo istituzionale Draghi già pronta nel cassetto e, con un discorso dai toni drammatici, invocando l'emergenza sanitaria ed economica, con la campagna di vaccinazione ancora da fare e il Recovery plan da inviare alla Ue entro aprile che rendono impraticabile il ricorso alle urne, ha annunciato al Paese di aver convocato Mario Draghi al Quirinale per il giorno seguente 3 febbraio.
Renzi esulta, per quello che lui stesso aveva definito il suo “capolavoro politico”, avendo ottenuto tutto quello che si prefiggeva: far fuori Conte, il suo principale rivale per il suo disegno centrista, e spaccare M5S e PD. Se infatti ora c'è da aspettarsi che il M5S si frantumi definitivamente, tra chi con Di Battista andrà all'opposizione e chi ne uscirà per appoggiare il governo istituzionale pur di non andare a votare, Zingaretti è stato messo con le spalle al muro: non potrà rifiutarsi di appoggiare un governo dell'”uomo della provvidenza” voluto da Mattarella dal grande capitale e già osannato dai “poteri forti” e da tutto il circo mediatico al loro servizio, ma ben si ricorda il disastro elettorale che costò al PD a guida Bersani aver dato l'appoggio al “governo tecnico” di Monti. E anche se andasse all'opposizione metà dei suoi parlamentari se ne andrebbero con Renzi.
 

Fallimento della democrazia e del parlamentarismo borghesi
Certo è che questa sceneggiata delle trattative sul nuovo governo, finita come nel 2011 con Monti con l'abdicazione del parlamento nelle mani di un altro esponente della grande finanza massonica internazionale, conclama lo squallore della democrazia e del parlamentarismo borghesi, dove ormai a farla da padrone non sono nemmeno più i partiti ma i loro leader, che si becchettano come galli per la supremazia nel pollaio del capitalismo, ognuno al servizio delle rispettive lobby capitalistiche di riferimento. Utilizzando a piene mani il trasformismo e le cariche pubbliche come armi e merce di scambio per garantirsi i voti per restare al potere, come ha fatto Conte, o per accrescere il proprio potere di ricatto per conquistarlo, come ha fatto Renzi. Tutto, comunque, in nome degli interessi della borghesia e della tutela dell'imperialismo italiano.
Ciò conferma che nell'attuale regime capitalista neofascista non la via elettorale e parlamentare, ma solo la lotta di classe e la rivoluzione proletaria sono la via maestra per il proletariato e tutte le masse lavoratrici e popolari per difendere giorno per giorno i propri diritti e i propri interessi di classe e strappare migliori condizioni di vita, di lavoro e di salute. Lasciamo perciò che i galli del pollaio del capitalismo continuino a beccarsi e lavoriamo per infuocare la lotta di classe, restando fermamente all'opposizione dei governi della destra e della “sinistra” borghesi e lottiamo per risolvere i problemi del popolo, tenendo ferma la prospettiva del socialismo. Solo il socialismo e il potere politico del proletariato possono salvare l'Italia dallo sfruttamento, la miseria crescente, la disoccupazione dilagante, la catastrofe ambientale e sanitaria e il razzismo e il fascismo a cui il capitalismo la sta condannando.


3 febbraio 2021