Promossa dal presidente della Repubblica Mattarella
Ammucchiata governativa attorno a Draghi, esponente del capitalismo, della grande finanza e dell'Ue imperialista
La Confindustria esulta. Cgil, Cisl e Uil pronti a collaborare
Lottiamo per il socialismo, il potere politico del proletariato e per difendere gli interessi del popolo

Il 9 febbraio, ad una settimana esatta dall'incarico ricevuto da Mattarella di formare un “governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”, Mario Draghi ha concluso il suo secondo giro di consultazioni con i partiti e, dopo l'incontro finale con le parti sociali che si terrà il giorno successivo, salirà al Quirinale per sciogliere la riserva. Si prevede positivamente, vista la grande ammucchiata “europeista”, al di là di ogni previsione, che si è realizzata subito attorno al suo nome: praticamente l'intero arco parlamentare, da LeU alla Lega, passando per PD, M5S, IV, FI e “cespugli” di centro vari, lasciando fuori (per loro scelta) solo i fascisti storici di FdI a presidiare l'area “sovranista”, che comunque hanno promesso al presidente incaricato un'“opposizione responsabile”. L'unico inciampo per la partenza del governo di Draghi potrebbe venire dal voto degli iscritti del M5S sulla piattaforma Rousseau che si concluderà solo dopo la sua salita al Colle, ma è dato per improbabile.
Ma fin da ora, per la sua figura politica, le sue azioni e il suo ruolo in Italia e in Europa e le circostanze politiche che hanno portato alla sua nomina, possiamo ben dire che quello di Draghi se andrà in porto, sarà il governo del capitalismo, della grande finanza e dell'UE imperialista. Come si può vedere dalla sua biografia dettagliata che pubblichiamo a parte, non soltanto egli è uno dei più importanti e influenti esponenti della grande finanza massonica internazionale, che lo ha allevato e premiato con cariche di altissimo rilievo e potere, quali la Direzione generale del Tesoro e la Banca d'Italia in patria e la Banca mondiale, la Goldman Sachs e la Banca centrale europea all'estero; ma è anche stato uno dei principali artefici della stagione di privatizzazioni delle imprese e delle banche pubbliche e della svendita di importanti imprese strategiche a investitori esteri negli anni '90. Ed è stato anche tra i principali sostenitori della politica economica liberista europea di “lacrime e sangue” verso i Paesi con alto debito pubblico come la Grecia e la stessa Italia, prima di essere universalmente osannato come “salvatore” dell'euro e dell'UE imperialista con la sua politica del Quantitative Easing.
 

Renzi sicario dei fautori del governo Draghi
Non va poi dimenticato come si è arrivati alla nomina di Draghi, chiamato a commissariare il parlamento e i partiti dopo il loro conclamato “fallimento”, secondo un copione già sperimentato col governo Ciampi nel 1993 e quello Monti del 2011, altri due esponenti della massoneria finanziaria. Dopo Tangentopoli il primo, dopo la grande crisi dei derivati il secondo, e nel presente caso al termine di una crisi del governo Conte 2 scatenata a fine novembre da Matteo Renzi: formalmente per ridiscutere il Recovery plan e gli equilibri interni alla maggioranza M5S-PD-LeU-IV, in realtà avendo già in mente di far fuori Conte e aprire la strada al governo istituzionale guidato da Draghi, oltre a spaccare M5S e PD e la loro alleanza che lo relegava in una posizione marginale.
Disegno favorito scioccamente da Zingaretti, che non ne aveva capito il vero obiettivo, per ridimensionare lo strapotere di Conte e smuovere i dossier da lui continuamente rimandati. Salvo capirlo troppo tardi, quando ormai il sicario di Italia Viva aveva già colpito a morte il governo, tirandone solo per le lunghe l'agonia in attesa che Mattarella e il Paese maturassero l'accettazione dell'“uomo della provvidenza”.
Man mano infatti che il disegno renziano si andava attuando sono emerse anche le forze che gli stavano dietro e che spingevano per liquidare Conte: la Confindustria, la grande finanza euroatlantica e i mass-media di regime, con in testa il gruppo “Repubblica”-“La Stampa” della Fca-Fiat, ormai decisi a liberarsi di un governo sempre più instabile e litigioso, non ancora schierato nettamente con la nuova amministrazione Biden e pericolosamente sensibile alla sirena cinese. E soprattutto per riprendere in mano la gestione dei 209 miliardi del Recovery plan , onde evitare ogni rischio di dispersione “assistenzialistica” e destinarlo principalmente alle imprese, alle grandi opere infrastrutturali, all'abbassamento delle tasse e alla competitività del capitalismo italiano.

L'euforia dei mercati e l'esultanza di Bonomi
Non a caso i mercati finanziari hanno risposto euforicamente alla nomina di Draghi, con la Borsa di Milano in rialzo da una settimana e lo spread con i titoli tedeschi che è sceso per la prima volta sotto quota 100. E non a caso la prima ad esultare per la nomina di Draghi è stata Confindustria, che ha subito chiesto la cancellazione del reddito di cittadinanza e di quota 100: “Ha le qualità – ha dichiarato il suo presidente Bonomi a 'La Stampa' – che da tempo auspicavo in un politico... ho sempre considerato Mario Draghi un patrimonio del nostro Paese. Il nostro giudizio sul governo Conte era negativo”.
Anche i segretari sindacali Landini, Furlan e Bombardieri in una nota congiunta, valutando “molto positivamente” la sua volontà di “aprire un confronto di merito con le parti sociali”, si sono messi immediatamente a disposizione di Draghi, offrendogli “la loro disponibilità fin da subito” a incontrarlo. In un'intervista a “La Repubblica” dell'8 febbraio, Landini ha dichiarato addirittura che “sarebbe un suicidio politico del nostro Paese non saper cogliere e non saper utilizzare la sua competenza e la sua autorevolezza per ridisegnare il futuro del nostro Paese facendo quelle riforme che rinviamo da anni”.
Quanto ai partiti, escluso la ducetta Meloni che conta di sottrarre altri voti a FI e Lega restando all'“opposizione”, hanno tutti fatto a gomitate per salire sul carro di Draghi. Col risultato paradossale che una crisi iniziata sui “contenuti” e sui “programmi” e non “su chi fa il presidente del Consiglio”, è finita con l'accettazione a scatola chiusa (Renzi in testa a tutti) di un nuovo premier e di un nuovo governo senza neanche sapere quale sarà il suo programma.
Il primo a farlo, battendo tutti sul tempo a parte Italia Viva, è stato il PD, la cui Direzione si è riunita il 4 per dare “mandato alla delegazione del Partito democratico di rappresentare al presidente incaricato Draghi l'appoggio del PD”. Passando così da un giorno all'altro dalla linea “o Conte ter o il voto” all'appoggio incondizionato a Draghi. Il fatto è che Zingaretti è stato messo con le spalle al muro dall'operazione spregiudicata di Renzi, non potendo rifiutare l'appello di Mattarella ad un governo di “salvezza nazionale” e dovendo anche fare i conti con la corrente interna degli ex renziani di Base riformista di Guerini e Lotti che ora rialzano la testa e ricominciano ad agitare il tema del congresso, Bonaccini in testa, per farlo fuori e riprendere Renzi nel PD.
 

La mossa di Salvini spiazza PD e Conte
La speranza di Zingaretti era quella di circoscrivere il perimetro del governo Draghi alla vecchia maggioranza M5S-PD-LeU-IV, con l'aggiunta di FI di Berlusconi ma senza la Lega e FdI: la cosiddetta “maggioranza Ursula” che si formò in occasione dell'elezione della presidente della Commissione europea. Speranza avvalorata per un giorno o due dal fatto che il M5S, che per alcune ore era parso schierarsi per il no a Draghi, era stato invece riportato all'ordine da Grillo, che dopo una lunga telefonata con Draghi aveva deciso con una virata spettacolare di appoggiarlo, ed era sceso appositamente a Roma per convincere il Movimento e per partecipare alle consultazioni. A dargli una mano per tenerlo insieme e pilotarlo sul carro di Draghi aveva chiamato anche Conte, che nel frattempo aveva avuto un “lungo e aperto” incontro col presidente incaricato.
Conte, probabilmente spinto anche da Mattarella, si era presentato infatti alla stampa davanti a Palazzo Chigi per smentire di voler sabotare il tentativo di Draghi, aveva rassicurato il M5S dicendogli “io ci sono, e ci sarò” (ponendosi così alla sua testa), aveva rilanciato l'alleanza M5S-PD come “alleanza per lo sviluppo sostenibile” (e implicitamente candidandosi come suo leader) e invocato “un governo politico”: cioè appunto sostenuto da una maggioranza politica sul modello “Ursula”.
Ma la speranza di Zingaretti e Conte è durata lo spazio di un giorno, fin quando Salvini, spinto da Giorgetti, ha abbandonato ogni indecisione ed è salito anche lui con entusiasmo sul carro di Draghi. Costringendo il segretario del PD ad una ridicola ritrattazione della linea “mai con Salvini, mai coi sovranisti”, sostenendo che era Salvini ad essersi spostato sulle posizioni europeiste del PD. È evidente che l'improvvisa conversione “europeista” di Salvini è solo strumentale, dettatagli dalla borghesia industriale e commerciale del Nord che non vuol perdere i ricchi fondi europei, ma intanto il duce dei fascisti del XXI secolo è riuscito a tornare al governo, un risultato insperabile fino a ieri senza andare al voto, ed ha affossato per sempre l'illusione di Zingaretti e Conte di avere il pacchetto di maggioranza del governo Draghi. E non mancherà certo di imprimere al governo liberista del premier banchiere anche il suo personale marchio fascista, razzista e xenofobo.
 

Lottare per difendere gli interessi del popolo
Intanto Draghi, per quanto abbia tenuto fin qui ben coperte le sue carte, qualcosa del suo programma l'ha fatto trapelare: il suo sarà un governo “ambientalista, europeista e atlantista”, tanto per stabilire il perimetro internazionale dell'imperialismo UE e USA in cui si collocherà decisamente, e che la maggior parte dei fondi europei andranno alla “transizione verde” come stabilito da Bruxelles. Quanto al blocco dei licenziamenti prossimo alla scadenza, Draghi aveva già anticipato la sua ricetta dichiarando in un report del “Gruppo dei Trenta” di cui siede nella direzione che vanno sostenute solo le imprese ancora in salute e che gli aiuti non andranno più dati a quelle destinate ad uscire dal mercato. Senza preoccuparsi peraltro di spiegare che fine farebbero le centinaia di migliaia di lavoratori di queste aziende senza futuro.
Il proletariato e le masse lavoratrici e popolari non hanno nulla da guadagnare dall'avvento del governo dell'ammucchiata Draghi, che sarà al servizio del capitalismo, della grande finanza e dell'Ue imperialista come e ancor più del governo trasformista e liberale del dittatore antivirus Conte. Se quest'ultimo aveva potuto infatti governare con poteri eccezionali in maniera surrettizia, sfruttando l'emergenza pandemia e scavalcando il parlamento con i dpcm, Draghi non avrà nemmeno bisogno di questo, dato che pressoché l'intero parlamento si è messo a sua completa disposizione. Lo stesso vale per la gestione dei miliardi del Recovery plan, che potrà accentrare nelle sue mani ridisegnandone completamente la destinazione secondo le esigenze del capitalismo e non certo dei lavoratori e delle masse popolari.
Stando così le cose il proletariato e le masse lavoratrici e popolari devono stare decisamente all'opposizione del governo Draghi e continuare a praticare la lotta di classe come unica e irrinunciabile arma per difendere i loro diritti, lottare per l'occupazione, i contratti, gli aumenti salariali e la tutela della salute, per far pagare l'uscita dalla crisi a chi l'ha provocata, i capitalisti. In sostanza per difendere gli interessi del popolo contro gli interessi della classe dominante borghese rappresentata dal governo del banchiere massone Draghi.
Come l'esperienza insegna il problema è che finché esisterà il capitalismo, ad ogni governo della borghesia che cade da destra e non da sinistra sotto i colpi delle masse, ne arriva sempre uno peggiore, ancor più antipopolare e liberista. Per questo occorre lottare contro il governo Draghi per difendere gli interessi del popolo, ma tenendo sempre ben presente che l'obiettivo finale non può che essere quello dell'abbattimento rivoluzionario del capitalismo, per la conquista del socialismo e del potere politico del proletariato.


10 febbraio 2021