Manifestazioni e proteste popolari contro il golpe in Myanmar
Cina e Usa si disputano il controllo del Paese

 
Il coprifuoco, il largo impiego di proiettili di gomma e cannoni ad acqua da parte della polizia birmana e le decine di arresti non fermavano le numerose manifestazioni che il 9 febbraio, il quarto giorno consecutivo di scioperi e proteste, si svolgevano in molte città del Myanmar, dalla capitale Naypyidaw alla più popolosa Yangon a Mandalay contro il golpe dell'1 febbraio che nelle intenzioni dei vertici militari dovrebbe riportare il paese sotto il loro pieno controllo. Le migliaia di manifestanti chiedevano il ripristino della democrazia e la liberazione della leader Aung San Suu Kyi e degli altri arrestati.
Il primo febbraio si doveva riunire il nuovo parlamento uscito dalle elezioni dell'8 novembre scorso, vinte dalla Lega nazionale per la Democrazia (LND) che si apprestava con Suu Kyi a iniziare il secondo mandato governativo con una larghissima maggioranza, 368 seggi su 434.
I vertici militari contestavano l'esito del voto e denunciavano presunti brogli a fronte del marginale risultato ottenuto dal partito a loro vicino, lo Union Solidarity and Development Party (USDP) fermatosi a un numero di consensi che non arrivava neanche il 7% dei voti validi e 24 seggi, che uniti al quarto dei seggi in entrambe le aule del Parlamento birmano che la Costituzione riserva ai loro rappresentanti diretti non li metteva in grado di condizionare "democraticamente" l'operato del governo come durante gli ultimi cinque anni.
La verifica dei risultati elettorali da parte della Corte suprema si concludeva il 28 gennaio, decretando la regolarità del voto e dando il via libera alla riunione del parlamento, alla ratifica dei risultati e il varo del nuovo governo guidato dalla LND.
Il capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, una carica che ricopre dal 2011, dall'inizio del cosiddetto periodo di transizione che formalmente aveva messo fine alla dittatura militare del 1962, in attesa del pronunciamento della Corte aveva minacciato di abolire la Costituzione scritta dai golpisti nel 2008.
L'1 febbraio Min Aung Hlaing, richiamandosi a quanto previsto dalla sezione 417 della Costituzione, i vertici militari prendevano il potere, presentavano il golpe come un intervento necessario a fronte delle irregolarità nelle elezioni di novembre che la commissione elettorale non sarebbe riuscita a risolvere, decretavano lo stato d’emergenza per un anno, in attesa di nuove elezioni e intanto arrestavano il presidente Win Myint, Aung San Suu Kyi Consigliere di Stato, ossia capo del governo, e buona parte dei ministri civili. Nel video-messaggio trasmesso dalla televisione dell’Esercito i golpisti annunciavano che tutti i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari erano trasferiti al generale Min Aung Hlaing assistito dal generale Myint Swe che da vicepresidente era "promosso" a presidente ad interim. Altri militari prendevano il posto dei 24 ministri della LND arrestati o rimossi dall'incarico.
In altre parole la situazione del Myanmar tornava a essere esplicitamente quella della dittatura militare iniziata nel 1962 e solo formalmente sospesa nella cosiddetta transizione democratica iniziata nel 2008, alla quale aveva prestato la sua figura come carta di credito la Aung San Suu Kyi, che per la sua opposizione alla dittatura si era guadagnata il Premio Nobel per la pace nel 1991. Una carica che l'aveva portata a far cadere la sua immagine di faro della non violenza e dei diritti umani quando avallava la persecuzione della minoranza musulmana Rohingya. La transizione democratica era in realtà la continuazione della dittatura sotto una diversa forma e infatti i vertici militari non appena il controllo del paese rischiava di sfuggirgli del tutto rimettevano in campo il golpe per "ripristinare la democrazia". Fidando tra l'altro sull'appoggio o comunque sulla non ostilità dei numerosi amici che hanno a partire dalle due maggiori potenze imperialiste mondiali, Cina e Usa che si contendono il controllo del paese.
Il golpe era condannato dall'India che assieme a altri paesi asiatici, Nuova Zelanda, Australia e Singapore chiedeva il ritorno alla democrazia. E magari il mantenimento di quella politica di avvicinamento costruita da Nuova Deli con Naypyidaw, sancita nell'ottobre scorso dalla consegna al Myanmar di un sottomarino, una iniziativa dell'imperialismo indiano sempre più attivo nel costruire legami militari e fronteggiare l'iniziativa della concorrente Cina che fornisce o si è impegnata a fornire sottomarini a Pakistan, Bangladesh e Thailandia.
Il presidente americano Joe Biden condannava il golpe e minacciava sanzioni se i militari non avessero liberato gli arrestati e rispettato l'esito del voto di novembre. La Cina ribadiva di essere un “vicino amichevole” del Myanmar e si augurava una gestione delle divergenze tra le parti per preservare la stabilità politica e sociale del paese. Assieme a Thailandia, Cambogia e Filippine definiva il colpo di Stato militare una questione interna del Myanmar e assieme alla Russia bloccava al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che a conclusione della riunione virtuale del 2 febbraio doveva votare una risoluzione di condanna del colpo di Stato in Myanmar preparata dalla Gran Bretagna. Andava in scena all'Onu il gioco imperialista per la disputa del controllo del Myanmar che vede protagonisti anzitutto Cina e Usa sulla pelle del popolo birmano e degli altri gruppi etnici minoritari che lottano di nuovo contro una dittatura che li schiaccia.
Un gioco imperialista che veniva spiattellato per quello che è dal vice ministro della Difesa del Giappone, Yasuhide Nakayama, che il 2 febbraio in una intervista alla Reuters dichiarava che "se non gestiamo la situazione al meglio, il Myanmar potrebbe allontanarsi ulteriormente dalle nazioni democratiche per unirsi alla Cina” e ribadiva l'impegno di Tokyo a mantenere il programma di partenariato con il Paese, compreso quello militare avviato nel 2014, altrimenti si rischiava un ulteriore avvicinamento tra gli eserciti cinese e birmano e alla conseguente maggiore influenza di Pechino in Myanmar. Una carta di credito al golpista Min Aung Hlaing oggetto del corteggiamento imperialista e non certo un aiuto al popolo del Myanmar in piazza ogni giorno contro la dittatura militare.

10 febbraio 2021