Prima intervista tv del nuovo presidente degli Stati uniti
Biden: “Toglieremo le sanzioni all'Iran dopo lo stop al nucleare”
“Xi Jinping non è democratico, ma non voglio un conflitto”

 
Il nuovo presidente americano Joe Biden tiene a rimarcare spesso che la sua amministrazione sarà molto diversa da quella di Trump, dal suo mantra l'America prima di tutto alle guerre commerciali, agli interventi militari. Intanto iniziava il suo mandato con un ordine esecutivo che mira a ridurre le forniture estere negli appalti federali e con un appello a comprare americano, confermava i dazi di Trump all'Europa in ritorsione per gli aiuti di Stato a Airbus, nominava alla carica di Rappresentante per il Commercio Katherine Tai, nota per le sue posizioni anticinesi tanto quanto il suo predecessore repubblicano Robert Lighthizer. Insomma, in tema di commercio internazionale per il momento si fa fatica a trovare sostanziali differenze di Biden con l'amminstrazione Trump e non poteva essere altrimenti data la necessità di frenare il declino dell'imperialismo americano a fronte del sorpasso già registrato almeno a livello economico dal concorrente socialimperialismo cinese. Quasi inesistenti sono le differenze sulle priorità politiche e militari, più nella forma che nella sostanza a partire da un atteggiamento più collaborativo con gli alleati europei, già evidenziate nei programmi della campagna elettorale democratica e confermate da Biden anche nella recente visitato al dipartimento di Stato del 4 febbraio e nella successiva intervista del 7 febbraio alla rete televisiva Cbs.
Nella prima intervista tv del nuovo presidente degli Stati uniti, trasmessa in occasione del Super Bowl, della finale di calcio americano che gli ha offerto una platea di quasi 100 milioni di spettatori, ha attaccato in particolare la Repubblica islamica dell'Iran e la sua legittima politica di sviluppo della tecnologia nucleare, un punto centrale della politica estera di Trump che più di un osservatore aveva notato come mancante nel ben più importante discorso programmatico di tre giorni prima al dipartimento di Stato. Biden recuperava alla grande e calzando l'elmetto guerrafondaio appena passatogli dal predecessore assicurava che gli Stati Uniti non toglieranno le sanzioni all'Iran fino a che il governo di Teheran non avesse rispettato i suoi impegni sul nucleare definiti nell'accordo del 2015, fino allo stop allo sviluppo della tecnologia preteso dagli imperialisti americani e dai sionisti di Tel Aviv. Eppure toccava alla Casa Bianca fare il primo passo dopo che Trump nel 2018 si era ritirato unilateralmente dall'intesa dalla quale Biden resta fuori pur pretendendone il rispetto dalla controparte iraniana.
Quanto a arroganza imperialista il "mite" Biden non è da meno del fascista Trump e rispondeva picche alla richiesta avanzata dalla Guida suprema della Repubblica islamica iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, che aveva ribadito le richieste di Teheran: se si vuole che "l'Iran torni all'ottemperanza dei suoi obblighi, gli Usa devono revocare tutte le sanzioni e noi verificheremo" e solo dopo "rientreremo" nell'ambito dell'accordo Jcpoa del 2015. "È l'Iran ad avere diritto a dettare le condizione sul Jcpoa, visto che ha rispettato tutti i suoi impegni, a differenza degli Usa e di Francia, Gran Bretagna e Germania che li hanno violati", dichiarava Khamenei.
Altro tema toccato nell'intervista era quello dei rapporti con la Cina. "Conosco bene Xi Jinping, è molto intelligente ma è troppo duro, in lui non c'è un briciolo di democrazia", dichiarava Biden che ricordava di aver frequentato il nuovo imperatore della Cina molto di più di qualsiasi altro leader mondiale durante la sua lunga vicepresidenza con Obama. Affermava che l'approccio degli Usa con Pechino sarebbe cambiato ma il suo "siamo pronti a una forte competizione, ma non vogliamo un conflitto" non è poi tanto diverso da quello di Trump, quello delle guerre commerciali e delle esibizioni dei muscoli militari che restano pur sempre l'anticamera di un conflitto anche militare, inevitabile tra paesi imperialisti concorrenti. Un pericolo che non è affatto scongiurato da Biden quando nel primo discorso al Dipartimento di Stato sottolineava che "l'America è tornata e reagirà a Cina e Russia". Con la diplomazia ma anche con la revisione dello schieramento militare rispetto alle nuove esigenze dell'imperialismo americano.
Ammoniva Putin che "i giorni degli Stati Uniti che passavano sopra alle azioni aggressive della Russia sono finiti”, anzitutto in Europa, leggi Ucraina, e annunciava di voler annullare la decisione di Trump di ritirare le truppe americane dalla Germania. Le priorità strategiche dell'imperialismo americano sono però in Asia, nel confronto col socialimperialismo cinese, dove è in programma la prima missione del segretario di Stato Tony Blinken e del segretario della Difesa, l'ex generale Lloyd Austin, e in base a questa esigenza "rivedremo il dispiegamento mondiale delle nostre forze militari", annunciava Biden.
Intanto avvisava Xi che non avrebbe avuto mano libera in Birmania, contesa da Washington che si muoveva ovviamente "per restaurare la democrazia". E rilanciava la sfida economica a Pechino garantendo che "affronteremo la Cina per i suoi abusi economici" per costringerla a rispettare le regole del commercio internazionale. Come Trump accusa Pechino di un comportamento scorretto per non dover ammettere il declino dell'imperialismo americano e il sorpasso, intanto a livello commerciale ed economico, della rivale. Una conferma di quali sono i rapporti di forza tra le due prime potenze imperialiste mondiali la fornivano i dati sugli scambi Cina-Usa delle Dogane cinesi relativi al 2020, dopo un anno di applicazione dell'accordo di tregua nella guerra commerciale voluta da Trump, e da lui sbandierata come un successo in campagna elettorale, che lasciava inalterati i dazi americani e chiedeva alla Cina di acquistare 200 miliardi di dollari di prodotti specifici entro 2 anni; il disavanzo commerciale a favore della Cina è aumentato del 7,1%, fino a 317 miliardi di dollari.
 

17 febbraio 2021