Condannato Navalny, oppositore di Putin
Proteste in tutta la Russia. Centinaia di arresti

 
Il tribunale di Mosca condannava il 2 febbraio l’attivista, politico e blogger russo, leader del Partito Democratico del Progresso Aleksej Navalny a scontare la pena decisa nel 2014 e finora sospesa di tre anni e mezzo di carcere, ridotti a due anni e otto mesi per il tempo già trascorso ai domiciliari. I giudici della Procura generale lo ritenevano colpevole di aver violato ripetutamente dal 2018 le condizioni di libertà vigilata, fra le quali l’obbligo di presentarsi almeno due volte al mese dinnanzi alle autorità competenti dopo le sue dimissioni del 23 settembre scorso dall’ospedale in Germania, dove era stato ricoverato d'urgenza il mese prima per curarsi dopo il tentativo di avvelenamento di cui sono accusati i servizi del Cremlino.
Una sentenza il cui scopo fin troppo evidente sarebbe quello di chiudere lo spazio politico di uno dei pochi leader dell'opposizione nella Federazione Russa ancora attivi nel paese e spianare la strada al partito Russia Unita del nuovo zar Vladimir Putin nelle prossime elezioni. Sulla carta non ci dovrebbero essere problemi per il partito di Putin che ha la maggioranza assoluta alla Duma ma ha anche un consenso in calo dopo la controriforma del 2018 che ha innalzato l’età pensionabile a 65 e 60 anni rispettivamente per gli uomini e per le donne e una serie di episodi di corruzione denunciati puntualmente dai canali di informazione di Navalny.
La macchina repressiva del Cremlino scattava il 17 gennaio con l'arresto dell'oppositore, appena rientrato dalla Germania, e contro le manifestazioni dei suoi sostenitori in varie città della Russia, in particolare quelle del 23 gennaio. Proteste che cessavano dopo la sentenza del tribunale di Mosca, quando il 5 febbraio i collaboratori di Navalny affidavano il compito di sostenere la richiesta della sua scarcerazione ai leader mondiali nei prossimi incontri ufficiali.
A dire il vero la prima verifica di questa posizione che sostituiva una protesta di piazza pur difficile da sostenere a fronte delle cariche e dei fermi della polizia con quella dei diplomatici stranieri mostrava subito i suoi limiti lo stesso 5 febbraio con l'arrivo a Mosca dell'Alto rappresentante dell'Ue, Josep Borrell, che alla richiesta di incontrare Navalny si sentiva rispondere dal ministro degli Esteri russo Lavrov di mettersi in coda alle visite parenti dei detenuti chiedendo il permesso ai magistrati, come dire non mettete il naso nei nostri affari interni. Una posizione ribadita con l'espulsione di tre diplomatici di Germania, Polonia e Svezia che erano presenti alle proteste a Mosca.
Il 17 gennaio, dopo l'arresto, Navalny lanciava l'appello a protestare, a "scendere in piazza" e il suo partito organizzava le manifestazioni principali per il 23 gennaio senza attendere gli esiti del ricorso presentato contro la condanna dagli avvocati della difesa. Alle manifestazioni di protesta in tutta la Russia il Cremlino rispondeva con il massiccio schieramento della polizia, cariche, il fermo di oltre 5 mila manifestanti e centinaia di arresti.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen condannava l’arresto dell'oppositore e chiedeva alle autorità russe il suo immediato rilascio e la garanzia della sua sicurezza. "La detenzione di oppositori politici è contraria agli impegni internazionali della Russia”, sosteneva la presidente della Commissione rappresentando una posizione comune di condanna dei principali leader europei, da Macron alla Merkel. La cancelliera tedesca condannava l'arresto ma la replica si fermava alle parole, nessun fatto che mettesse in pericolo gli affari, compreso il raddoppio del gasdotto Nord Stream tra la Russia e la Germania, che anche le pressioni degli Usa finora non sono riuscite a bloccare.

10 febbraio 2021